Brera in giallo, l'ultima inchiesta di Mario Arrigoni


Dario Crapanzano
Il delitto di via Brera
Fratelli Frilli Editore, 2012

  
Milano, novembre 2012. Da pochi giorni è in libreria Il delitto di via Brera, terzo romanzo di Dario Crapanzano con protagonista Mario Arrigoni.
Come per il precedente, La bella del Chiaravalle, l'anno è il 1952 e il commissario è alle prese con l'omicidio di un pubblicitario avvenuto nel quartiere di Brera, all'epoca zona mista di artisti squattrinati e alta borghesia milanese. Il caso sembra complicato: nessun testimone, tutti i sospettati non hanno un alibi credibile e manca l'arma del delitto. Arrigoni intuisce qualcosa, un indizio che scavando diventerà la prova che incastra l'assassino. La cornice è sempre la Milano degli anni '50 con le sue trattorie, i suoi sanguis (dall'inglese sandwich) e i suoi tram con le panche in legno (presenti ancora oggi nelle linee 1, 5, 19, 23 e 33).
Per i lettori che ancora non conoscessero autore e personaggio, rimandiamo alle due recensioni e all'intervista pubblicate su Critica Letteraria la scorsa primavera.
Questa volta abbiamo deciso di incontrare Dario Crapanzano nella sua Milano. Lo scrittore ci dà appuntamento alla “Cremeria Buonarroti”, in zona Wagner. Arriva in perfetto orario, alto e magro come un moderno don Chisciotte. Ci sediamo a un tavolino all'aperto, il clima è clemente e Crapanzano è un fumatore d'antan, con tanto di bocchino. Ordiniamo un caffè e diamo inizio all'intervista.

D: In questo romanzo la vittima è un uomo, al contrario dei due precedenti in cui erano donne. Qui i personaggi femminili sono tutti positivi, con l'eccezione della contessa. Mentre quelli maschili sono ambigui, come la vittima.
R: Il fatto che le vittime dei due romanzi precedenti erano donne aveva destato qualche curiosità. In effetti quelli femminili sono personaggi più interessanti, almeno per me. Ma questa volta mi sembrava equo, anche per alcune velate e bonarie accuse di misoginia, far morire un uomo. Ho dovuto scegliere un personaggio negativo, ambiguo e viscido. Sono questi, infatti, i personaggi più curiosi dal punto di vista letterario.

D: Questo caso per Arrigoni non è semplice, anche se lo risolve in pochissimi giorni. Pare averne anche poca voglia all'inizio. Poi tutti hanno un movente e nessuno ha un alibi. E la prova...
R: … Non è mica facile trovare la prova, senza farlo notare! In realtà Arrigoni finge di non averne voglia. Gli piace fare un po' il difficile, ma la verità è che è felice di avere, finalmente, qualcosa di serio tra le mani e la stima del suo superiore Respighi. Inoltre per la prima volta, ne Il delitto di via Brera, si spara un colpo di pistola.

D: Domanda più generale. Quanto c'è di Crapanzano in Arrigoni?
R: Niente, almeno fisicamente! I gusti letterari di Arrigoni sono i miei, anche io amo la letteratura del XIX secolo ed entrambi abbiamo una formazione classica. Ma credo che sia inevitabile che uno scrittore riversi una parte di sé nei suoi romanzi, non solo nella sua persona.  La casa di via Tadino del primo romanzo, per esempio, era quella dove viveva un mio amico, solo che era al 19 e non al 17/a, che tra l'altro non esiste. Sempre da quelle parti mia nonna faceva la portinaia; e per la madre di Arrigoni mi sono ispirato a lei. Sono donne che hanno imparato a scrivere da sole, crescendo i figli e togliendosi letteralmente il pane di bocca per farli studiare.

D: Mastrantonio, invece, si sta rivelando un personaggio meno negativo di quello che sembrava.
R: Sì, nel primo era troppo antipatico. Per questo l'ho modificato e ho deciso di farlo innamorare (v. La bella del Chiaravalle, ndr). Ora è più sicuro e meno rompiscatole, tutto merito della signora Marisa!

D: Non pensa di dare più spazio all'ispettore Giovine?
R: Per ora no, perché sarebbe in competizione con Arrigoni. È un personaggio che serve per creare una seconda inchiesta parallela a quella principale. Ma non escludo che in futuro il commissario vada in difficoltà e lui acquisisca spazio. Anche se prima di lui, nella gerarchia, ci sarebbe il vice Mastrantonio.


D: E su Di Pasquale?
R: È un personaggio in divenire. Incarna la simpatia dei napoletani, è molto giovane e molto serio. Nonostante il suo passato di giocatore d'azzardo.

D: A questo proposito. Oltre alla Milano degli anni '50, nei suoi romanzi si ha l'impressione che in quel periodo l'Italia si scopra un Paese unito, finalmente. Lei punta molto sull'aspetto gastronomico. Ad esempio Arrigoni scopre la cucina pugliese grazie alla sua portinaia.
R: Senza dubbio è così. In quel periodo l'Italia è un Paese che inizia ad essere unito e il cibo gioca un ruolo importante. Un esempio è quello dell'olio d'oliva. A Milano si usava unicamente per condire l'insalata e si comprava dall'uliat. La cucina milanese, infatti, è a base di burro: risotto, rustin 'nega e cotoletta dovrebbero essere cotti nel burro, senza l'olio!

