Ragione e rivelazione
Introduzione alla filosofia della religione
di Pio Colonnello e Pasquale Giustiniani
Borla, 2003
pp. 400
Dicono bene Colonnello e Giustiniani tra le primissime righe del loro bel libro, Ragione e rivelazione: riflettere, o meglio, riflettere dubitando su un oggetto di studio [1] complesso come la religione, implica il raggiungimento ovvio dei limiti della ragione. Perché la religione è un oggetto "immenso, che evoca insondabilità e non-riconducibilità" [2]. Se poi teniamo conto che questa riflessione si svolge in un'età, quella contemporanea, particolarmente complessa, allora... allora le cose si infittiscono, per non dire che si mettono - filosoficamente - male. Ed ecco, dunque, la domanda più pericolosa: come produrre un concetto sulla divinità, la quale, per statuto [3] sfugge a qualunque concettualizzazione?
Con il puro intelletto umano, che illumina, o tende di illuminare, le tenebre del non sapere. Oggi, comunque, come sottolineano gli studiosi del testo di cui qui si sta trattando, vi è una debolezza di pensiero che, permettendo i gioco di parole, pensa carentemente l’assoluto. Ciò è dovuto a uno degli effetti della laicizzazione: l'inaridimento delle forme di narrazione religiosa, siano esse artistiche o letterarie. Ridare dignità all’arte e alla letteratura, come momenti che non solo conservano, ma, addirittura, rappresentano l’assoluto, potrebbe, in qualche modo, anche se non so dire in che misura, dare una svolta alla crisi della teodicea moderna. Che tale crisi sia generata proprio da un’ossessiva ricerca intellettuale?, ovvero da una fredda ricerca di risposte (al male, al non senso, ecc.) non coadiuvata dal calore della mania, come Platone fece pronunciare a Socrate, attore protagonista di quei meravigliosi dialoghi [4] simili a tragedie?
Introduzione alla filosofia della religione
di Pio Colonnello e Pasquale Giustiniani
Borla, 2003
pp. 400
Dicono bene Colonnello e Giustiniani tra le primissime righe del loro bel libro, Ragione e rivelazione: riflettere, o meglio, riflettere dubitando su un oggetto di studio [1] complesso come la religione, implica il raggiungimento ovvio dei limiti della ragione. Perché la religione è un oggetto "immenso, che evoca insondabilità e non-riconducibilità" [2]. Se poi teniamo conto che questa riflessione si svolge in un'età, quella contemporanea, particolarmente complessa, allora... allora le cose si infittiscono, per non dire che si mettono - filosoficamente - male. Ed ecco, dunque, la domanda più pericolosa: come produrre un concetto sulla divinità, la quale, per statuto [3] sfugge a qualunque concettualizzazione?
Con il puro intelletto umano, che illumina, o tende di illuminare, le tenebre del non sapere. Oggi, comunque, come sottolineano gli studiosi del testo di cui qui si sta trattando, vi è una debolezza di pensiero che, permettendo i gioco di parole, pensa carentemente l’assoluto. Ciò è dovuto a uno degli effetti della laicizzazione: l'inaridimento delle forme di narrazione religiosa, siano esse artistiche o letterarie. Ridare dignità all’arte e alla letteratura, come momenti che non solo conservano, ma, addirittura, rappresentano l’assoluto, potrebbe, in qualche modo, anche se non so dire in che misura, dare una svolta alla crisi della teodicea moderna. Che tale crisi sia generata proprio da un’ossessiva ricerca intellettuale?, ovvero da una fredda ricerca di risposte (al male, al non senso, ecc.) non coadiuvata dal calore della mania, come Platone fece pronunciare a Socrate, attore protagonista di quei meravigliosi dialoghi [4] simili a tragedie?
