(Die Panne, Eine noch mögliche Geschichte)
di Friedrich Dürrenmatt
Einaudi, 2007 (1956)
pp. 64
9,50 €
Con La panne possiamo gustarci un eccellente Dürrenmatt narratore, un racconto chiaro, coinvolgente e
carnevalesco. Il prologo è una vera e
propria chicca, nota metaletteraria:
Ci sono ancora delle storie possibili, storie per scrittori? Se uno non intende raccontare di sé né romanticamente, liricamente generalizzare il proprio io, se non si sente affatto obbligato a parlare con assoluta veridicità delle proprie speranze e delle proprie sconfitte, o del proprio modo di fare all’amore, come se la veridicità ne facesse un caso universale e non piuttosto un caso clinico, psicologico, se uno non intende farlo e vuole invece tirarsi da parte con discrezione (...) allora scrivere diventa un mestiere più difficile, più solitario e anche più insensato (...) Gli si affaccia il sospetto che non ci sia più nulla da raccontare.
L’autore pone un interrogativo interessante, è possibile
scrivere non mettendo il proprio io su un piedistallo? Non peccando di
presunzione universale? Dürrenmatt ha risposto con i suoi
scritti, producendo arte dove il pubblico non se lo aspetta. Come in questo
racconto.
Dal titolo si può dedurre non solo l’evento centrale che dà
il via all’azione, ma anche la concezione del mondo moderno che l’autore
sostiene:
Non vi è più un Dio che minacci, né una giustizia, né un fato come nella quinta sinfonia; ci sono solo incidenti del traffico, dighe che crollano per errori di costruzione, l’esplosione di una fabbrica di bombe atomiche provocata da un assistente di laboratorio un po’ distratto, incubatrici mal regolate. Dentro questo mondo di panne ci porta la nostra strada (...)
Questa sarà la cifra di tutto il
racconto: un umorismo profondo che si lega a grandi temi quali la giustizia, la
coscienza, il destino, l’individualità. Dürrenmatt descrive un mondo sempre
meno decifrabile, in cui il destino ha battuto in ritirata lasciando campo
libero solo a incidenti del caso. É proprio qui che si ritrova l’anello
di congiunzione tra l’introduzione e il racconto vero e proprio. Un incidente
permette di raccontare una storia “colta per caso, riflessa nel monocolo di un
ubriaco”.
Traps è il protagonista di questo racconto che, innanzitutto, risulta
estremamente divertente. Traps è costretto per un guasto all’automobile a
pernottare in una villa dove un vecchio padrone di casa è solito accogliere
stranieri di passaggio. Da questo momento in poi gli ingredienti principali della storia saranno: quattro
vecchi un po’ fuori di testa, un processo-gioco e una cena che apparirà sempre
più un baccanale in onore della giustizia. Ha inizio il gioco e i
quattro vecchietti impersonano un giudice, un pubblico ministero, un avvocato e
un boia. Si succederanno vorticose risate alimentate da accuse superficiali,
tutto scandito da succulente portate minuziosamente descritte. Il gusto per il cibo si lega al gusto per
il gioco della giustizia; le accuse vengono decantate e poi ingurgitate con
la stessa foga che viene riservata al cibo. Le accuse saranno alimentate dalle
ingenue confidenze di Traps che non ascolta le esortazioni alla prudenza che gli vengono rivolte dal suo difensore. Non scenderemo in merito al fatto che l’impianto
di accusa si baserà solo sulle affermazioni dell’imputato stesso perché ciò che
attrae è la reazione del protagonista alle accuse. Pian piano emerge una sorta di
orgoglio nell’essere stato accusato del cosiddetto “delitto perfetto”. Scatta
una molla dentro Traps: la sua vita non è più una vita banale ma una vita
connotata da un’identità; la sua condanna coinciderà con la sua personale
rinascita. Predominerà la volontà di essere qualcosa di diverso da ciò che si è
diventati, ovvero un comunissimo cinquantenne. Scorge una nuova visione di sé ,
eccitante, stimolante e soprattutto non anonima come quella precedente.
La villa di campagna diventa un laboratorio in cui si può giocare e
sperimentare sull’animo di Traps. Il processo-gioco, iniziato con la prima
portata, si concluderà in un crescendo con un brindisi chiassoso e strampalato.
Terminerà in una sorta di delirio
narcisistico, ma non è la sola fine possibile. Al lettore il piacere di
godersi il finale rivelatore e pieno di suspense, e se non sarà soddisfatto
potrà sperimentarne un altro nella versione radiofonica, contenuta nei
radiodrammi. Due finali diversi che mostrano due opposte reazioni al carnevale
della vita, che come tutti i carnevali e come il nostro racconto sarà allegro e
profondo, ridicolo e serio.
Valeria Inguaggiato