Un'eredità di avorio e ambra
di Edmund de Waal
Bollati Boringhieri
Sopravvivere agli altri è dura.
Una
recensione su questo libro, nel giorno della memoria, vuol dire non
lasciare nulla al caso. Un'eredità di avorio e ambra
nelle sue pagine sulla follia nazista e su come 264 piccoli
ninnoli d'avorio vi siano sopravvissuti, racconta molto altro. Si
tratta di un libro ricco di spunti, tanto che un discorso che lo
riguardi potrebbe inserirsi in una riflessione sulla storia
dell'arte, della letteratura, nonché quella dell'olocausto; si
rivela il romanzo di una ricerca, e dei sorprendenti risvolti
letterari, artistici e umani che ha riservato all'autore,
protagonista di uno studio a ritroso sulle sue origini familiari.
Alcuni netsuke |
Edmund
de Waal, l'autore, è uno stimato ceramista che ha esposto pure al
Victoria & Albert Museum. La biografia che si può leggere nel
suo sito personale, dice anche che molti
dei suoi recenti lavori riguardano le idee del collezionismo e delle
collezioni, come gli oggetti sono tenuti insieme, persi, rubati o
dispersi. Parole che si adattano meravigliosamente alla sua carriera
di artista – se si considerano le installazioni delle sue
ceramiche, che richiamano subito alla memoria le opere di Giorgio
Morandi - così come si adattano a quella di scrittore, nonché di
erede di questa collezione di netsuke, di cui ha tracciato la storia
che passa dalla Parigi di Proust alla Tokyo dei primi anni Novanta.
Le ceramiche di de Waal |
Diviso in quattro parti, la prima si svolge a Parigi, tra il 1871 e
il 1899, quando Charles Ephrussi acquista i netsuke, in un periodo in
cui l'arte giapponese cominciava ad essere scoperta ed apprezzata. De
Waal parla di come Charles li comprò in blocco, di come acquistò
una vetrina molto grande, abbastanza da ospitare 264 ninnoli
d'avorio, di come nel tempo sia cresciuta la considerazione dello
stesso de Waal per le vetrine. E sciorina riflessioni da artista,
mentre racconta di come inizialmente mal sopportava che le sue
ceramiche venissero esposte in delle teche, nei musei, era come se
mancasse loro l'aria.
Le vetrine esistono perché gli oggetti siano visibili ma non possano essere toccati: li incorniciano, li sospendono, ammaliano lo spettatore stabilendo una distanza.Ecco cosa non avevo finora capito delle vetrine.[...] A differenza dell'espositore di un museo, la vetrina è fatta per essere aperta, e quell'anta di vetro che si apre, il momento dello sguardo e poi della scelta, della mano che affonda e delle dita che stringono...be', è un momento di seduzione, un incontro elettrico fra mano e oggetto.[...] La vetrinetta di Charles è una soglia.
Chi
è Charles Ephrussi?
De Waal, suo discendente per parti materne, ha ereditato da quel ramo della famiglia le sue origini ebraiche. Charles è originario di Odessa, in cui la sua famiglia possedeva enormi quantità di grano; trasferitosi a Parigi, diventa tra le personalità più importanti della vita culturale parigina di quegli anni. Chi volesse scoprire perché potrebbe indagare tra le pagine della Recherche proustiana – poiché viene considerato uno dei due uomini che ispirarono Proust per il personaggio di Charles Swann - o piuttosto tra volti della Colazione dei canottieri di Renoir: Charles Ephrussi era direttore della "Gazette des Beaux-Arts", un collezionista d'arte, come pure mecenate di impressionisti come Renoir, che lo immortalò in uno dei suoi capolavori.
De Waal, suo discendente per parti materne, ha ereditato da quel ramo della famiglia le sue origini ebraiche. Charles è originario di Odessa, in cui la sua famiglia possedeva enormi quantità di grano; trasferitosi a Parigi, diventa tra le personalità più importanti della vita culturale parigina di quegli anni. Chi volesse scoprire perché potrebbe indagare tra le pagine della Recherche proustiana – poiché viene considerato uno dei due uomini che ispirarono Proust per il personaggio di Charles Swann - o piuttosto tra volti della Colazione dei canottieri di Renoir: Charles Ephrussi era direttore della "Gazette des Beaux-Arts", un collezionista d'arte, come pure mecenate di impressionisti come Renoir, che lo immortalò in uno dei suoi capolavori.
La colazione dei canottieri di Renoir |
E' un tipico dopo pranzo di quella cerchia che vede riuniti pittori, attrici e mecenati, in cui tutti sono amici. I personaggi di Renoir fumano, bevono e chiacchierano tra le bottiglie vuote e gli avanzi del pasto sul tavolo. Qui davvero sono bandite regole e convenzioni.L'attrice Ellen Andrée, con un fiore appuntato al copricapo, si porta il bicchiere alle labbra. Il barone Raoul Varbier, ex sindaco della colonia di Saigon, con la bombetta marrone piegata all'indietro, parlotta con la giovane figlia del ristoratore. Il fratello della ragazza, con il cappello da vogatore, sorveglia la scena in piedi, in primo piano. Caillebotte, rilassato e in gran forma, con la canottiera bianca e la paglietta, è seduto a cavalcioni sulla sedia e guarda la giovane sartina Aline Charigot, amante e futura moglie di Renoir. Il pittore Paul Lhote passa un braccio possessivo attorno alla vita dell'attrice Jeanne Samary. Il quadro è un mosaico di conversazioni affabili e amoreggiamenti.E Charles è tra loro, l'uomo in fondo alla composizione con il cilindro e l'abito nero. Dà le spalle all'osservatore, di lui si intravede appena la barba rossiccia, mentre conversa con un cordiale Laforgue dalla barba incolta, vestito da vero poeta con un berretto da operaio e quella che sembra una giacca di velluto a coste.[...] Proust allude a questi dipinto quando parla del «signore raffigurato col cilindro nel quadro del ballo popolare...dove fa un effetto piuttosto comico così vestito», il medesimo signore di cui «i Guermantes possedevano il ritratto ufficiale [e che] è stato, per Elstir, una specie di Mecenate».Charles è chiaramento fuori posto, «sembra un piccolo notaio di provincia un po' brillo» ma è un modello da ritrarre, un amico e un finanziatore e ha dunque diritto a stare insieme al gruppo. Charles Ephrussi – o almeno la sua nuca – entra nella storia dell'arte.
