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Pillole d'Autore: Nelly Sachs, la poetessa dell'olocausto

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“Ma tu capisci, viviamo entrambi nella patria invisibile.”
(Corrispondenze, Il nuovo Melangolo 1996)
Questo scrisse Nelly Sachs a Paul Celan, amico con cui condivise tanto la passione per la poesia che la condizione di esule. Entrambi ebrei, infatti, negli anni del nazismo, erano fuggiti per trovare la salvezza lontano dalla propria patria. Leonie (Nelly) Sachs era tedesca; nacque a Berlino nel 1891 da William Sachs, ebreo, e Margarete Karger. Fu il padre a trasmetterle l’amore per l’arte e per la musica, ma il suo autoritarismo non aiutò Nelly a uscire dal guscio della timidezza e della malinconia. Al contrario, l’opporsi dell’uomo alla relazione intrapresa dalla figlia con un ragazzo di cui non sappiamo il nome, fece cadere la poetessa in uno stato di depressione che l’avvicinò all’anoressia...

Ne uscì solo grazie alla scrittura. A quegli anni risale, infatti, la sua prima raccolta poetica: Leggende e racconti (1921). Nel 1930 William Sachs morì. Rimasta sola con la madre, oltre che isolata a causa delle leggi razziali, si trovò costretta a vendere i beni di famiglia. Col rischio di essere mandata in un campo di lavoro, fuggì nel 1940 alla volta di Stoccolma, grazie all’aiuto di Gudrun Harlan e Vera Lachmann, amiche che ringrazierà e ricorderà costantemente nelle sue lettere a Celan. A Stoccolma la vita non le regalò le gioie sperate: la morte prematura della madre e dei parenti, catturati e deportati, la provano e ferirono nel profondo. Da questo periodo di sofferenza nacquero le raccolte Nelle dimore della morte (In den Wohnungen des Todes 1947) e Le stelle si oscurano (Sternverdunkelung 1949).
Il 1950 seguò un’altra data tristemente importante nella sua vita, poiché fu allora che, preda di una grave malattia mentale, iniziò a trascorrere lunghi periodi in cliniche psichiatriche, al cui interno, come raccontava a Celan, veniva spesso sottoposta a sedute di elettroshock. Nonostante ciò continuò a scrivere (al 1959 risale Fuga e trasformazione e al 1961 Al di là della polvere), decisa a mantenere in vita almeno le sue parole, e nel 1960 poté intraprendere un viaggio che la portò in Germania, poi in Svizzera e infine a Parigi, dove trascorse del tempo con Paul e la famiglia di lui. Nel 1966 venne insignita del premio Nobel, con questa motivazione: 
Per la sua lirica notevole e la scrittura drammatica, che interpreta il destino di Israele con forza toccante. 
Metaforico, drammatico, tanto da essere oscuro e a tratti fortemente realistico, il suo linguaggio è unico, la sua voce un marchio, un fuoco tormentato che non risparmia chi si accinge ad ascoltarla. La polvere (o sabbia), la cenere, sono immagini ricorrenti delle sue poesie, mescolati a continui riferimenti biblici. Ma non c’è possibilità di rinascita da quelle ceneri; avanzano solo, continue e soffocanti, le domande.


Da Nelle dimore della morte:

Ma chi vi tolse la sabbia dalle scarpe,
quando doveste alzarvi per morire?
La sabbia che Israele ha riportato,
la sabbia del suo esilio?
Sabbia rovente del Sinai,
mischiata a gole di usignoli,
mischiata ad ali di farfalla,
mischiata alla polvere inquieta dei serpenti,
mischiata ai grani di salomonica sapienza,
mischiata all’amaro segreto dell’assenzio.

O dita,
che toglieste ai morti la sabbia dalle scarpe,
domani già sarete polvere
nelle scarpe di quelli che verranno.



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Se soltanto sapessi
cosa hai guardato sul punto di morire:
un sasso, che aveva già bevuto
molti sguardi estremi, un cieco sasso
meta di altri sguardi ciechi?

