Confessioni di una maschera
Yukio Mishima
Feltrinelli, 2002 (1948)
136 pp.
Che Yukio Mishima riesca a infondere con la propria penna tutta la forza e la dirompenza del suo animo travagliato è cosa nota. Ma che in quello che spesso viene considerato il suo capolavoro, Confessioni di una maschera, uscito nel '48 in Giappone, l'autore giapponese riesca addirittura a trattare - involontariamente forse - una delle tematiche più attuali del dibattito etico e morale odierno, il rapporto tra giovani e omosessualità, nella sua maniera personalissima, congiungendo lirismo e forza, patetismo e introspezione, con penna delicata e una leggerezza d'animo che lascia persino sgorgare spiritualità da ogni parola del romanzo, forse non è noto a tutti. L'opera è apparentemente autobiografica e narra la storia di un giovane ragazzo giapponese, Kochan, che lentamente scopre la propria indifferenza verso il sesso femminile in una società dal maschilismo esasperato e dal militarismo spiccato. La sua sensibilità, magistralmente evidenziata dalla penna di Mishima, porta il ragazzo a grandi difficoltà nell'inserirsi all'interno del gruppo scolastico, anche per via della sua costituzione gracile e del suo fisico non prestante. La sua crescente adorazione per il culto del machismo - se così lo si può chiamare, ovvero per lo stereotipo del maschio vigoroso, forte e un po' gretto intellettualmente - accompagna tutta la durata dell'opera, costellando il percorso interiore di Kochan - che lo porta a scegliere di vivere come una maschera, ovvero a fingere di essere "come tutti gli altri" - con excursus nel tema mishimiano del suicidio e dell'ardore per la guerra e per la morte. Excursus che inteneriscono, ingentilendo e per certi versi rendendolo anche ingenuo, ma con raffinatezza, la presa di coscienza, da parte di Kochan, della propria omosessualità.
Un libro che non può fare altro che intenerire, commuovere e far riflettere. Nel suo saper combinare tutti i temi dell'opera con impulsività mediata dalla gentilezza della sua arte letteraria, Mishima realizza una piccola gemma di qualcosa che, volendo per forza trovare degli schemi letterari, può essere inserito in un contesto "post-decadente", puntando dritto al cuore del lettore e scatenando in ogni singola frase un'aura quasi dannunziana, ma che in Mishima - autore che probabilmente aveva interiorizzato a fondo lo spirito del suo paese - si vela di una delicatezza che richiama la tradizione estetica giapponese, fatta di vuoti più che di pieni, di cose da leggere "fra le righe", di scelte stilistiche che nella loro impetuosità lasciano emergere un lavoro intellettuale superiore.
Un'opera che non risente affatto dei suoi (ormai) sessantacinque anni e che resta attualissima, di rara finezza intellettuale e morale e di una potenza narrativa magnificente. Monumento della letteratura contemporanea.
Giuseppe Novella
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