Bar Atlantic
di Bruno Osimo
Marcos y Marcos, 2012
€ 16
pp. 316
La lezione di oggi Adàm la fa sul duale, un concetto che spesso provoca nei propri allievi un piacevole sconvolgimento delle convinzioni non tanto linguistiche ma culturali, di concezione del mondo.
Adàm è il protagonista di Bar atlantic, l’ultimo romanzo di
Bruno Osimo, pubblicato quest’anno da Marcos Y Marcos e già grande successo
editoriale di pubblico e critica. Cerchiamo di capire perché.
Intanto, Osimo, da esperto linguista e traduttore qual è, sa
utilizzare uno stile narrativo trasparente e immediato, in grado di arrivare
velocemente al fulcro delle situazioni che vuole descrivere e dei numerosi
stati d’animo che si avvicendano, via via, col susseguirsi delle relazioni
pericolose che si instaurano fra i sempre intelligenti e acuti protagonisti dei
suoi romanzi.
Personaggi, quelli di Osimo, mai a dir la verità troppo sopra
le righe, e anzi, quasi sempre perfettamente rispondenti alle più varie
tipologie umane che ciascuno di noi può incontrare, ogni giorno, nel vischioso
tran tran quotidiano.
In questo romanzo, ad esempio, il lettore si trova a fare i conti
con la vita disagiata di Adàm, un insegnante precario, sia nella vita
professionale che in quella privata. Adàm è un uomo che si definirebbe “con la
testa sulle spalle” eppure intrinsecamente incapace di assumersi delle vere
responsabilità. Questo indomito bisogno di fuga dalle soluzioni definitive, lo
spinge a cercare, pressoché ogni giorno, sempre nuove e diverse forme di
espressività, sempre nuovi slanci, nuovi ardori, diversissime passioni. È per
questo che Adàm ha una moglie che ama, sì, ma ha pure molte amanti, che
contribuiscono a rendergli l’esistenza ancor più complicata, questo è vero, ma
che continuano nonostante tutto a farlo sentire giovane, agile, sveglio, in una
parola: vivo.
Il fascino del duale sta soprattutto nel fatto che riporta a un’epoca antica in cui non si contava molto coi numeri, però si faceva la differenza sostanziale tra uno, tanti, e… due.
Adàm, in definitiva, non è certo un uomo solitario. Anzi,
sente fortissimo un bisogno di attaccamento, oserei dire morboso al mondo che
lo circonda. Un mondo però, ricordiamo, precario, instabile, rutilante, che lo
costringe continuamente a prendere treni, cambiare abitudini, conoscere
persone, i suoi studenti, appunto, che stanno giusto per intraprendere la loro
strada, studenti che presto lo abbandoneranno, per lasciare il posto ad altri
studenti ancora, ad altre mille e mille facce tutte anonime, eppure tutte così
pulsanti, così strettamente attaccate alla vita.
Ancora un’allegoria dei nostri giorni, dunque, ancora un
romanzo sull’incertezza condivisa e condivisibile, sia dai giovani che dai meno
giovani.
E lui, Adàm, che sogna mondi antichi, sarà in grado di orientarsi
davvero nel presente? Riuscirà a prendere in mano la sua propria esistenza, e a
dare ad essa un corso che sia unitario, corretto, definitivo? Oppure resterà
nel limbo delle plausibili scelte, tra un’unica solitudine profonda e moltissimi
connubi continui?
Come a significare che la quantità “due” non è né un singolare né un plurale, ma una terza possibilità, intermedia.
Francesca Fiorletta
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