Partiture d’acqua e di terra,
di Sandro Boccardi
Nomos edizioni, 2012
pp. 190
€14
di Sandro Boccardi
Nomos edizioni, 2012
pp. 190
€14
Partiture,
ma d’acqua e di terra: con un solo sintagma Sandro Boccardi allude in questo
libro alla musica, amore di tutta una vita, e ad una poetica degli elementi
naturali intesa in modo affatto
personale. L’opera apre con una serie d’inediti e prosegue, in ordine sparso ma
con ancor più sorprendente effetto à
rebours, con una sezione antologica di testi anche parecchio remoti, raccolta
sotto il titolo generale “Il tempo dietro le spalle”. L’effetto sul lettore è
quello di un chiaroscuro continuo – oppure, riprendendo la metafora musicale,
di un contrappunto sapiente – fra presente e passato, come se l’autore volesse
presentare le battute principali di un dialogo incessante con se stesso. Non è
dunque protagonista nessun Io lirico – un Io, del resto, da sempre polimorfo in
Boccardi, proteso tra raffinata intertestualità e garbato distacco - ma il tempus
edax di ovidiana memoria. Sono proprio gli inediti recenti a dare la chiave
di volta della scelta dei testi, forse in parte della stessa poetica
dell’autore: poetica colta e complessa, che spazia dall’afflato religioso alla
cripto citazione, dal calembour all’interesse
scientifico per modi e mondi diversi da quello umano, troppo umano. Conoscevamo
già l’originale approccio di Boccardi alla natura, quel chinarsi
sull’infinitamente piccolo per scorgervi – e per condurvi il lettore attraverso
la magia della parola - l’infinitamente grande; pare tuttavia che in questi
testi recenti la metafisica dello sguardo si precisi, si arricchisca di nuova
assertività. Leggiamo per intero il testo del dittico d’apertura (pag. 21):
A filo d’acqua i filiformi ragni
scattano avanti e
indietro come un pendolo
segnando un centro tra due punti arcani.
Qual è il ghiribizzo di un pensiero
- il silenzio
- la morte?
Pur ogni cosa si muove dall’ombra
anche la nuvola riflessa nella
roggia.
L’interesse
entomologico, una costante nella poetica di Boccardi, si palesa quale via
d’accesso spirituale verso il non ancora e non più, verso l’attimo primigenio
della creazione: anche se queste piccole percezioni sono offuscate dagli scempi
ecologici e civili, il poeta sa coglierle attraverso un punto di vista inaspettato,
eteroclito: quello della formica in Alla
maniera di Hieronymus Bosh ; quello
del riccio ferito, ricordo di fanciullezza e citazione rovesciata del
porcospino montaliano, che a differenza di quest’ultimo non scopre la libertà
della fuga, ma la distruzione di una campagna anch’essa offesa dopo la guerra;
quello delle rane, scelte dagli esperimenti scientifici per la loro natura
anfibia e guardati dal poeta con inquieto occhio simbolico (pag.36):
La rana
allo specchio
l’una nel verde acquitrino
l’altra sul piatto galvanico,
istante e memoria
un guizzo
- un salto.
Riarde così nel frammento l’intero,
il passato confonde il presente,
il presente presume il futuro,
e il logos è brivido e lampo
nel buio.
Proseguendo nella lettura si vede
come la ricerca di un punto di vista aurorale, il bisogno d’immedesimarsi con
l’increato per cogliere (nelle proprie radici e quasi in una nebulosa
arazionale) il mistero della creazione, sia una costante del misticismo poetico
di Boccardi. E adori un dio che non
conosci, dice la chiusa di Alba di
mezzanotte (l’alba o la fine del giorno, momenti anch’essi anfibi, di
soglia). Viene in mente Maister Ekkart, o la Nube della non conoscenza dell’anonimo inglese trecentesco. La
dissolvenza nel non-essere come esercizio spirituale – necessario anche alla
poesia – diventa chiarissima in testi particolarmente complessi come la Pseudosestina, dove l’innesco
dell’ispirazione è dato dalla visione di una creatura strisciante sul muro di
un monastero (biscia, lombrico?); l’artificio
della parola chiave è semanticamente affidato al chiaroscuro luce/buio, vita/non-vita, si carica di
significati escatologici e nel Congedo riassume ben più della tematica di
questo singolo poemetto (pag. 56):
Venne la luce ad abitare il mondo,
era fredda
fredda la gente non l’accolse a
ferma/inferma
parola/baluardo alla bestia nera che
striscia,
che tutto contamina e rovescia ulivi
cerchi schianti
….oh profanata dolcissima stella
Andiamo ora a un testo assai remoto, Buio (1964): vedremo che questo sguardo
insieme mistico e iperrazionale permea la ricerca di Boccardi sin dall’inizio,
potremmo dire dagli albori. Ogni poeta ha una domanda di fondo e forse quella
di Boccardi è proprio l’inchiesta carica di stupore degli antichi
filosofi sull’origine e il destino della materia. Non si smarrisce tuttavia la
ragione in questa indagine; anzi ne risultano potenziati e come illuminati sia
la ragione che l’istinto. Da qui, forse, l’amore pienamente realizzato per
l’arte che unisce il sé il massimo dell’istintualità e della geometria, cioè la
musica: ecco perché a spiegare questo particolare punto di vista è l’esperienza
di Newton, astronomo innamorato della creazione e – con la dovuta, genuina
professione di modestia - alter ego del poeta (pag. 72):
Ma resti fra noi: ad ognuno
nel piccolo della sua mente
tocca un baule a doppio scomparto:
la logica e il sogno
il vero e la frode
due parti di buio e una di chiaro.
Credo che la forza di questa poesia,
confermata come si vede da testi anche molto remoti nel tempo (pensiamo ai vecchi appunti, ai
paesaggi della bassa padana descritti con un simbolismo già maturo nella
sezione La città, al bellissimo requiem Le tempora, a metà fra il salmo e la sestina) sia quella di trasformare la lactea ubertas che la contraddistingue
in una costante ironia: se in un sapido testo giovanile l’autore la chiama questo vestito/ che cela le menzogne ed
esorta a mettersi in guardia contro di essa (pag. 99), a ben vedere lo fa per
essere ironico con tutto e con tutti, persino con l’ironia. Forse nella polifonica ispirazione di
Boccardi, nell’esercizio costante di una sensibilità sottile certamente sempre
più difficile per l’uomo moderno, la poesia non gioca – né potrebbe - il ruolo
di uno strumento qualsiasi: è il direttore d’orchestra. Gli strumenti sono le
esperienze di una vita spesa per l’arte, che in Boccardi è eleborazione
simbolica di una realtà troppo assurda per non cercarne il senso nell’altrove e
troppo appassionatamente bella per non volerla vivere in pienezza, qui e
adesso.
Alessandra Paganardi
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