E quest'osmosi tra storia
dell'arte e letteratura che appassiona, in tutto romanzo, e Charles
si rivela un vero protagonista della cultura del suo tempo: affascinò
scrittori, finanziò gli impressionisti, li sostenne nella loro
battaglia contro le convenzioni artistiche che riuscirono a
scardinare, collezionò ninnoli giapponesi, fece della sua casa un
salotto d'ispirazione, una galleria d'arte; si impose come
personaggio pubblico, promosse una raccolta di fondi per l'acquisto
di un Botticelli, da parte del Louvre. Proust
si abbevera alla celestiale conversazione di Charles, al suo modo di disporre i tesori d'arte, al suo prestigio in società. [...] Il suo gusto privato è diventato di pubblico dominio.
E
de Waal, nel suo romanzo, dedica parecchie righe ad una lista di
analogie tra il suo antenato e il protagonista della Recherche
proustiana. Entrambi ebrei, mondani, cultori di arte, appassionati di
pittura italiana, affascinati da strani argomenti come i medaglioni
alchemici di San Marco, collezionisti, mecenati degli impresisonisti;
autori di monografie d'arte,
Ed entrambi sono dreyfusisti che scoprono come la propria vita, messa in scena con tanta cura, possa all'improvviso andare in pezzi soltanto per il fatto di essere ebrei.
Se per un verso Charles Ephrussi
divenne molto noto per le sue attività di storico e critico d'arte,
di collezionista e di mecenate, per un altro lo era anche a causa
della famiglia di cui faceva parte: gli Ephrussi, proprietari del
grano, tra i banchieri nuovi arrivati, erano
ritenuti rensponsabili della catena di scandali finanziari degli anni ottanta
quindi costituivano un bersaglio
frequente della stampa antisemita. E anche questo fa parte della
ricerca di de Waal.
Mi impongo di leggere questa robaccia: i libri e il giornale di Drumont, i numerosi libelli in plurime edizioni, le versioni inglesi. Nella mia biblioteca londinese, qualcuno ha annotato un volume sugli ebrei di Parigi, accanto al cognome Ephrussi, scritta a matita in accurato stampatello maiuscolo, leggo la parola ladri. [...]Gli antisemiti hanno bisogno di riportare gli ebrei ai loro luoghi d'origine, spogliarli della loro sofisticata vita parigina.
La seconda parte del romanzo si
svolge a Vienna, poiché Charles donò la collezione di netsuke al
cugino Viktor e alla moglie Emmy. Un'altra splendida città, un altro
Palazzo Ephrussi, un'altra coppia di ebrei in vista, ma stavolta i
netsuke occuparono un posto diverso: una teca li custodì nel bodoir
di Emmy, un luogo intimo – non come un salotto – in cui i figli
della baronessa giocavano con quei ninnoli: un'intimità che sa di
tappeti su cui adagiarsi a giocare, armadi, profumo femminile e
vestaglie adagiate sulle sedie.
Ancora una volta de Waal va in
cerca dei suoi antenati nella letteratura. Stavolta tocca a Joseph
Roth, l'ebreo austriaco, in cui ritrova personaggi ispirati alla
ricca famiglia ebrea, sono banchieri.
Le vite dei miei antenati viennesi venivano riflesse nei libri proprio come accadeva a quella di Charles nella Parigi di Proust. Dai romanzi continua ad affiorare il disprezzo per gli Ephrussi.
Il dieci marzo 1938, in piena
notte, i nazisti irrompono al Palais Ephrussi. Rovistano dappertutto,
dopo aver radunato i padroni di casa in biblioteca. È come
un'esplorazione, voglio sapere cos'hanno in casa: il saccheggio
arriverà poco più tardi, a fine aprile, quando pur abitandoci, il
Palais Ephrussi non sarà più la loro casa.
In tutta Vienna vengono abbattute porte, mentre i bambini vanno a nascondersi dietro i genitori, sotto i letti, negli armadi, ovunque pur di sfuggire agli strepiti dei padri e dei fratelli arrestati, pestati, condotti fuori e caricati sui camion, delle madri e delle sorelle violentate. E in tutta Vienna la gente fa man bassa di ciò che doveva già essere suo, che adesso è suo di diritto.
Si sappia solo che i netsuke,
fabbricati in Giappone nel Settencento, approdati nella Parigi di Proust e Renoir, assistettero all'avvento
del Nazismo, a Vienna, e ad un periodo di pace, a Tokyo, sono ora
custoditi da de Waal. Non uno di loro è andato perduto, non uno di
loro si è rotto.