Chi ha una nonna con il
grembialetto come armatura e il mestolo brandito a mo’ di spada, si sarà forse
accorto che il leggendario Artusi è
stato sostituito ormai ai fornelli dai libri de La prova del cuoco, a marchio Eri
Rai. Eri è il marchio editoriale con il quale la Rai pubblica libri,
riviste e prodotti multimediali connessi con la sua programmazione, sfornando
una media di cinquanta testi l’anno e definisce se stessa “La Rai da leggere”.
L’inizio dell’attività
editoriale della Rai risale al gennaio del 1925, con la pubblicazione del
settimanale “Radio Orario” che riportava i programmi delle stazioni radio italiane
ed europee. Nel 1930, “Radio Orario” con l’EIAR
divenne il Radiocorriere e nel 1954 il Radiocorriere
TV.
Il 15 settembre del
1949 si costituì la società ERI Edizioni Radio Italiana che produsse molte
collane. Si spaziava dall’arte alla letteratura, dai libri per ragazzi ai corsi
di lingue. Scrissero per la Eri autori del calibro di Emilio Cecchi, Carlo
Emilio Gadda, Mario Praz, Folco Quilici, Natalino Sapegno, Giorgio Saviane, Giani
Stuparich, Demetrio Volcic. Al Radiocorriere si aggiunsero riviste
specializzate fra le quali “L’Approdo letterario” e “L’approdo musicale”.
Dagli anni 90 Eri pubblica
i libri delle trasmissioni più importanti e reportage giornalistici a firma
Enzo Biagi, Bruno Vespa, Sergio Zavoli, Piero Angela, Antonio Caprarica. Dal
1996 ha ceduto l’attività editoriale alla capogruppo Rai.
In particolare vogliamo
riferirci qui a un periodo in cui la Rai ancora assolveva diligentemente il suo
compito di funzione pubblica, di alfabetizzazione di massa, di didattica
popolare.
Nel 1970 uscì un libro
collegato strettamente a una trasmissione molto seguita dagli adulti ma anche
da qualche bambino curioso e precoce. Il testo s’intitolava En Français, era una coedizione con Le
Monnier, e si legava all’omonimo corso di lingue, basandosi su una serie di
film pedagogici prodotti dal Ministero degli Affari Esteri francese per l’insegnamento
della lingua nel mondo.
Era un’epoca, quella,
in cui il francese ancora contendeva il primato all’inglese come lingua
straniera indispensabile, sebbene l’inglese cominciasse ad avere quell’ammiccante
bagliore di modernità che tanto ci affascinava, collegato alla swinging London, ai Beatles e alle
minigonne di Mary Quant.
Il libro si articolava
in due volumi, riportando i dialoghi dei micro film della trasmissione, piccoli
sketch ambientati nella Francia
tradizionale. C’era un intermezzo in cui veniva illustrato il contenuto lessicale
del testo e una parte successiva in cui i vocaboli erano inseriti in un
contesto più moderno. Seguivano poi esercizi linguistici e grammaticali.
“Né le trasmissioni, né il libro”, è spiegato nell’introduzione, “hanno lo scopo di insegnare una grammatica. Gli esercizi stessi non sono esercizi grammaticali, ma tendono, attraverso la ripetizione, alla “fixation”delle forme studiate.” (pag. 4)
Pur con molta cautela,
possiamo trovare qui il nucleo del moderno insegnamento delle lingue, quello
che non si basa più sull’apprendimento di regole grammaticali, bensì sull’immersione
con uso contestuale delle formule linguistiche. A nostro avviso, questo metodo,
portato poi alle estreme conseguenze, ha creato più danni che benefici,
impedendo la destrutturazione delle
frasi, l’analisi logica e grammaticale, la distinzione fra soggetto, predicato
e complemento, riportando l’apprendimento a un pre-razionale incamerare frasi
fatte, valido per chi operi davvero in un contesto di full immersion (o per i bambini molto piccoli dal cervello plastico)
ma non nelle poche, sbrigative, ore concesse dal ministero alla didattica delle
lingue straniere.
Il corso di francese andava
in onda nel primo pomeriggio ed univa adulti e bambini, le mamme lo seguivano rispolverando
ricordi di scuola, ai ragazzi piacevano le scenette - fra pecorelle e fiere di
paese, fra trattorie campestri e ricette di cucina – guardandole assorbivano
parole e modi di dire, affascinati dalle storie ironiche, dalla vita
quotidiana, dal ragazzino che nell’intermède
girava le caselle del quadro a pannelli mobili.
Non mancavano, alla
fine di ogni lezione, pezzi scritti in italiano (per essere ben comprensibili a
tutti) sulla Francia contemporanea, volti ad attirare il turismo internazionale,
denunciando forse quale fosse, in realtà, il vero scopo della pur lodevole
iniziativa. Ma a noi non interessa questo, a noi piace ricordare l’ansia con la
quale aspettavamo l’inizio della trasmissione nel dopopranzo, la gioia con la
quale prendevamo in mano il librone ad essa collegato – pesante tomo bianco
bordato di giallo col profilo della Francia in copertina – la soddisfazione
quando riuscivamo a capire tutti i brani che ritrovavamo scritti dopo averli
uditi in televisione, arrivando a leggerli, a pronunciarli correttamente, a
ricordarli, a farne un patrimonio personale al quale poi avremmo sempre
attinto.
Insomma, il corso di
francese Eri Rai (Le Monnier) appartiene al quel bagaglio di conoscenze che,
una volta acquisite, non ci lasciano più per la vita.
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