di Barbara Maurano
pp. 153
€ 15,00
Giovanni era morto in una fredda domenica di Novembre. In paese la notizia si era diffusa in meno di un'ora. Giulia non riusciva a stabilire se in quel tragico evento si nascondesse una colpa più grande di loro. La redenzione di una morte è un miracolo che viene concesso a pochi. Da qualche mese Matteo leggeva un dolore diverso negli occhi della ragazza, temeva di perderla per sempre com'era avvenuto con Giovanni.
Ecco, in questo breve passo c'è tutta la storia di questo romanzo breve, pubblicato (in autoproduzione) dall'esordiente Barbara Maurano. Un romanzo che contiene, in realtà, due storie.
La prima è quella di Giovanni, fattosi prete e successivamente suicidatosi per motivi che l'autrice (probabilmente in maniera volontaria) non chiarisce mai del tutto.
Tutto parte da un'anima tormentata, quella di Giovanni, la cui vocazione egli mette continuamente in discussione nel corso della storia. Ma non è questo l'elemento centrale del romanzo.
Anzi, potremmo dire che il suicidio di Giovanni è un espediente letterario per permettere ai vecchi amici di infanzia Giulia e Matteo (che hanno avuto una storia d'amore tormentata) di ritrovarsi e, successivamente, di lasciarsi.
Il romanzo è, insomma, una storia di un'amicizia, nelle varie fasi della nostra vita: da bambini, da adolescenti e da adulti. Una storia in cui tutti noi possiamo ritrovarci e riconoscerci.
La storia di come è la nostra vita, fatta di incontri, di abbandoni anche delle persone che credevamo sarebbero rimaste con noi per sempre.
Come sempre nella letteratura, i personaggi non sono mai isolati dal contesto in cui vivono e crescono. E dunque è altamente significativo che l'autrice ambienti il suo romanzo in un piccolo paese, Collalto.
Certi atteggiamenti, certi comportamenti e anche certe decisioni dei protagonisti derivano, infatti, dall'ambiente sociale e culturale in cui sono vissuti e che non li abbandonerà mai.
Compresa la decisione di abbandonarlo.
Giulia era guidata da un'inquietudine che non sapeva definire. A Collalto tornava di rado, nonostante distasse soltanto due ore di treno da Napoli. Vivere in una grande città era diventato un esercizio fisico oltre che mentale. Il corpo accettava a fatica lo stress dell'attesa perenne ma la mente aveva bisogno di un distacco totale dagli occhi indiscreti della terra natia. Le parole adolescenziali, i baci rubati e la passione da tenere a bada si erano presto trasformati in un amore maturo, diverso da ciò che Giulia aveva immaginato. Matteo sembrava confuso da un legame troppo duraturo nel tempo per non subire gli sbalzi del cambiamento. Con Giovanni nei panni di prete la catena del giovane amore stava per spezzarsi. La sopravvivenza della coppia era legata ai ricordi di un trio diviso dal fantasma della solitudine.La trama, come ben vedete, a prima vista non certo originale (la storia di un suicidio e un vecchio amore che si rincontra), racchiude in realtà elementi certamente interessanti: il contesto sociale e culturale in cui quell'amicizia si forma, matura e si divide, come i diversi protagonisti vivono quel distacco, ognuno a modo proprio, chi con la negazione (Giulia), chi con il suicidio (Giovanni) e chi invece rifiutando il cambiamento (Matteo). Pur essendo un espediente, anche il suicidio di Giovanni contiene spunti di riflessione. In particolare, le considerazioni (che, a parere di chi scrive, sembrano però più dell'autrice che del personaggio) su cosa sia la vocazione religiosa, come coniugarla con il ruolo di prete e come coniugare aneliti spirituali individuali con quelli collettivi.
Al di là della trama, però, ciò che attrae di questo romanzo è la sua struttura. Negli ultimi anni, da parte della letteratura main-stream ma anche da parte di quella, a parole, di "progetto", siamo purtroppo abituati al conformismo, non solo da un punto di vista tematico ma anche stilistico. Questo vuol dire storie banali, scrittura lineare, poca sperimentazione. Non vorremmo che si interpretasse male quello che stiamo scrivendo. Non siamo certamente di fronte ad un'innovazione che sconvolgerà il mondo della letteratura. La storia è certamente scritta bene, ma piena di dialoghi, poche descrizioni (e, forse, dato che l'elemento essenziale della storia è proprio il contesto, sarebbe stato bene ambientare meglio anche fisicamente il luogo in cui le vicende si svolgono), il romanzo è scritto in terza persona ed è presente il narratore onnisciente. Si tenta, però, qualcosa di nuovo e questo non lo si può negare all'autrice.
In particolare il flash-back (non spaventatevi miei cari lettori, il vostro critico sa benissimo che questa certamente non è una tecnica innovativa!), filtrato dalle vicende della Nazionale italiana di calcio, dai Mondiali del '90 persi con l'Argentina, passando per la sconfitta contro la Francia e al trionfo in Germania. Elementi che sembrano non c'entrare nulla e che invece sono essenziali per la storia. Perché raccontano il cambiamento di una generazione e, conseguentemente, della vita individuale dei protagonisti.
Giovanni era stato ordinato prete il giorno in cui la Nazionale di Lippi aveva vinto i Mondiali. Matteo pensò che i due eventi fossero collegati. Nella sua mente il calcio e la religione obbedivano alle stesse regole. A distanza di un anno il trio non aveva ancora festeggiato la vittoria. I pensieri, le parole, le opere e le omissioni dei tre ragazzi percorrevano strade diverse.La recensione è finita. Permetterete, però, cari lettori, al vostro recensore una piccola riflessione a latere. Questo libro, come abbiamo scritto, è un self-publishing. Certamente non è perfetto. Pecca di ingenuità, la storia poteva per certi aspetti essere maggiormente sviluppata (in particolare, le motivazioni del suicidio di Giovanni), il contesto sociale e culturale meglio descritto, ecc. Ma è una storia che, con un buon editor, valeva la pena di essere pubblicata. Perché, ci chiediamo, vengono invece pubblicati libri che anche definire con questo nome è un eccesso di ottimismo? Investire sui piccoli autori di qualità, migliorarne la scrittura e lo sviluppo della storia, eliminare certi orrori tipografici, è compito di una casa editrice. Sarebbe il caso che l'editoria italiana iniziasse a farlo.