#bookcity: dal cuore delle case editrici a David Grossman (3^ giornata)


Intensa ed emozionante, la mia terza giornata di Book City, è stata dedicata a due eventi: la visita guidata alle sedi di Mondadori ed RCS Media Group al mattino, la presentazione dell’ultimo libro di David Grossman, Caduto fuori dal tempo, al pomeriggio.



Quella di visitare le sedi dei due colossi editoriali è stata un’opportunità davvero particolare, organizzata dal centro culturale milanese AIM (Associazione Interessi Metropolitani), con la preziosa collaborazione delle guide di Civita. Evento collaterale di Book City Milano, la visita guidata ci ha impegnati per tutta la mattina conducendoci dapprima alla sede mondadoriana di Segrate, edificio unico nel suo genere progettato dall’architetto brasiliano Oscar Niemeyer, a seguito del suo incontro con Giorgio Mondadori nel 1968. Ultimata nel 1975, la costruzione rispecchia perfettamente la monumentalità e l’imponenza che il figlio di Arnoldo aveva richiesto. Immersa nel verde circostante e perfettamente integrata in esso, la sede si contraddistingue per la sua originalità architettonica e per una concezione dello spazio che all’epoca si rivelò decisamente innovativa. Ci sono stati mostrati gli uffici amministrativi del corpo centrale, nonché il complesso di edifici limitrofi, ci sono state raccontate storia e abitudini di lavoro dei dipendenti Mondadori e, attraverso l’osservazione dello spazio di oggi, abbiamo ricostruito la storia dell’azienda e i suoi sviluppi. Con lo stesso spirito abbiamo visitato la sede della RCS Group, che si trova in via Palmanova (luogo storico scelto dallo stesso Angelo Rizzoli) ed è stata progettata dallo Studio Boeri. Interessante cogliere la dinamica di formazione dell’intero complesso, attualmente composto da edifici che si richiamano per i tratti delle facciate rivestite da lastre che conferiscono all’insieme un effetto cangiante, con rese cromatiche diverse a seconda delle ore della giornata. Tra architettura, storia ed editoria, ci siamo mossi all’esplorazione delle sedi cercando di rintracciarvi lo spirito e la progettualità di quelle che sono state, sin dai primi decenni del ‘900, grandi case editrici italiane e che oggi si sono evolute in gruppi editoriali di rilievo unico a livello nazionale e internazionale. Come non ricordare poi, in più occasioni della visita, quella sorta di filo rosso che lega i due editori protagonisti, Arnoldo e Angelo, quei loro percorsi differenti – certo – ma tangenti per molte occasioni e scelte comuni.[1]




 Come anticipato, nel pomeriggio ho assistito, all’incontro con David Grossman, tenutosi al Teatro Elfo Puccini. Tra l’altro ho avuto il piacere di farlo insieme a Flavia Catena, altro membro della redazione di CriticaLetteraria, che ha scattato le fotografie inserite in questo articolo. L’autore israeliano, che mi ha colpito per la sua eleganza e per la gentilezza di modi, ha raccontato come è nato il suo ultimo romanzo (leggi la recensione di Gloria), del quale la critica ha subito colto la particolare modulazione stilistica. In bilico tra generi diversi, il testo ha preso la forma di una scrittura che, come l’autore stesso ha specificato, non accetta definizioni perché parla di un tema unico, di una vicenda che contravviene al naturale ordine delle cose e, proprio in virtù di questo, ha bisogno
                                                                                    di una forma straordinaria per essere raccontata.





Grossman ha saputo descrivere un’esperienza paralizzante come la morte di un figlio e ha confidato che il libro è nato, prepotentemente, per rispondere a un’esigenza di “movimento”, dalla volontà di uscita dallo stato di fossilizzazione in cui il dolore fa precipitare. Si è ritrovato a scrivere della sofferenza della perdita, trascinato dall’impulso di mischiare generi diversi. Ha colto così, “quanto sia frustrante usare parole del mondo dei vivi per descrivere qualcosa che avviene laggiù”.  

Per arrivare a questo altrove ha fatto ricorso alla parola poetica, straordinaria, altra rispetto all’ordinario del discorso narrativo. Questo gli ha consentito di abbattere quel muro che separa il noi da un “laggiù” dolente. La poesia è la lingua del lutto. Il discorso di Grossman è stato intervallato da due letture di brani del romanzo, splendidamente eseguite da Elio De Capitani e Cristina Crippa
Dai readings è emersa la forza, l’impeto delle parole, nonché la complessità di un sistema di personaggi che non sono altro che le tante sfaccettature del lutto, della perdita, della nostalgia. Ho trovato illuminante la sua descrizione della scrittura come strumento attraverso cui cerca di comprendere le cose della vita trasponendole in storie.  “Non voglio proteggermi da nulla, non ho mai avuto in programma di vivere in trincea o di diventare più forte”, ha dichiarato. Trattandosi di un romanzo particolarmente centrato sulla parola, non si poteva naturalmente tralasciare il fattore linguistico. Si è affrontato, dunque, il discorso relativo alle traduzioni del libro: come sottolineava anche Elena Loewenthal in una recensione pubblicata su “Tuttolibri” lo scorso 10 novembre, è curioso che molte delle lingue in cui il romanzo è tradotto – e tra esse anche l’italiano – non dispongono di una parola che definisca la condizione dei genitori che hanno perso un figlio. L’ebraico la possiede: essa è “shakul”. L’ultima parte dell’incontro è stata dedicata anche al tema, ahimè caldissimo, della questione arabo-isrealiana, a proposito della quale Grossman ha espresso la propria idea, esortando al dialogo, lamentando la spirale di violenza che gli eventi storici (specie quelli degli ultimi cinquanta anni) hanno generato. La logica della violenza si basa su giustificazioni che, oggi come allora, conducono il Medioriente verso il baratro della distruzione. Ed è essenziale che anche l’Occidente si interroghi sulla questione. L’incontro si è chiuso tra le polemiche di un gruppo di attivisti filopalestinesi che ha interrotto la lettura che lo stesso Grossman  stava facendo di uno dei suoi brani in ebraico, con l’intento di manifestare contro la violenza israeliana e rivolgendo attacchi espliciti allo scrittore. Inutile descrivere il tumulto che si è suscitato in sala tra il pubblico. Rivolgo piuttosto la mia ammirazione a Elio De Capitani che ha gestito la situazione in modo molto intelligente, riuscendo a dialogare con i diversi “schieramenti”, nel pieno rispetto delle opinioni di tutti e anche dell’autore ospitato. Per quanto mi riguarda, ho maturato l’idea che essere lì seduti ad ascoltare le parole di uno scrittore israeliano, non entra in contraddizione con le idee o la sensibilità politica di chi sostiene la causa dei palestinesi. Pur nella piena convinzione che il diritto all’espressione dei propri ideali sia indiscutibile, così come la possibilità di scelta del luogo in cui farlo, mi trovo a considerare che Grossman ci ha conquistati parlando del suo libro e si stava esprimendo nell’alfabeto del lutto e di dolore che - purtroppo o per fortuna - sono universali.


Claudia Consoli



[1] Mi dispiace non poter allegare alla cronaca le fotografie che ho scattato alle due strutture ma, per ragioni di autorizzazioni e permessi, ciò non è stato possibile.