Resta il problema, però, del senso: ha senso il bene, il
male? Ha senso il senso?, scrivono Colonello e Giustiniani? Chissà. Di certo, "ritornano, cambiate di tono, le antiche
domande" [5]. Un’ulteriore domanda a quelle esposte
sopra, perché il pregio della filosofia sta nel proporre domande, è: la storia
ha voluto concentrarsi sulla scienza perché insoddisfatta della poesia,
ritenendola limitata, o perché ha avuto paura della parola poetica [6]?
Piuttosto che usare sempre le solite tonalità melodiche, le quali ci accompagnano sul pentagramma degli enigmi dell’esistenza nostra, oltre
ad aver ormai compreso che l’epoca corrente è lo spettacolo di un tramonto che
erode quello che pian piano smette di illuminare [7], sarebbe bene avanzare una
ri-configurazione delle formulazioni filosofiche e religiose. Liquidare ogni
domanda non produrrebbe alcun suono, e saremmo ancora tra le tenebre del non
sapere. Così, dunque, come si passò in musica dalla monodia alla polifonia,
producendo nuovi sapori alle orecchie, tale ri-configurazione intesa da
Colonnello e Giustiniani trasforma (o trasformerebbe) il modo di concepire i "termini in gioco" [8]: il passaggio deve essere effettuato
dalle relazioni interpersonali tra soggetti umani alle relazioni tra soggetti
religiosi.
È pur vero che il soggetto religioso sta fuori il
soggetto uomo. Sta altrove. Ma è altrettanto vero che esso risulta pensabile.
Anzi, desiderabile! Come? "Mediante
nuove formulazioni delle domande" [9], mediante nuovi tragitti. L’assoluto domanda di ritornare all’idea; ma con una
domanda corretta, stavolta. Eppure, questo non sembra sufficiente. Il passo che
ci porta a una filosofia della religione è la fede, o meglio: tentare di
sentire l’assoluto tramite la ragione (e non unicamente cercarlo), per sentirlo
con il sentimento[10]. Cosa significa? Questo:
piuttosto che utilizzare la ragione-faro per illuminare il senso delle cose
forse da sempre battute dal sole di mezzogiorno, potrebbe essere preferibile abbandonarsi
alle tenebre, e lì, con il sentimento, scovare la verità.
La
filosofia, che contiene in sé la ricerca della verità con una spinta
sentimentale (con amore), e la religione, che vede l’amore come verità, se
unite in un nuovo rapporto, con aspetto critico nei confronti della modernità,
potrebbe "sospingere gli uomini dell’inizio di
questo millennio" [11] a fornire una filosofia della religione
non più “bipolare”. L’Assoluto, dunque, non è soltanto una speculazione filosofica che rimane
all’interno dei libri, ma ha vita a partire da essi e, fuori di essi, si
manifesta come realtà (nella natura o nell’arte), presente per l’intelletto in
cerca. Il punto è fare esperienza dell'Assoluto.
L’esperienza, infatti, comporta sia l’aspetto dell’abbandono fiducioso, come si verifica ad esempio nell’atmosfera religiosa di preghiera, in cui l’orante si può appunto abbandonare al “suo” Assoluto e al “suo” Sacro, sia quello di un movimento ulteriore di ricerca, che l’intelligenza può promuovere e favorire, approfondendo il credo iniziale, oppure educando la fiducia di partenza messa in moto dalla religione stessa. Si aprono, così, ulteriori spiragli. Dio può essere ritenuto esperimentabile/pensabile dall’uomo, ma pur sempre all’interno della finitudine e della determinatezza umana. [12]
L’esperienza appare qui quasi come una delle
possibili risposte alle domande filosofiche sulla religione. Essa non è da
prendersi come rivelazione: il mistero, in quanto tale, rimane lontano
dall’uomo. Ma, tuttavia, l’esperienza del mistero darebbe fiducia: perché aver
esperienza religiosa gratificherebbe l’intelletto che si sforza nella ricerca. Essa, però, ha un difetto, se in questo modo
possiamo definirlo: è vissuta dal soggetto, e rimane non narrabile (forse), come
se fosse una bellissima melodia, impossibile da tradurre a parole. Siamo nelle tenebre (del linguaggio). Ma come parlare dell’esperienza religiosa? E ci si spinge
anche oltre: dato che l’oggetto di una esperienza religiosa sta nell’anima che
di chi la prova, fino a che punto possiamo considerarlo reale[13]? Secondo Colonnello e
Giustiniani si deve intervenire fornendo interrogativi terapeutici, ovvero rintracciando la struttura dell’oggetto in base
a due aspetti:
a. Perimetrazione, sondando il campo di
ricerca,
b. Configurazione
dell’oggetto, individuando le domande corrette rispetto alla ragione.
