a)
Zompo cammina.
Cammina come può. Sta per piovere. Zompo!
La sua ragazza
lo ha lasciato.
Sotto un
manifesto pubblicitario c’è una pozzanghera. Zompo beve.
Ecco che
inizia il collasso gravitazionale di un frammento di una grande nube
molecolare. Opposizione tra moti termici e campi magnetici. Una stella.
Opposizione
tra aorgish e organish. Scontro tra conscio e inconscio nel sentimento.
Campo di
battaglia.
Sala di
ostetricia.
Opera.
Zompo
attraversa la strada, annusa un lampione. Alza la zampa e fa la pipì.
Siamo in
taverna. I muratori, prima dell’ora di pranzo, raccontano la giornata di lavoro
e cantano musica napoletana, sputando ai borghesi in giacca e cravatta.
L’oste-stregone
versa per tutti l’acqua della Senna.
b)
Poi: L’aurore
grelottante en robe rose et verte…
Come si scrive
l’arte?
Un poeta si
aggira tra i salons, con la penna e il taccuino tra le mani.
Arriva il
canto di una fanciulla dai cortili delle caserme, e il vento del mattino soffia
sulle lanterne. Lo sciame dei sogni sporcaccioni tiene ancora gli adolescenti
tra i guanciali, anche se sarebbe l’ora di andare alle zolfare. Una lampada,
simile a un occhio sanguinante, fa una macchia rossa sul giorno. Ci si alza.
L’anima lotta contro il corpo intorpidito, imitando la lotta del sole che si
aggrappa sulle montagne. L’aria piange: perché il nuovo giorno sta nascendo, e
le cose vanno in fuga. L’aria piange: con la rugiada su vetri, perché l’uomo è
stanco di scrivere. Dai balconi, donne che amano stendono i panni e battono i
tappeti. Fa freddo. Una barbona, che è scampata all’incendio dei suoi cartoni,
soffia sulle sue dita. La mattinata singhiozza. Si fa strada la miseria nella
nebbia. Gli agonizzanti si addormentano negli ospedali.
Questo pensava
Zompo mentre, imbevuto di vodka, attraversava l’oriente diretto verso il quinto
piano di un palazzo in centro città, ad Agrigento. Ma che attinenza ha questa
introduzione con ciò che troverai successivamente? Nessuna. Non deve averne
(non la senti?). E allora: inversione a “u”. Si ricomincia.
c)
Artificio:
[ar-ti-fi-cio]. Ciò che è costruito, seguendo le regole dell’arte, per
diventare arte. C’è uno studio, ad Agrigento, al quinto piano di un palazzo costruito
alla fine degli anni sessanta, in cui si fa arte. Sì, arte. Ci sono le tele, i
pennelli, le bottiglie di vino, i cataloghi, i neon che scoppiano, il fermento
neuronale e le delusioni di tre artisti. C’è tutto. Giovanni Scifo, Jianfranz,
Gaetano Vella. Ne parlo un po’, nell’ordine in cui li ho conosciuti, mettendo
accanto al loro nome la caratteristica.
Giovanni Scifo - Bleeding |
1. Giovanni
Scifo. L’oscurità.
Sta in
silenzio. Ascolta con piacere. Poi, dipinge. Soprattutto in solitudine e
plasmando scenari eterei, che sembrano danzare con la musica della foschia e i
colori della notte. Le sue tele esprimono colpi di pennellata piena di tensione
e angoscia. Ma se lo vedessi seduto di fronte al cavalletto, penseresti che non
c’è immagine più quieta di Scifo al lavoro. I temi trattati sono
particolarmente difficili, estrapolati dai miti antichi, dai racconti dark. Si
potrebbe affermare che ogni suo quadro è in movimento, almeno nei contenuti.
Molto elegante, fisso su una scala cromatica equilibrata, ultimamente si sta
rivolgendo anche alla cronaca, dandogli un’impronta originale e fedele
all’imitazione.
2. Jianfranz.
L’haiku.
Il primo verso
è il suo occhio, il secondo la sua bocca, il terzo la sua mano che stringe il
pennello. È un insegnante di arte e una sorta di monaco tibetano che medita
dinanzi le tele. Preciso nei tratti e nei colori, per lui la tela è uno schema,
attraversata da vettori, assi cartesiani, che devono essere seguiti e nascosti
con cura. Tra i migliori fumettisti italiani, da tempo si dedica all’arte non
tralasciando temi sociali. In questo periodo, sente di subire una mutazione: la
figurazione non lo soddisfa più, e così si sta rivolgendo, pian piano, alla
sperimentazione di un nuovo linguaggio, più pedagogico e di rottura con il
sistema, che tecnico. Lo attirano principalmente le avanguardie asiatiche,
dalle quali coglie accuratamente ogni novità.
Gaetano Vella - Ritaglio urbano 5 |
3. Gaetano
Vella. Il baffo.
Forse pensa di
essere un iperrealista, mentre annoda i baffi con le dita. Ma, in realtà, è un
concettualista, un sommelier del concetto, molto fine, che non sbava e si
attiene alla sintesi più estrema. Vola, con la figurazione, dai cassonetti
della spazzatura alle scarpe inutilizzate, dai cartelli stradali a istallazioni
dinamiche che possono essere vissute dal fruitore. In ogni oggetto immette un
pensiero profondo, quasi un racconto, che ti rimanda ovunque. Nessuna pellicola
fotografica riesce a rappresentare meglio ciò che lui, con l’uso del pennello,
rappresenta. Mosso da una creatività inarrestabile, ho notato che la tela non
gli basta. Secondo me, lui sa che tra pochi anni apporterà qualcosa di nuovo
all’arte.
d)
Qual è la
parte più bella? Che Giovanni Scifo, Jianfranz e Gaetano Vella, venendo da
scuole diverse, come tre fiumi, adesso stanno per trovare analogie l’uno
nell’altro. Saranno i dialoghi che nello studio “Artificio” essi intrattengono.
O, forse, le loro anime hanno trovato, con Artificio, il carburante perfetto.
Perché…
Artificio è
uno studio. Che vive per l’arte.
Artificio non
è uno studio. Ma una scrivania con dei colori a olio e tante candele accese.
Artificio è
una escort. Che annaffia le violette sul davanzale.
Artificio è la
radice imbrattata di terriccio della parola libertà.
E Zompo beve
un caffè allo studio Artificio.
Dario Orphée