Lunedì prossimo, Pride and Prejudice di Jane Austen festeggerà un compleanno importante: saranno trascorsi, infatti, duecento anni dalla pubblicazione, il 28 gennaio 1813, di un romanzo che in verità non fu mai associato al nome dell’autrice
durante la sua vita; per tutti, la Austen era, e rimaneva, la scrittrice di Ragione e Sentimento. Eppure non c’è romanziere,
inglese ma non solo, che non faccia in qualche modo riferimento a questo libro.
Elisabeth Bennet e Mr. Darcy fanno parte dell’immaginario britannico, dai
continui riferimenti in pellicole e testi di successo - ne parlano Meg Ryan e
Tom Hanks in C’è posta per te, scambiandosi
tenere mail, ne sono una versione goffa e pasticciona Bridget Jones e Marc, guarda
caso, Darcy - alle innumerevoli versioni holliwoodiane e bolliwoodiane
che ne sono state tratte, questo libro è nel DNA anglosassone.
Terminato nel 1797,
dopo una pausa fra la prima e la seconda versione durata ben quattordici anni, e
pubblicato nel 1813, non molto prima della morte dell’autrice, il romanzo si
pone a cavallo fra settecento e ottocento, fra Illuminismo e Romanticismo.
La vita della Austen fu
breve e ritirata. Praz, nella sua Storia
della Letteratura inglese, ne fa un ritratto che è, a nostro avviso, è una
delle più brutte pagine di critica letteraria mai scritte. Tratteggia una donnina
repressa, mai baciata da nessuno, la cui più grande emozione è quella del
ballo. E meno male che poi si riscatta paragonandola a Vermeer, per l’attenzione
ai particolari, per i ritratti d’ambiente e di personaggi al chiuso e all’aperto,
nei salotti e nei prati:
“Ammiriamo nella Austen,” ci dice, “la linda stesura notarile, la puntualità delle azioni e reazioni, come l’estremo limite dell’antiromantico, oltre il quale non c’è più arte ma mero discorso logico.”
Certo è che quello
descritto dalla Austen nei suoi romanzi – pochi, a dire il vero, ma tutti
pietre miliari della storia della letteratura anglosassone (“Emma”Sense and Sensibility”
Northranger
Abbey”Persuasion”Conversation pieces
Niente a che vedere con
i romanzi di Smollett, della Richardson, di De Foe, niente di picaresco in Jane
Austen, piuttosto di arguto, di salace, di pensato. Conversazioni garbate,
molto di quel witticism che era
ancora sulla scia del Pope e di Sterne, molto di sensato, di ragionevole, di proper, che deriva dalla saggistica illuminista.
Ma se il secolo dei lumi tramonta, già si profila all’orizzonte l’impeto
romantico – certo non declinato qui in Sturm
und Drang o nel tumulto delle passioni brontiane – e la Austen, suo
malgrado, ne risente, e il sentimento trapela, da un gesto, da una parola, da
un dispiacere soffuso, da un tormento del cuore.
Il pregiudizio è quello di Elisabeth, secondogenita della famiglia
Bennet, intelligente e ribelle come il padre, il cui unico difetto è il
lasciarsi influenzare dalle prime impressioni. Non a caso il titolo originario
del romanzo era First Impressions.
Mr Darcy già precorre l’eroe
romantico, tenebroso come il Rochester di “Jane
Eyre”, bello, ricco e intrigante com’è nel sogno di ogni femmina dalla
preistoria ad oggi. È suo l’orgoglio del
titolo, che lo porta a lottare contro il suo stesso sentimento per Elisabeth, a
reprimerlo, non considerando la famiglia di lei all’altezza della propria.
Appartiene a loro lo
spirito preromantico, mentre alla ridda di personaggi deformati dall’occhio
critico, simili a figure della commedia goldoniana o del teatro di Moliere, compete
l’aura settecentesca.
Sta proprio in questo,
secondo noi, nel contrasto fra “ragione e sentimento”, il fascino che ancora
oggi fa di “Orgoglio e pregiudizio” uno dei romanzi più letti al mondo.
Patrizia Poli
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