Oppure terra,
sufficiente a riempire una scarpa
e già annerita
da tanto addio
e tanta volontà omicida?

O era forse il tuo ultimo cammino
che ti portava il saluto di tutti i cammini
da te percorsi?

Una pozza d’acqua, un pezzo di metallo luccicante,
forse la fibbia addosso al tuo nemico,
o un altro presagio impercettibile
del cielo?

O forse questa terra
che non congeda nessuno senza amore
ti ha parlato col volo di un uccello
ricordando alla tua anima di quando palpitava
nel corpo riarso dai tormenti?


Da Le stelle si oscurano:


Se i poeti irrompessero 
per le porte della notte,
lo zodiaco dei demoni
come orrida ghirlanda
intorno al capo-
soppesando con le spalle i misteri
dei cieli cadenti e risorgenti-

per quelli che da tempo lasciano l’orrore-

Se i profeti irrompessero
per le porte della notte,
accendendo di una luce d’oro
le vie stellari impresse nelle loro mani-

per quelli che da tempo affondano nel sonno-

Se i profeti irrompessero
per le porte della notte,
incidendo ferite di parole
nei campi della consuetudine,
riportando qualcosa di remoto
per il bracciante

che da tempo a sera ha smesso di aspettare-

Se i poeti irrompessero
per le porte della notte
e cercassero un orecchio come patria-

Orecchio degli uomini
ostruito d’ortica
sapresti ascoltare?

Se la voce dei profeti
soffiasse
nei flauti-ossa dei bambini uccisi, 
espirasse
l’aria bruciata da grida di martirio-
se costruisse un ponte
con gli spenti sospiri dei vecchi-

Orecchio degli uomini
attento alle piccolezze,
sapresti ascoltare?

Se i poeti entrassero sulle ali turbinose dell’eternità
se ti lacerassero l’udito con le parole:
chi di voi vuole far guerra a un mistero,
chi vuole inventare la morte stellare?

Se i profeti si levassero
nella notte degli uomini
come amanti in cerca del cuore dell’amato,
notte degli uomini
avresti un cuore da donare?


Da Fuga e metamorfosi:

Nella fuga
che grande accoglienza
lungo il cammino-

Avvolta
nel panno dei venti
i piedi nella preghiera della sabbia
che non può mai dire Amen
perché deve andare 
dalla pinna all’ala
e oltre.

La farfalla malata
presto saprà di nuovo il mare-
Questa pietra
con l’impronta della mosca
si è offerta alla mia mano-

Invece della patria
stringo le metamorfosi del mondo.


Da Oltre la polvere:


Tu
nella notte
occupata a disimparare il mondo
da lunghissimo tempo
il tuo dito dipinse la grotta di ghiaccio
con la mappa canora di un mare nascosto
che radunava nella conca del tuo orecchio le note,
pietre per il ponte
da questo a un altro mondo,
compito altamente preciso
la cui soluzione
è affidata ai morenti.


Da Enigmi roventi:

I
Questa notte
ho svoltato l’angolo
di un vicolo buio
e la mia ombra mi è venuta in braccio.

Questo vestito stanco
voleva farsi trasportare
e il colore Nulla mi ha parlato:
Sei nell’aldilà!

Su e giù 
nel caldo della stanza
Nel corridoio strepitano i pazzi
con i neri uccelli là fuori
intorno al futuro
Le nostre ferite fanno esplodere il tempo maligno
ma gli orologi vanno lenti-

Quando lascerò questa stanza
protetta dalla malattia
libera di vivere - di morire -
l’aria con il bacio del benvenuto
farà felice la bocca gemella
allora non saprò che cosa
la mia parte invisibile
vorrà fare di me-

Si dissangua la vastità della sera
finché l’oscurità scava la fossa
Nel grembo materno batte
un embrione di sogno
L’aria creatrice lentamente si veste
con la pelle della rinascita
Il dolore si inscrive
con un ventaglio di visioni
Vita e morte continuano-



(Edizione di riferimento: Nelly Sachs, Poesie, Einaudi, 2006)

Selezione e introduzione a cura di Flavia Catena