Chernobylondon
di Piero Paniccia
Edizioni del Faro, 2012
Pp 338
15,00
Non si fa notare per lo
stile, che è corretto, lineare, documentaristico - seppure viziato da un uso
non sintattico né ritmico bensì personale della punteggiatura - ma piuttosto
per il contenuto, Chernobylondon di
Piero Paniccia.
La storia ha come
protagonista una famiglia italiana che vede intrecciarsi il suo destino con
quello di un’altra famiglia bielorussa. Al centro di tutto, al nucleo della vicenda è proprio il caso
di dirlo, c’è il disastro di Chernobyl.
“Mia madre, quando venne la prima volta in Italia e conobbe mio padre, era venuta come accompagnatrice dei bambini bielorussi, che avevano sofferto per le radiazioni conseguenti il disastro di Chernobyl. Lo sai cos’è Chernobyl, no? Ora tu pensa: grazie a quel disastro sono nato io. Se tanta gente non avesse sofferto, io non sarei mai nato, ci pensi?” (pag 284)
È a causa di Chernobyl
se Alessandro e Natasha s’incontrano in Italia, si amano e mettono al mondo
Yuri. Natasha è un’accompagnatrice di bambini contaminati dalle radiazioni, accolti
in Italia per una vacanza disintossicante. A Senigallia incontra Alessandro, del
quale s’innamora e che sposa, facendo conoscere a lui e a tutta la sua famiglia
la città di Minsk, spalancando le porte
di un mondo fino ad allora sconosciuto, quello della Bielorussia.
Il racconto è costruito
in modo volutamente spiazzante, con flash
back, avanzamenti e ritorni al passato, incursioni nei ricordi di entrambe
le famiglie. La storia copre un arco temporale che va dal giorno in cui si ebbe
per la prima volta sentore del disastro, nell’aprile del 1986, a un futuro 2040
con scenari da fantapolitica. I blocchi di contenuto sono essenzialmente tre:
il disastro di Chernobyl e le sue conseguenze sulla salute, la scherma di cui
diventeranno campioni Yuri e suo cugino Mirco, la Bielorussia.
L’ombra della radioattività
aleggia su tutto il racconto, dal titolo fino alla tragica conclusione. Yuri
nasce “a causa di” Chernobyl ma a essere contaminato non è lui bensì suo cugino.
Mirco si ammalerà di leucemia e sarà proprio Yuri, nato da Chernobyl, a
salvarlo donandogli il suo midollo. E tuttavia, per una vita che si salva, ce
ne sarà una da restituire alla fine del romanzo, per la felicità ricevuta,
qualcuno comunque dovrà pagare.
Attorno all’atomo si
svolge il racconto, dal disastro fino agli studi di fisica nucleare ai quali Yuri
si dedicherà da adulto, grazie all’amore per Felicia. L’utilizzo della fusione fredda porterà, nel 2040, alla
sostituzione di tutte le centrali con nuovi impianti puliti.
Il secondo blocco è
costituito dalla scherma. Questa passione attraversa tutto il romanzo, dai
primi contatti dei due cugini con le palestre e gli insegnanti, fino alle
medaglie conquistate nelle Olimpiadi di Londra del 2012 che, quando il libro è
stato scritto, ricordiamo, ancora non si erano svolte. S’intuisce l’amore del
Paniccia per questo sport, e la sua competenza, al punto che il libro è stato
presentato nell’ambito dei festeggiamenti per Valentina Vezzali, jesina come l’autore e medaglia d’oro olimpica. Nell’incontro
finale, descritto minuto per minuto, punto per punto, luce verde per luce rossa,
fra Yuri - che il destino beffardo ha portato a gareggiare sotto la bandiera
bielorussa - e suo cugino Mirco, rappresentante l’Italia, si può per contrasto evidenziare
la nascente amicizia di due nazioni.
E qui giungiamo al
terzo - e secondo noi al migliore- dei tre nuclei di contenuto: la Bielorussia.
Nessuno, prima di Paniccia, ci aveva descritto la vita in quella nazione con
tanti particolari, con così grande e affettuosa partecipazione. Scopriamo boschi
di alti alberi frondosi e cespugli di bacche succose, automobili come la Lada
Zighuli, cibi e profumi, ma anche la burocrazia arcigna e pachidermica, aggirabile
con un cesto di leccornie ben confezionato, la corruzione, il retaggio di poca
democrazia e il vuoto lasciato dell’ex Unione Sovietica. Scopriamo anche pagine
nere e sconosciute della storia europea, come l’eccidio di Kathyn, evento controverso, orribile massacro di cui
Paniccia attribuisce la totale responsabilità ai nazisti ma che gli storici
hanno rivelato essere stata opera dei sovietici.
L’interrogativo esistenziale,
che accompagnerà il protagonista Yuri Mancini per l’intero romanzo, è se anche da
una sciagura come quella di Chernobyl possa scaturire il bene, se sia lecito
sentirsi felici in conseguenza di una disgrazia, se non si debba ricompensare
il destino che ci ha regalato gioia traendola dal male.
“Maledetta Chernobyl, disse nostro nonno quando nacqui io, credendo che fossi stato ricoverato in ospedale per colpa delle radiazioni. Lui pensava che mia madre fosse stata contaminata. Così mi hanno raccontato più volte mio padre e mia madre. Nel mio caso, invece, Chernobyl non c’entrava niente. Ma oggi Chernobyl mi sta presentando il conto. Prima mi ha fatto nascere. Perché è inutile nasconderlo: io sono nato grazie a Chernobyl e non lo dimentico. Ora la maledetta Chernobyl si vendica; mi sta portando via una delle cose più care che abbia mai avuto.” (pag 315)
Intorno a tutto,
avvolgente e rassicurante, pronta a sostenere e consolare i due cugini, c’è la
famiglia, sia quella italiana che quella bielorussa, formata da genitori, nonni
e zii, da persone oneste, capaci di strappare un sorriso e asciugare una
lacrima con un semplice gesto pieno di amore come la preparazione di una teglia
di lasagne, la stessa che l’autore vuole immortalata sul suo sito.
Alla fine questo
romanzo con molte anime non sempre amalgamate fra loro si congeda da noi con
una nota metanarrativa.
“Forse è giusto così, mica un autore può seguire una storia all’infinito. A un certo punto, quando ha detto quello che si sentiva di dire, la smette. Poi l’autore può lasciare la storia aperta o chiusa, non ha importanza. Questa credo che possa essere una prerogativa. Mica lo obbliga qualcuno. Saranno poi i suoi lettori a giudicare se per quella storia fosse la giusta fine” (pag 325)
Patrizia Poli
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