Tre racconti
di Boris Vian
Traduzione di Fidelio Bonaguro
Stampa Alternativa, Roma 1997
pp. 62, lire 1000
di Boris Vian
Traduzione di Fidelio Bonaguro
Stampa Alternativa, Roma 1997
pp. 62, lire 1000
"Je voudrai pas crever / Avant d'avoir goûté / La saveur de la mort..."
Intendiamoci, però: se 'funziona'
il Vian poeta, del Vian narratore molte cose non esaltano proprio, soprattutto
la 'mistica della scrittura di denuncia' che, sia lo scrittore stesso che certi
critici italiani come Stefano Del Re, imbastirono in illo tempore per coprire
gli eccessi contenuti in un giallo sadico-sociologico piú in vena di grand guignol che alla ricerca di
riscatto umano. In fondo erano solo i
tardi Anni Settanta, e certa avanguardia stava agonizzando nel ripescare quanti
piú possibile màrtiri letterari da ritrarre in busto marmoreo, sotto l'egida
tanto di Jeanne D'Arc quanto di Toni Negri. In Italia, infatti, dello scrittore
francese, quand'era vivo ed operoso (ossia negli Anni Quaranta), non si
conosceva alcunché.
Qualcosina ci giunse alle
orecchie piú tardi, relativamente al film Sputerò
sulle vostre tombe, pellicola datata 1959 e tratta dall'omonimo romanzo
pubblicato oltralpe nel 1946.
Piuttosto, suscitò una certa eco
la morte 'eroica per caso' del maudit
ingegnere-jazzista-scrittore: crisi cardiaca mentre, il 23 giugno del '59
(aveva solo trentanove estati), egli assisteva, non invitato, all'anteprima di
quel film.
Lo scandalo che provocò in
Francia il violentissimo romanzo, le numerose poesie, tese tra neorealismo
statunitense e Jaques Prévert, l'intensa attività di traduttore (Chandler,
Strindberg, Cain) e di giornalista, alla luce di tale angosciante epilogo,
sembrano anche a noi, oggi, tramutarsi in espliciti presagi funebri, ovvero
prendono la forma di variegato sfondo grigio dietro al baluginio violaceo che
avvolge ed accompagna l'Ultimo Evento. Come se non fosse proprio Vian a
recitare "Perché io vivo / Perché è bello" e, subito dopo, "La
vita, è come un dente / All'inizio non ci si pensa / Felici di masticare / Ma poi
ecco che d'improvviso si guasta / Fa male (...) / Lo si cura (...) / E per
essere veramente guariti, bisogna strapparlo, la vita".
Infatti, nelle vene di Vian
palpitò un irruento flusso vitale, uno strano sangue iracondo e mortifero, che
si fondeva agli orgasmi vendicativi e sadici di Lee Anderson (il protagonista
di Sputerò sulle vostre tombe): un
globulare delta fluviale, nero come la pelle di Lee, nero come Sartre, Jarry,
Chandler e la Greco della esistenzial-patafisica cave parisienne che, ancora oggi, fa tanto outsider per i piú smaliziati borghesi portati alla vie difficile (magari l'hard boiled, poi, non era tanto à la page, ammetterei, anzi mi sembra
sia rinato negli ultimi lustri).
Ma non è tutto qui, chiaramente,
poiché Boris Vian oltrepassa il binomiaccio sessoemorte a piedi pari – pur
raramente rinunciando al primo termine, suo chiodo fisso – per dar prova di
lucida struttura narrativa, attenta gestione dei tempi (corre, corre sempre,
nelle poesie e nei romanzi) e, talvolta, per prodigarsi anche nella produzione
di una glassa colorata alla (amara) gaia
(fanta) scienza, allo scopo di tappezzare
la solita torta sarcastico-misogina (vedasi il terzo racconto, L'amore è cieco).
Spero che mi perdoniate
l'introduzione 'retroversa', ma temo che fosse indispensabile olio per
riavviare la mia modesta due-cilindri critica senza trascurare gli immanchevoli
passeggeri Bio e Biblio.
Veniamo, ora, a questi tre
racconti, pubblicati in Francia tra il 1946 e il '49 e qui rispolverati in un
sano Millelire Alternativo, e trattiamoli male, con crudezza, come se fossimo
un secondo pseudonimo di Vian (Sputerò
uscí firmato Vernon Sullivan): siamo sicuri che l'Autore approverebbe e, se non
lo facesse, diremmo che se l'è voluta lui, per via del fatto che amava picchiar
duro – equanimamente – sia Sado che Maso.
L'amaro in bocca è poco, stilando
un 'bollettino' riassuntivo di fine-lettura, per definire le sensazioni che ti
avvolgono, a mo' di spire fonemiche: bisogna proprio far ricorso al sangue,
quello che, ultimamente, sembra andar per la maggiore (Affinati, Parise, giovani antropofagi...). Ecco: ciò che
resta in me del primo episodio (Le
formiche) è il sangue che 'formicola' zampillando tra un arto e l'altro,
mentre questi saltano macabramente, come dei pierrot, nella trincea
agghiacciante della Seconda Guerra Mondiale.
Ciò che resta del secondo
racconto (Il richiamo), è una testa
che si sfascia sull'asfalto newyorchese con grottesco contrappunto di, magari,
un Duke Ellington stile Take the 'A'
train. Permea tutto me stesso una cascata di sangue malato di zolfo
metropolitano, frettoloso e denso, policromo e flatulento, sprizzante da quel
cranio senza fisionomia che, cosí, diviene un'allettante "Medusa rossa
(...) della quinta avenue".
Ciò che resta, infine,
dell'ultima novella (il cit. L'amore è
cieco) è la flebile sensazione, vicina all'annullamento atarassico, che
dovrebbe provare un cieco, magari nel momento della sua atroce iniziazione al
mistero dei non vedenti: sangue che pulsa sotto le palpebre, prima della happy end.
Il nido ferroso di mitragliatrici
sputacchianti, che appare nelle prime battute de Le formiche, è stato annullato, spazzato via, disintegrato dalla
feroce negazione che circolava nelle vene tumefatte cui attingeva la creatività
del decadente day after europeo. Noi,
gli eredi, i consanguinei, siamo invece vicini alla infiocchettata
parodia-che-uccide alla quale attinge questa era post: il supermercato in casa e la casa nel supermercato. Niente
male anche quest'altra ideologia necrofiliaca quotidiana; solamente, direi, un
po' troppo antiromantica e troppo poco maleducata.
Quasi quasi preferisco il jazz,
le bottiglie vuote e i mistosangue di Boris Vian. Tranne la misoginia, eh!
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