«La poesia di Matteo Bianchi, nella sua volatile essenza, è sacrale, ma di una sacralità del tutto particolare che la rende alquanto originale e avvincente: sa volare alto quando capace di atterrare, chiedere le ali e camminare. Poesia viandante che cammina nei meandri di una città – la città del poeta – che è la sua culla. Ferrara» – così Roberto Dall'Olio, nella sua prefazione a Fischi di merlo di Matteo Bianchi (Edizioni del Leone 2011) descrive la flâneurie che percorre tutta la raccolta, sullo sfondo di una tensione spirituale.
Fischi di Merlo, di Matteo Bianchi (Edizioni del Leone 2011) |
I
fischi
di Bianchi sono in tutto sessanta componimenti divisi in cinque
sezioni. Ogni sezione prende il nome da una via di Ferrara, ogni via
è uno spazio reale e simbolico, è una tappa verso l'ascensione, da
Via Assiderato
a Via del
Paradiso.
Un cammino poetico, lirico e quotidiano, che s'ispira molto
liberamente alla triplice ripartizione della Commedia
di Dante.
Qui,
però, il numero che detta la rotta del viaggio non è il tre, ma il
cinque – numero nel quale, simbolicamente, si riflette con più
drammaticità tutta la «la dialettica fra sublime e carnale, tra
sacralità e dimensione profana, spirito volatile e caduta terrena».
Allora, sono elementi questi, così ben individuati da Dall'Olio, che
non si ordinano in un sistema tomistico e ben organizzato, ma si
miscelano più o meno disordinatamente fra loro, esprimendo tutta la
tribolazione di un esperimento alchemico, un sofferto tentativo di
ascesi.
Ecco
che la realtà,
nei fischi
di Bianchi, ci si manifesta come grave, oscura: «Codesto solo oggi /
riesco a dirti / e macchiato di realtà...». Una realtà sovente
messa a fuoco ...in
negativo.
Ma
non mancano toni liberatori dalla via apofatica di Montale, e in
questa poesia sacrale riecheggia più spesso la tradizione di un
lirismo petrarchesco – dai termini aulici, e moltissimo insoliti
nella poesia attuale – che Matteo Bianchi consegna quasi intatto
alla contemporaneità. Un lirismo espresso attraverso i temi della
malinconia («fatico a riconoscerti l'anima»), della lontananza («il
baule lasciato ansimare, / in stazione, tra polveri care»), e
soprattutto della purezza («Essere puri dalla nascita / è uno
strascico di seta, / nuotare gli anni / nelle pupille altrui: / non
temere i gabbiani, sorridono davvero / di altri mondi / al passaggio
sul mare»).
Ma
forse, l'aspetto più entusiasmante del lirismo di Bianchi è –
potrei dire – il tentativo di “chiedere la parola” direttamente
alla realtà, per scrutare il suo mistero. La natura, come nella
migliore tradizione baudelairiana, o si manifesta in corrispondenze
insolite in cui riecheggia il «Tutto è sensibile» di Pitagora
(«Sono sbadigli di vento»); oppure viene umanizzata,
interpellata direttamente, pagando un fortissimo debito alla poetica
leopardiana: «Eri una luna nuova, / o un volto che piangeva?». O,
ancora, gli elementi naturali diventano simboli personali e
quotidiani, segni,
per costruire una “sintassi dell'anima”: «Facciamo così: / tu
spegni la luna, / io raccolgo i cocci / di stelle brillate / e
arrotolo il cielo».
Se
volessimo accostarci a questi versi attraverso una poetica
dello sguardo –
per usare un'idea di Antonio Prete – scopriremmo che quella di
Bianchi è anche una poesia fortemente visiva,
ma che «ruota
tutta intorno al cuore».
Un visivo
spirituale
che, come nella Metafisica Cristiana (attraverso la tradizione
greca), unisce la nozione del vedere
a quella del conoscere e sperimentare realtà e trascendenza …grazie
all'amore. Matteo Bianchi riesce a piegare la qualità dei colori
veri alle
ragioni profonde della sua visione,
eppoi modellare questa visione
sui moti del sentimento. Così, la tavolozza di questa poesia assume
una qualità che potrei dire spirituale.
Come nel più simbolico dei Mondrian, Bianchi crea le sfumature e gli
accostamenti cromatici a lui necessari: «rosso
anonimato», «acceso intero», «azzurro cronico», «calda tacita
oscurità».
Fischi
di merlo
mi sembra un ottimo punto di partenza per cominciare a parlare di un
nuovo lirismo. Un lirismo che rifugga l'intimismo melenso e
autoreferenziale, e che si ponga il problema urgente di ricostruire
il rapporto fra poesia e realtà, fra mondo interno all'artista e
mondo esterno. Un lirismo che riesca a conciliare gli aspetti
mistico-simbolici a una dimensione più prosaica, quotidiana,
“realista”. Si sentono forti le contaminazioni contemporanee di
autori come Saba, Pratolini, Pavese, Pazzi, Pontiggia.
Forse
questa raccolta risente dei difetti dovuti a una certa ispirazione
estemporanea, a tratti poco limata, ma ci sembra evidente che
l'autore ha avuto un'urgenza maggiore, più nobile e sostanziosa,
quella di costruire una trama coerente, un racconto metafisico,
un'architettura dell'anima: l'organicità e la forza di tutto il
sistema è più importante della somma delle sue parti.
LEGGI UN'ANTEPRIMA DELLA RACCOLTA A QUESTO LINK
Matteo Bianchi parla di Fischi di merlo su Rai Letteratura a questo link
Matteo Bianchi, classe 1987, si è laureato in Lettere Moderne a Ferrara; oggi studia Filologia moderna e contemporanea presso la Magistrale di Ca’ Foscari. Ha pubblicato le raccolte "Fischi di merlo" (Edizioni del Leone 2011) e "Poesie in bicicletta" (Este Edition 2007). Suoi testi sono apparsi in varie antologie edite da CFR-Poiein e Giulio Perrone Editore, sui quotidiani "Il Resto del Carlino", "La Nuova Ferrara" e "Corriere delle Alpi", e in periodici cartacei quali "Il Segnale", "Tellus", "L’arrivista", "Secondo Tempo" e "Poesia" di Crocetti, e online tra cui "Poetarum Silva" e "La poesia e lo spirito". Ha inciso l’audio-raccolta in versi "Con altra voce. Ventiquattro poesie" insieme a Rita Montanari, Alessandra Trevisan e Gianmarco Busetto. È tra i curatori di "In gran segreto", prima Rassegna di Poesia Contemporanea a Ferrara e, dal 2009, presiede l’Associazione Culturale "Gruppo del Tasso". Collabora con "Red Magazine", bimestrale d’arte moderna e contemporanea, e con "SITI", Unesco World Heritage Sites Journal, e online con "Tellus folio", "Pagina Tre" e "GenerAzione Rivista". Ha curato la prefazione della silloge "Poesie dimenticate" (TLA, 2010) di Giosuè Arnone.
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