D: Veniamo alle portinaie. Perché ce ne sono parecchie nei suoi romanzi. Dicevamo che sua nonna era portinaia in una casa di ringhiera. Che ricordo ha di questa professione, anche in relazione al portiere in livrea di Brera?
R: Innanzitutto bisogna dire che allora le distanze sociali erano accentuate. Quindi la portinaia di una casa popolare era una donna umile, molto semplice, che spesso lavorava in ciabatte. Erano persone genuine, però. Ma soprattutto sapevano tutto di tutti, anche perché le case di ringhiera non lasciavano molto spazio alla privacy. Poi c'era una forte identificazione tra portinaia e porta. Quindi il portiere di via Brera, che custodiva uno stabile alto borghese, doveva rispecchiare un po' i suoi inquilini. Mi sono ispirato a un portiere che all'epoca stava in Corso Vittorio Emanuele (San Babila, ndr) e aveva una bellissima livrea.

D: Arrigoni è molto legato al quartiere di Porta Venezia. Nella scorsa intervista ci confessava che è lì che è nato lei. Chi vive da quelle parti è molto legato alla zona e pur di non lasciarla decide di vivere in case molto piccole, a volte costituite da uno o due locali appena. Qual è il segreto di quel quartiere?
R: Porta Venezia, specie intorno alla via Lazzaretto (lato sinistro di Corso Buenos Aires andando verso Piazzale Loreto, ndr), è una zona che mantiene un certo sapore. Nonostante sia cambiata molto negli anni, si respira un'atmosfera particolare. Io ad esempio sono molto legato a via Tadino, via Casati -dove ho fatto le elementari e le medie- e all'oratorio di San Gregorio in via Settala dove giocavo a pallacanestro. Milano è cambiata molto negli ultimi trent'anni, ma la scuola e l'oratorio sono ancora lì!

D: I suoi libri, a Milano, piacciono molto. Ho letto che ha anche ricevuto un buon consenso critico. La città che lei descrive è lontana anni luce dalla metropoli caotica e alienante di oggi. Sembra un luogo normale, e Arrigoni sembra una persona normale che la sera non ha voglia di happy hour, ma vuole solamente tornare a casa da sua moglie. Secondo lei questa normalità ha contribuito al suo successo? C'è voglia di normalità in giro?
R: Alla seconda domanda rispondo sì. C'è voglia di un mondo più pulito, meno cattivo, meno ossessivo e ossessionante. Di conseguenza gli anni '50, un'epoca di rinascita in cui tutti si davano da fare per costruire un Paese migliore, sono un'ambientazione vincente. Ma il successo credo sia dovuto anche alla mescola dei due ingredienti: da un lato la nostalgia, dall'altro il giallo. Quando pensavo a questo romanzo avevo anche l'idea di mettere in scena un omicidio durante una festa. Ma i sospettati sarebbero stati tutti lì, circoscritti tra chi era presente alla festa. Il mondo dei vent'enni di allora, poi, non è molto stimolante.

D: I suoi romanzi si presterebbero ad un adattamento per una fiction televisiva. Accetterebbe? E chi vedrebbe nei panni di Arrigoni?
R: Accetterei senza troppe esitazioni. Tra l'altro in molti mi dicono che si presta. Ma l'unico che vedrei nei panni del commissario è Battiston, che è un po' giovane rispetto ad Arrigoni, che ha superato i cinquant'anni!

D: Un'ultima considerazione. Lei mi ha fatto l'onore di seguire un mio piccolo suggerimento.   In questo romanzo Arrigoni fa un piacevole incontro dal passato: Angelica Diotallevi, donna per la quale si era preso una bella cotta all'epoca del liceo. Intanto complimenti per il nome di questo personaggio! L'incontro risolleva il morale del commissario....forse anche troppo, visto che si dimentica perfino del suo amato toscano!

Crapanzano mi guarda e sorride. Gli chiedo se sarà previsto un quarto romanzo, di nuovo sorride e mi risponde: “Non ci ho pensato ancora. Ma avendo ambientato La bella del Chiaravalle a maggio del 1952 e questo a luglio dello stesso anno, potrei fare il prossimo a Natale, sempre del 1952. Non posso saltare troppo di anno in anno, altrimenti il 1960 arriva troppo presto!”

Alessio Piras

PS: Proprio oggi Fratelli Frilli informa che Il delitto di via Brera è da sette settimane consecutive in classifica tra i libri più venduti a Milano (ora all'11° posto). Considerando il periodo natalizio, che vede l'uscita di numerose pubblicazioni ad hoc, si tratta di un ottimo risultato che rende merito a un buon scrittore e a un piccolo editore indipendente che ha saputo credere in lui.