di Leopoldo Lugones
Internòs, 2012
Ci sono due fraintendimenti alla base della narrativa di fantascienza. Il primo è che la fantascienza [...] si occupi del futuro, che essa sia, fondamentalmente, profetica. [...] Il secondo fraintendimento, una sorta di fraintendimento al quadrato, facile da credere una volta che si sia dato per scontato che 'la fantascienza si occupi di prevedere il futuro', è questo: la fantascienza riguarda un presente che non c'è più. In particolare, la fantascienza riguarda solo il periodo in cui è stata scritta [...] Questo è vero, in linea generale, ma lo è sia per la fantascienza che per ogni altro genere narrativo: i nostri racconti sono sempre il frutto dei nostri tempi. La fantascienza, così come ogni altra forma d'arte, è un prodotto della sua epoca, che riflette o reagisce o illumina i pregiudizi, le paure e i presupposti del periodo in cui è stata scritta. Ma la fantascienza è qualcosa di più [...] La cosa importante nella buona fantascienza, quella che produce la fantascienza destinata a durare, è il modo in cui essa ci parla del nostro presente. Cos'è che adesso ci dice? E, ancora più importante, cosa ci dirà sempre? Poiché la fantascienza diventa una pratica di scrittura significativa e ricca di implicazioni quando tratta qualcosa di più grande e più importante dello Zeitgeist, che fosse o meno intenzione dell'autore.
Questa citazione dello scrittore, giornalista, autore di fumetti e sceneggiatore britannico Neil Gaiman è necessaria per introdurre questa piccola raccolta di racconti Yzur dello scrittore argentino Leopoldo Lugones. Senza di essa non si potrebbe comprendere come egli sia stato uno degli inventori della moderna fantascienza.
Questi piccoli e brevi (anzi brevissimi) racconti non parlano, infatti, di astronavi o realtà alternative ma, piuttosto, di tentativi (falliti) di far parlare una scimmia, di una versione alternativa della storia d'amore tra Paolo e Francesca, di piogge di fuoco e di statue di sale. Insomma, tali storie non prevedono certo un futuro lontano o vicino, ma non hanno realmente tempo e per questo, come ben scrive Neil Gailman, "ci parlano del nostro presente", sempre e in ogni epoca. Ma lasciamo la parola all'autore nel racconto che dà il titolo al libro. Come abbiamo anticipato, questo racconto parla dei tentativi del protagonista di far parlare la sua scimmia (Yzur):
Inutile dire che passai quella notte preda di una grande emozione; e ciò che non avevo commesso in tre anni, l'errore che mandò a monte tutto, fu causato dallo sfinimento di quella veglia, non meno che dalla mia eccessiva curiosità. Invece di lasciare che la scimmia arrivasse naturalmente alla manifestazione del linguaggio, la chiamai il giorno seguente e volli imporgliela per obbedienza. Non ottenni che le pi e le emme di cui ero ormai stanco, le strizzatine d'occhio ipocrite e - Dio mi perdoni - un certo barlume di ironia nell'inquieta ubiquità delle sue smorfie. Mi infuriai e, senza alcuna giustificazione, lo picchiai. L'unica cosa che ottenni fu il suo pianto e un silenzio assoluto che escludeva perfino i gemiti. Tre giorni dopo si ammalò, cadendo in una specie di oscura demenza complicata da sintomi di meningite. [...] Migliorò molto lentamente, ma rimase così debole che non poteva muoversi dal letto. La vicinanza della morte lo aveva nobilitato e umanizzato. I suoi occhi pieni di gratitudine non mi lasciavano un istante, seguendomi per tutta la stanza come due sfere girevoli, anche se mi trovavo dietro di lui; la sua mano cercava le mie in una intimità di convalescenza. Nella mia grande solitudine, andava acquistando rapidamente l'importanza di una persona.
In questo breve passo c'è tutto Lugones e ciò che egli intende per fantascienza. C'è, certamente, l'elemento fantastico, ma c'è molto molto di più. Innanzitutto l'aspetto umano che è il vero protagonista di questa vicenda. L'aspetto umano del protagonista e della scimmia e le relazioni che i due protagonisti (poco importa se l'uno è un uomo e l'altro una scimmia) intrecceranno fino alla conclusione della vicenda.
