Cosmopolis di Don DeLillo



Cosmopolis
di Don DeLillo
Einaudi, Torino 2006

10,00 €


Un gioiello. E forse qualcosa più.

Il miliardario Eric Packer prende la fissa di tagliarsi i capelli (o meglio: «aggiustare il taglio») il giorno in cui il Presidente degli Stati Uniti è in visita a New York accolto dalla guerriglia urbana e da svariate forme di protesta. Decide di andarli a tagliare dall’altra parte della città, dal suo parrucchiere di fiducia che, guarda caso, è quello di quando era bambino. Intraprende così il viaggio all’interno della sua limousine che procede a passo d’uomo tra la folla, scortato dalle sue guardie del corpo.

Da quello che può sembrare un pretesto assurdo – il desiderio di un bambino viziato che vuole cose assurde perché può comprarle senza rimproveri – Don DeLillo muove una riflessione narrativa sul tempo e sullo spazio, per comprendere la nostra era. E quindi sulla nostra vita e sulle nostre scelte.

Nel suo lussuosissimo mezzo di trasporto il protagonista incontra di volta in volta i suoi collaboratori, i suoi consulenti, la sua amante, sua moglie e il suo medico. Anzi, il sostituto del suo medico, che gli scopre una prostata asimmetrica.
Lo spazio è quello chiuso della limousine dalla quale è possibile controllare il mondo e avere tutte le informazioni possibili sull’andamento di ogni cosa. Ciò che interessa- ossessiona Packer per tutto il romanzo è l’andamento dello yen sul quale ha investito molto. Dall’interno della sua limousine vede il mondo filtrato, senza viverlo, una rappresentazione, come le migliaia di dati che analizza e che fa fruttare. Lui è quel bambino che a 4 anni aveva calcolato il suo peso su tutti i pianeti del sistema solare. Ed ora non riesce a convincere sua moglie (poetessa dalle poesie che «fanno schifo») a fare sesso con lui.

Eric Packer ha la facoltà di vedere le cose che accadranno, sa leggere i dati e fare previsioni: è lui uno degli artefici di questo sistema di analisi e di governo del tempo. Non può dubitare perché conosce il modo di far rientrare tutto in un sistema economico e ottimizzato. Ma forse qualcosa si sta incrinando: l’incertezza sul comportamento dello yen, il presentimento che i propri sistemi informatici vengano violati, la prostata asimmetrica, il desiderio di andare incontro a qualcosa o qualcuno. La consapevolezza che qualcuno lo sta aspettando o, forse, cercando. E quindi il taglio dei capelli dall’altro capo della città, sfidando chi lo vorrebbe morto per protesta sociale e chi lo vorrebbe uccidere per odio personale.  Un viaggio che alla fine si rivela verso sé stesso.

Nonostante il suo potere economico, intellettuale e le sue capacità nel comprendere come il mondo può essere modellato («La gente mangia e dorme all’ombra di quello che facciamo») Eric Packer è tanto insicuro da voler sfidare il futuro. Sfida i tumulti in città, sfida lo yen, si espone in pubblico (lui che rappresenta quel modello di mondo alla deriva che la gente non sopporta più e vuole fuggire), va incontro al suo assassino e gioca con le armi delle sue guardie del corpo. Già, la sua guardia del corpo …

Il protagonista del romanzo deve dividere il palcoscenico non solo con le altre figure che di tanto in tanto affollano la sua limousine e la riempiono di risposte alle sue domande, osservazioni e teorie, non solo con l’autista, il vecchio parrucchiere e la sua eterea moglie, ma anche con Benno Levin, l’emarginato, il frutto del suo mondo, colui che non è riuscito a stare dietro al baht. Un incontro che non sarebbe possibile senza essere passato prima dal parrucchiere per un taglio lasciato a metà. Benno Levin e Eric Packer sono le due facce di quella stessa umanità che evoca e rifugge il futuro, che se ne vorrebbe far travolgere ma quel tanto che basti per ricevere una spinta necessaria a restare vivi nel presente. Quanto sono inconsistenti le ragioni d’odio di Benno Levin? Questo personaggio rappresenta solamente il rammarico verso la propria incapacità, o è anche e soprattutto quell’Eric Packer che comprende l’impossibile previsione del futuro, la probabilità ossessiva, gli impulsi, le obliquità? Le asimmetrie.

Dialoghi serrati che nella loro sintesi aprono a necessarie riflessioni dell’uomo contemporaneo e su di esso. Quello che vive la sontuosa simbiosi tra tecnologia e capitale senza capire che forma abbia realmente la tecnologia dell’immateriale. Non si parla del capitalismo inteso come impresa, proprietà, lavoro e misurazione di questo. Si tratta di qualcosa che non lascia spazio, che chiude, che crea isterismi perché non permette all’uomo comune di seguire tutti movimenti, le fluttuazioni del mondo: non si riesce a vivere in una continua ansia del futuro e non si accetta nemmeno il presente. Vite cifrate difficili da comprendere anche agli stessi creatori del sistema. Per contrastare questa rincorsa all’indecifrabile tempo che rende indecifrabile ogni identità, la gente si scontra e si accanisce contro simboli («La gente spara ancora ai presidenti? Credevo esistessero degli obiettivi più stimolanti») in forme di protesta stantie («Ma questi non sono i seppellitori. […] questa gente è un’invenzione del libero mercato. […] questi uomini e queste donne sono un suo [del mercato] prodotto. Sono necessari al sistema che disprezzano») che per quanto violenti e desacralizzanti non riescono a produrre nulla di alternativo, né che possa essere fondamento di un qualsiasi altro futuro, visto che la sua corsa verso il presente è inarrestabile («Questa è una protesta contro il futuro. Vogliono tenere a distanza il futuro. Vogliono normalizzarlo, impedirgli di sommergere il presente»).

I dubbi derivano dalle esperienze passate. Ma il passato sta scomparendo. Un tempo conoscevamo il passato ma non il futuro. Le cose stanno cambiando – disse lei – Ci serve una nuova teoria del tempo.

Dal romanzo, David Cronenberg ha tratto l’omonimo film con Robert Pattinson uscito nelle sale nel 2012. 

Fabio Mercanti