tratto dall'omonimo romanzo di Lev Tolstoj
regia di Joe Wright
sceneggiatura di Tom Stoppard
anno: 2012 (uscita in Italia: 21 febbraio 2013)
Joe Wright, già autore di adattamenti di opere importanti come Orgoglio e Pregiudizio ed Espiazione, ci regala una rielaborazione innovativa (e tuttavia discutibile) di Anna Karenina, capolavoro della letteratura russa di cui abbiamo parlato spesso su CriticaLetteraria.
Spesso nella comparazione tra letteratura e cinema si tende a confrontare semplicemente la resa di trama e intreccio, mentre poca importanza assumono l’aspetto linguistico e le modalità espressive. In Anna Karenina più che mai, la figura retorica dell’estensione (amplificatio) pone lo spettatore di fronte a un assorbimento del tempo in uno spazio ristretto di poche ore. Milleduecento pagine di romanzo (con riferimento all’edizione BUR, 2006) vissute dal lettore nell’arco di settimane, mentre si vive un gioco, una giornata, un tormento, divengono fiction assoluta, non-identificazione o identificazione negata a causa di un tempo angusto che non permette di affezionarsi ai personaggi.
Leggere romanzi molto lunghi è un’esperienza dello spirito e del corpo, turbato da sensazioni che alterano inconsciamente il normale stato psichico del lettore. La rivisitazione del capolavoro russo con Keira Knightley nei panni di Anna è un teatro nel teatro, in cui i personaggi si muovono osservati da una platea sempre vuota: certamente sperimentale e creativo nelle modalità espressive, pur con qualche eccesso di teatralità che dissimula l’impronta realistica di Tolstoj.
Spesso nella comparazione tra letteratura e cinema si tende a confrontare semplicemente la resa di trama e intreccio, mentre poca importanza assumono l’aspetto linguistico e le modalità espressive. In Anna Karenina più che mai, la figura retorica dell’estensione (amplificatio) pone lo spettatore di fronte a un assorbimento del tempo in uno spazio ristretto di poche ore. Milleduecento pagine di romanzo (con riferimento all’edizione BUR, 2006) vissute dal lettore nell’arco di settimane, mentre si vive un gioco, una giornata, un tormento, divengono fiction assoluta, non-identificazione o identificazione negata a causa di un tempo angusto che non permette di affezionarsi ai personaggi.
Leggere romanzi molto lunghi è un’esperienza dello spirito e del corpo, turbato da sensazioni che alterano inconsciamente il normale stato psichico del lettore. La rivisitazione del capolavoro russo con Keira Knightley nei panni di Anna è un teatro nel teatro, in cui i personaggi si muovono osservati da una platea sempre vuota: certamente sperimentale e creativo nelle modalità espressive, pur con qualche eccesso di teatralità che dissimula l’impronta realistica di Tolstoj.
Ma
veniamo ai personaggi. Se si parla di veridicità e di attinenza al testo
scritto, la regia di Joe Wright
manca non solo nella resa delle caratteristiche dei personaggi -
si pensi agli occhi grigi di Anna Karenina, tanto amati dal lettore e così spesso descritti dallo scrittore -
ma anche nei temi stessi del romanzo; Tolstoj ci racconta Konstantin Levin non
come personaggio secondario quale ce lo presenta il regista, ma parallelo a
quello di Anna, entrambi protagonisti divergenti di due possibilità di agire
nella Russia e nel mondo. Levin - ben interpretato da Domhnall Gleeson ma poco
approfondito dalla regia - è la parte filosofica,
scientifico-razionale e infine religiosa del romanzo, ridotta a poche apparizioni
rade. Altrettanto superficiale la storia d’amore tra Levin e Kitty, interpretata da Alicia Vikander, un accenno panoramico alla pista di ghiaccio ma nessuna traccia della scena
del pattinare-innamorarsi di Levin, alla quale Tolstoj dedica un capitolo
intero.
La trasposizione cinematografica del regista inglese, in realtà, approfondisce soltanto uno
degli innumerevoli temi presenti nell’opera di Tolstoj: la storia d’amore tra
Anna Karenina e il conte Vronskij. Anna Karenina
è un romanzo sulla Russia, e qui di Russia, si parla ben poco; l'ultimo Tolstoj
cinematografico racconta la storia d'amore ma cela tutto il resto.
Un
Jude Law - Aleksej
Aleksandrovic assolutamente affascinante che poco ricorda l'essere 'canzonatorio'
tante volte ribadito dallo scrittore, l'uomo dal cinismo freddo e distaccato diviene profondo e quasi
magnanimo, difficilmente odiabile. Aaron Johnson è Vronskij, Aleksej, ufficiale di
cavalleria dell’alta società russa; calzante nell’atteggiamento altezzoso, nei
baffi e i denti regolari, proprio per la
giovane età rappresenta doverosamente la ricca gioventù dorata russa.
Poco
acclamata dalla critica l’attrice Keira
Knightley; forse troppo giovane ed esile, molto sensuale ma troppo poco
affascinante. La
Anna Karenina di Tolstoj è imponente, è formosa, dalle movenze sicure, ha una
bellezza fascinosa ed elegante, in lei è presente un profondo conflitto
psicologico che la rende matronale eppure cosi fragile. Arduo è il compito e
notevole il peso di chi interpreta un personaggio divenuto storico,ben rappresentabile solo nella fantasia di chi
legge.
Applauso
a Dario
Marianelli, nominato agli Oscar grazie alla colonna sonora di Anna Karenina,
che trasporta e
rievoca tempi passati conferendo drammaticità ai fatti. Molto raffinati i
costumi.
Certo è che il regista britannico Joe Wright riesce
ben a comunicare, attraverso la spettacolarizzazione degli eventi e l’idea
di porli in teatro, l’aspetto ‘perbenista’
dalla società ottocentesca, fatta di rapporti mediocri e menzogneri e sorrisi
di scena. Consigliato? Comunque sì; se non per altro, per l’intento
di rievocare la letteratura e renderla fruibile al grande pubblico: la
delusione toccherà soltanto gli amanti di Tolstoj, meno i non iniziati.
Isabella Corrado