Stesso atteggiamento lo si intuisce anche in un altro racconto presente in questo libro, La pioggia di fuoco, che è quello che il vostro recensore ha gradito maggiormente. Iniziamo, subito, a citarne un passo:
Mi risvegliai bagnato di sudore, gli occhi pesti, la gola secca. Fuori un rumore di pioggia. Cercando qualcosa, mi appoggiai alla parete e lungo il mio corpo corse come una frustata il brivido della paura. La parete era calda e scossa da una sorda vibrazione. Quasi non ebbi bisogno di aprire la finestra per rendermi conto di quanto stava accadendo. La pioggia di rame era tornata, ma stavolta nutrita e compatta. Un vapore caliginoso soffocava la città: un odore tra il fosfato e l'urina appestava l'aria. Per fortuna la mia casa era circondata da porticati e quella pioggia non raggiungeva le porte. Aprii quella che dava sul giardino. Gli alberi erano neri, ormai privi di fogliame; il terreno, coperto di foglie carbonizzate. L'aria, rigata da virgole di fuoco, era di una pesantezza mortale; s'intravedeva il firmamento, sempre impassibile, sempre celeste. Chiamai, chiamai invano. Mi spinsi fino agli alloggi dei domestici. Se n'erano andati. Avvolte le gambe in una coperta di bisso, corazzandomi la testa e le spalle con una tinozza di metallo che mi opprimeva orribilmente, riuscii a raggiungere le scuderie. Anche i cavalli erano scomparsi. Con una tranquillità che faceva onore ai miei nervi, mi resi conto di essere perduto. Fortunatamente, la dispensa era piena di provviste e la cantina stipata di vini. Vi scesi. Conservava ancora la sua frescura; laggiù non giungeva la vibrazione della pesante pioggia, l'eco del suo sonoro crepitare. Bevvi una bottiglia, e poi estrassi dal ripostiglio segreto la boccetta di vino avvelenato. Tutti noi che avevamo una cantina ne possedevano una, anche se non prevedevamo di doverla usare noi stessi o con qualche convitato molesto. Era un liquore chiaro e limpido, dagli effetti istantanei. Rianimato dal vino, esaminai la mia situazione. Era assai semplice. Non potendo fuggire, mi aspettava la morte, ma quel veleno mi consentiva di stabilire io quando e come morire. Decisi di vedere tutto il possibile, perché lo spettacolo era senz'altro singolare. Una pioggia di rame incandescente! La città in fiamme! Valeva la pena.
Anche nel passo di questo racconto, come si può notare facilmente, possiamo individuare gli elementi caratteristici della scrittura di Lugones. A prima vista, infatti, siamo certamente colpiti dall'elemento fantastico: una città che, improvvisamente, viene colpita da una tempesta di fuoco. Ma, mano a mano che proseguiamo nella lettura, quest'elemento perde d'importanza e assume centralità l'aspetto umano. In questo caso, rispetto a Yzur, il protagonista è solo e certamente maggiormente caratterizzato (se ne può intuire, ad esempio, la classe sociale di riferimento), ma ciò che importa è come egli si rapporta nei confronti della morte. Altro elemento certamente centrale, in questo ma in tutti i racconti presenti in Yzur, è la collocazione cronologica. Come abbiamo certamente notato nei passi di questi due racconti, così diversi ma al tempo stesso così simili tra loro, non si riesce con certezza ad individuare il periodo in cui classificarli. Una scelta certamente voluta e meditata, proprio per meglio caratterizzarne l'aspetto umano e, dunque, la loro universalità.
Nello stesso racconto che sembrerebbe meglio inquadrarsi storicamente, quello su Paolo e Francesca, siamo certi che si parli proprio di loro? O non è, forse, come sembrerebbe, un espediente letterario per dare all'amore come sentimento universalistico il nome di due protagonisti letterari? E, dunque, forse, anche questo è un racconto senza tempo?
La rude prova cui era sottoposta non le aveva fatto perder il gusto per le sete sontuose, per i gioielli e l'avorio; e c'è da credere che nella sua dolce mollezza entrasse non poco lo spirito di quel leggendario malvasia, che consolava la decadenza degli Andronico, suoi contemporanei, immortalando la rozza piccolezza dell'ellenica Monembasia. Magia di Bisanzio, portate dal vento attraverso il familiare Adriatico; filtri di Bisanzio diluiti nel suo antico sangue; pompe di Bisanzio, ancora coetanee nel lusso e nell'arte, la predisponevano certamente all'amore; a quell'amore più desiderato nell'estremo della sua crudeltà.
Per concludere questa recensione con una breve analisi stilistica della scrittura di Lugones, non possiamo dimenticare che egli fu, in primis, un autore tematico. L'elemento prevalente non è quello fantastico, ma sono i dialoghi, interni ed esterni, le descrizioni dell'ambiente circostante, i sentimenti dei protagonisti. Possiamo, dunque, senza alcun timore, definire Lugones non soltanto uno degli inventori della fantascienza, ma anche del realismo latinoamericano che tanto successo ha avuto anche da noi. Quando, perciò, avremo in mano un libro di fantascienza, dedichiamo un pensiero a Leopoldo Lugones.
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