Firmino
di Sam Savage
Einaudi, Torino
di Sam Savage
Einaudi, Torino
Firmino, protagonista dell’omonimo romanzo di
Sam Savage (pubblicato nel 2006 negli Stati Uniti), è un topo. Sì, il classico
topo buono dei cartoni animati o delle favole cui è stata donata l’intelligenza
come una normale aggiunta a baffi, coda rosa, zampe piccole e scattanti. Solo che
a Firmino non basta sapere di averla, non basta capire, pensare; egli vorrebbe
essere un uomo in tutto e per tutto: corpo, mente, vizi.
Guarda caso, il romanzo si apre con due
citazioni. Una di queste dice:
Un giorno Chuang Tzu si addormentò, e, mentre dormiva, sognò di essere una farfalla che volava in estasi.
E quella farfalla non sapeva di essere Chuang Tzu che sognava. Poi Chuang Tzu si svegliò e, a giudicare dalle apparenze, era di nuovo se stesso, ma ora non sapeva se fosse un uomo che sognava di essere una farfalla o una farfalla che sognava di essere un uomo.
Firmino sa benissimo, invece, di essere un
ratto, ma un ratto, come viene detto nel romanzo stesso, “civilizzato”, che
ambisce all’umanità come l’artista o lo scienziato al Premio Nobel. Ciò che lo
differenzia dai suoi simili è la grande cultura letteraria, e non solo, che si
è fatta sin da quand’era un poppante, scegliendo di mangiare i libri della
libreria - la Pembroke Books - in cui si era stato messo al mondo, anziché il latte
al sapore di vino che i suoi fratelli continuavano a suggere inconsapevoli
dalle mammelle della loro madre ubriacona...
Romanzi come Il grande Gatsby, Anime
morte, Alice nel Paese delle meraviglie, Peter Pan, Il
rosso e il nero, rossicchiati e ingoiati, fanno sì che la sua esperienza
del mondo, quello concreto e reale, si completi, più di quanto non accada con
la vita da topo che i suoi simili cercano di fargli sperimentare. Quel cibo che
inizialmente aveva rappresentato il nutrimento, la sopravvivenza, diviene poi
il simbolo di una verità assoluta, l’unica in cui credere. Firmino impara a
pensare come un uomo, a parlare, mentalmente, certo, poiché dalla sua bocca,
nonostante i mille sforzi, non escono altro che deboli squittii; impara a
riconoscere i libri dal sapore della carta, e una volta tenta anche di
utilizzare invano una macchina da scrivere. Perché ciò che vuole è diventare
uno scrittore, e sorprendere gli uomini che tanto disprezzano lui e tutto il
mondo animale. Primo fra tutti, Norman, il proprietario della libreria in cui
vive. Solo che i tanti sforzi fatti per imparare a dire: “arrivederci zip”, e
mostrarsi cautamente gentile con Norman, gli valgono qualche pallina di veleno,
due giorni di spasimi e una delusione lacerante. Firmino sente di non essere
amato (la madre e i fratelli sono andati via), di non poter gestire la propria
vita; disprezza la sua immagine allo specchio, il suo muso lungo e cadente. Nel
desiderio di distrarsi, visita di frequente il cinema; vi s’intrufola nel cuore
della notte, quindi ne approfitta per rubare poc-corn e dare un’occhiata alle
gambe delle donne che sfilano sullo schermo. Ma nulla è sufficiente a placare
il suo desiderio di umanità; resosi conto che l’odio di Norman nei suoi
confronti aumenta soltanto, lascia la libreria, in cerca di fortuna, e un
giorno incontra Jerry. Questi, vedendolo ferito ed affamato, lo porta a casa
sua; così per il nostro ratto inizia qualcosa di molto simile alla vera vita.
Solo che la solitudine e il senso di incomprensione gli restano dentro,
continuano a tormentarlo. Jerry gli è affezionato, ma non lo considera suo
pari; mangia con lui, eppure se deve pensare a qualcosa, riflettere su un
progetto, non gli chiede mai consiglio.
Sarà finita qui la sua speranza di gridare al
mondo: ci sono anche io?
I desideri di Firmino non sono lamenti fini a
sé stessi. Raro il patetismo; egli vuole convincere gli altri di essere
normale, e vuole farlo suscitando il sorriso, l’allegria. “Non sono un prodigio
del surreale o uno scherzo della natura”, sembra ripetere. Gli basterebbe
semplicemente essere chiamato amico dagli uomini, o ricevere sguardi e
attenzioni da donne belle come quelle viste al cinema e a teatro.
Gradevolissimo anche nello stile, Firmino
non stanca, non avvilisce, cerca di appassionare e far divertire, attraverso
avventure e aneddoti in cui la banalità viene controllata e annullata. Si può
dire, senza alcun dubbio, qualunque conclusione abbia il libro, che in una cosa
questo piccolo ratto è riuscito: raccontare la propria vita proprio come un bel
romanzo da mangiare per non deperire, giorno dopo giorno, nella normalità.