Pomodori verdi fritti al
caffè di Whistle Stop
(Fried green tomatoes at the Whistle Stop Cafe)
di Fannie Flagg
BUR, 2000
Come quasi ogni “nonno” della nostra generazione, anche i miei avevano una casa in
campagna. Più precisamente, la casa in collina del mio bisnonno da parte
materna. Il paese era uno dei tanti del paesaggio piemontese. Indeciso se stare
sulle pendici o scivolare verso le risaie, non abbastanza fresco da definirsi
luogo di villeggiatura e non sufficientemente abitudinario da diventare
residenza. Più zanzare che abitanti, un’unica piazza con il classico nome di
piazza Garibaldi; due bar, uno per gli uomini per giocare a carte e l’altro che
fungeva anche da pasticceria. Avete inquadrato il genere?
In questi posti, ogni abitante ha
il proprio ruolo da rispettare. C’è il fornaio, rigorosamente uomo con la
moglie che prepara le sfogliatine per la domenica, la parrucchiera, in genere
una signora che fa la permanente in casa e aggiorna sull’ultima scappatella
della figlia del farmacista che è giovane ed è appena arrivato dalla città, con
i suoi occhiali tondi e la laurea orgogliosamente esibita. La casa in fondo
alla strada è di una vecchia signora un po’ matta che alleva colombi, quella a
due piani è la casa delle vacanze di un avvocato di Torino.
Avete passeggiato per queste
strade? Si, forse sto ricamando un po’,
facendo letteratura spicciola, ma nella sostanza il paese era davvero così. E
serve a prepararvi a quello che potrete trovare tra le pagine del romanzo in
questione.
Leggendo il grande caso
editoriale di inizio anni Novanta, Pomodori
verdi fritti al caffè di Wistle Stop, mi sono ritrovata catapultata in
questa atmosfera. Il romanzo prende la voce di Virginia “Ninny” Threadgoode,
anziana signora ormai in casa di riposo che racconta la sua gioventù e le
avventure della piccola città dell’Alabama a Evelyn, casalinga di mezza età
decisamente infelice. Ci troviamo a camminare per il piccolo centro negli anni
della grande Depressione: cuore pulsante è il Caffè vicino alla ferrovia
gestito da Idge, donna pioniera dal carattere mascolino, e da Ruth, bellissima
e delicata creatura sfuggita ad un matrimonio violento. Attorno emergono
personaggi come lo Sceriffo, il Vagabondo, la Parrucchiera e il Ferroviere, al
tempo stesso stereotipati eppure realistici. Si assiste ad episodi tristi,
felici e misteriosi, finanche ad un omicidio. La struttura è data dal racconto
della vecchia Ninny con continui passaggi all’epoca del fatti, ulteriormente
sottolineati dalle notizie del bollettino di Whistle Stop. Una volta capiti i
binari di svolgimento, si apprezza molto questa cornice narrativa. Un romanzo
rilassante, appetitoso e fresco.
Ci sono i “ma”. L’atmosfera
pennellata è più favolistica che altro: non si avverte il clima di disperazione
della grande Depressione. Non ci troviamo di fronte all’altra faccia del Furore. L’effettiva presenza del Ku Klux
Klan è a mala pena accennata e quasi resa da pantomima. La stessa relazione tra
le due protagoniste, di natura chiaramente omosessuale, sembra perfettamente
accettata e non commentata dalla società degli anni Trenta. Manca un elemento
veramente cupo, nero e cattivo che forse avrebbe dato più credibilità
all’intreccio.
Ne vale comunque la pena: non
fosse altro per passeggiare con lievità (forse un po’ troppa) nell’America
degli anni Trenta. E per scoprire la ricetta dei pomodori verdi fritti.
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