Viaggio in Abruzzo con Giorgio Manganelli
di Pino Coscetta
Solfanelli, 2012
Quanti possono dire di aver avuto modo di osservare un genio al lavoro? Pochi, pochissimi. Pino Coscetta, autore di Viaggio in Abruzzo con Giorgio Manganelli, appartiene certamente a questa schiera di fortunati. Fu lui infatti ad accompagnare, venticinque anni fa, proprio Giorgio Manganelli alla scoperta della sua terra, l'Abruzzo, trasformandosi nell'«impeccabile automedonte» che il “malinconico tapiro” aveva sempre sognato per sé. Dal viaggio nella «teatrale» regione delle «meditate meditazioni», scaturirono i nove celebri articoli apparsi su “Il Messaggero” tra il giugno e il luglio dell'87, ora raccolti nel pregevole volume curato da Andrea Cortellessa ed edito da Adelphi La favola pitagorica.
Già in Laboriose inezie, il “Manga” avvertiva: «chi fa un viaggio rischia di arrivare». Le mistificatrici orme della sua arte odeporica offrono la possibilità di arrivare a comprendere la vera essenza, la vera natura dei luoghi da lui visitati. Certo, trattandosi di un inventore di iperbolici universi testuali, le realtà fatte oggetto delle sue errabonde ricerche si manifestano a noi come scrittura, una scrittura che surroga l'esperienza di viaggio e il viaggio stesso; eppure grazie ai suoi reportage impariamo a leggere, e quindi a conoscere meglio, quei territori come l'Abruzzo che custodiscono l'autentico patrimonio atropogenetico dell'italianità. Seguendo le sue orme si finisce per cadere in quello «spazio longilineo, dentro il quale, come in una fessura del pianeta, cadono immagini, profili, parole, suoni, monumenti e fili d'erba»: si finisce per cadere insomma nel suo “familiarizzante” esperimento di viaggio.
Il diario di Coscetta viceversa conduce il lettore nella dimensione intima e personale del Manganelli-uomo, raccontando i retroscena, il “dietro le quinte” della spedizione in Abruzzo. Grazie allo sguardo affettuoso e divertito dell'amico, percorriamo così un cammino catabatico attraverso il quale scopriamo il suo «lato umano, quello che normalmente veniva sempre tenuto nascosto», incarnato nelle situazioni più banali: pranzi, passeggiate, visite in negozi di anticaglie o fugaci conversazioni con guide turistiche e comuni cittadini. Si rimane sorpresi, a tratti affascinati, dalla simpatia e dalla teatralità di uomo dispettoso e imperturbabile, pieno di curiose idiosincrasie e costantemente trincerato dietro un concentrico pudore: un pudore fecondo di silenzi, di suggestive negatività uditive generatrici di significato. Ma come nella musica il silenzio è essenziale al riconoscimento del suono e del ritmo, così nel racconto di Coscetta i pervasivi silenzi di Manganelli e le coinvolgenti descrizioni di quei “vuoti” regalateci dall'autore ci permettono di riconoscere la melodia interiore di un genio che si trovò in perfetta armonia metafisica con una terra solitaria e schiva.
Antonio Demontis