di Margaret Mazzantini
Einaudi Editore, 2011
pp. 127
€ 12.00
Lo stile di M. Mazzantini, pieno di un pathos tagliente, è inconfondibile. Inconfondibili sono le immagini che adopera per rendere pienamente la tragicità delle persecuzioni, delle espropriazioni e delle confische di terre ai poveri coloni, alle plebi rurali, a coloro per i quali la storia non è che altro che un susseguirsi di eventi destinato a inasprire la condizione delle vittime in una spirale di sangue e violenza.
Mare al mattino racconta due storie sulle due sponde del Mare Nostrum, di quel Mediterraneo navigato da inglesi, francesi, tedeschi, italiani, arabi e ottomani e che pur tuttavia non appartiene a nessuno.
Perché il mare fagocita navi, vite, imbarcazioni di emigranti in fuga da una patria che non può dare nulla verso un destino di apolidia. Su una sponda c’è Jamila, giovane donna libica in fuga dalle rappresaglie delle truppe lealiste del Rais e dei Fratelli Musulmani per mettere in salvo suo figlio. Sull’altra riva, sulle coste siciliane, c’è un’italiana nata a Tripoli, straniera nella sua stessa patria dopo il rimpatrio forzato dei coloni italiani seguito al colpo di stato di Gheddafi nel 1969.
Due vite interrotte dalla fuga, spezzate da guerre intestine e lotte fratricide in un Paese in cui la scoperta del petrolio non fa che avviare una modernizzazione parziale e precaria, dove l’espansione delle città a scapito delle periferie desertiche rende la povertà miseria. Non conta se sei un italiano trapiantato, cacciato per il passato colonialista delle precedenti generazioni o per i peccati di un governo imperialista. Non conta se sei un arabo, nato e cresciuto nel deserto libico. Le trame di potere non tengono conto di cittadinanza e nazionalità. Le vittime del potere sono comunque accomunate dal fatto di non avere alternative tra l’esilio e la guerra. A conferma di ciò, sull’imbarcazione a bordo della quale Jamila intraprende il viaggio verso l’altra sponda, ci sono anche somali, vittime di altri conflitti, altra miseria, altri colpi di stato.
Come è risaputo, dopo la scadenza del mandato di amministrazione fiduciaria ONU all’Italia e la dichiarazione d’indipendenza della Somalia, nel 1960, il Paese cadde nelle mani di un militare, Siad Barre, che, fino al 1991, approfittando del valore strategico delle rotte marittime che congiungevano il Mediterraneo con l’Oceano Indiano e con il Capo passando per la Somalia, ricattò americani e sovietici. Questo finché il crollo dell’URSS e la fine della guerra fredda non inficiarono il capitale geopolitico del Paese. Paradossalmente quindi fu la pace tra i blocchi del sistema bipolare a gettare la Somalia nel caos della guerra civile. Ed ecco che sulla stessa bagnarola, su cui le riserve d’acqua e di carburante scarseggiano entrambe, tutte queste miserie si accavallano ed assommano, si intrecciano nell’ambito di uno stesso viaggio dalla fine incerta.
Spesso i servizi ai TG ci mostrano il fenomeno dell’immigrazione dal punto di vista di un Paese, l’Italia con un eccesso di popolazione rispetto alle risorse ed al lavoro disponibile, spesso ci mettono davanti la reazione difficoltà di un governo che non sa gestire gli sbarchi sulle coste adriatiche o a Lampedusa, che non possiede i mezzi finanziari né le infrastrutture per dare una risposta adeguata alle cosiddette crisi umanitarie.
Per una volta la Mazzantini invita il lettore ad assumere una prospettiva diversa, quella dei suoi protagonisti, di coloro che più che fare la storia la subiscono. L’abilità dell’autrice sta proprio nel saper cogliere il “punto di non ritorno” nelle esistenze travagliate delle sue protagoniste e di descrivere la forza, la paura, il coraggio delle loro scelte con una sensibilità squisitamente femminile, capace di assumere accenti poetici pur mantenendo la crudezza della verità storica in tutto il suo agghiacciante realismo.
Eva Maria Esposto
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