Il problema inevitabile è che entrare nell’esperienza religiosa sarebbe come entrare in un labirinto. Colonnello e Giustiniani sottolineano, per la ragione che cerca, proprio questo aspetto tragico. E allora, diverrebbe inevitabile innervosirsi e urlare: insomma, non usciamo mai dalle tenebre? Il punto è proprio questo: la ragione che cerca il suo oggetto non deve affatto uscire dalle tenebre, ma entrarci, perché:
Il problema inevitabile è che entrare nell’esperienza religiosa sarebbe come entrare in un labirinto. Colonnello e Giustiniani sottolineano, per la ragione che cerca, proprio questo aspetto tragico. E allora, diverrebbe inevitabile innervosirsi e urlare: insomma, non usciamo mai dalle tenebre? Il punto è proprio questo: la ragione che cerca il suo oggetto non deve affatto uscire dalle tenebre, ma entrarci, perché:
[...] Invece dell’abdicazione o del ritiro onorevole dal campo dell’esperienza religiosa, il nostro potrebbe anche configurarsi come il tempo di un nuovo coraggio nell’esercizio di una ragione, sicuramente consapevole dei propri limiti, ma anche pronta a esercitarsi qualora si trovasse di fronte al passaggio, nella propria sfera, di quanto ha a che fare con il divino... [14]
Dario Orphée
[1] Pio Colonnello - Pasquale Giustiniani,
Ragione e rivelazione, Borla, pag. 17.
[2] Pio Colonnello - Pasquale Giustiniani,
cit., pag. 17.
[3] Pio Colonnello - Pasquale Giustiniani,
cit., pag. 18.
[4] I dialoghi platonici sono uno strumento,
uno dei primi strumenti, di verità.
[5] Pio Colonnello - Pasquale Giustiniani,
cit., pag. 22.
[6] Il nostro periodo storico sembra aver dimenticato
l’etimologia della parola logos. Tuttavia, vorrei solo sottolineare un fatto
banale, che, prendendolo a esempio, potrebbe far comprendere quanto la poesia
sia importante. Omero ed Empedocle, per Aristotele, erano scienza, scienza da
verificare. Lo dimostra il modo in cui quest’ultimo tratta i poemi, e gli
influssi omerici ed empedoclei nei suoi appunti.
[7] Colonello e Giustiniani parlano di una “crisi
di solarità” del soggetto e dell’Assoluto. Pio Colonnello - Pasquale
Giustiniani, cit., pag. 24.
[8] Pio Colonnello - Pasquale Giustiniani,
cit., pag. 25.
[9] Pio Colonnello - Pasquale Giustiniani,
cit., pag. 27.
[10] Cfr. Pio Colonnello - Pasquale
Giustiniani, cit., pag. 28.
[11] Pio
Colonnello - Pasquale Giustiniani, cit., 40.
[12] Pio
Colonnello - Pasquale Giustiniani , cit., pag. 44.
[13] Cfr. Pio Colonnello - Pasquale
Giustiniani, cit., pag. 59.
[14] Pio Colonnello - Pasquale Giustiniani,
cit., pag. 65.
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