Menzogna romantica e verità romanzesca
di René Girard
Bompiani, 2002 (1961)
di René Girard
Bompiani, 2002 (1961)
«Il vanitoso romantico vuole convincersi a ogni costo che il proprio desiderio rientra nella natura delle cose o, il che è lo stesso, è l’emanazione di una soggettività serena, la creazione ex nihilo di un Io quasi divino».
È questa la menzogna romantica per eccellenza: l’illusione
di una assoluta autonomia dell’individuo dalla società e dall’Altro. L’imitazione
è, invece, il vero fondamento del desiderio e della conoscenza: è questa la
base da cui parte l’opera Menzogna
romantica e verità romanzesca di René Girard.
La scoperta stupisce se si pensa che l’opera è datata 1961,
ovvero due anni prima della neo-avanguardia e il suo nuovismo, e sette anni
prima del movimento del ’68 e della sua retorica della trasgressione destinati
entrambi a scadere ben presto nel loro opposto museale e di costume. Ma lo
stupore si accresce ancora di più se si pensa che le sue intuizioni hanno
anticipato – come confermano le affermazioni di Vittorio Gallese, autore degli
esperimenti – la scoperta neuroscientifica dei neuroni specchio.
Ma il desiderio mimetico è solo la base per un discorso
sulla società ben più profondo e interessante, una trattazione che arriva a
conclusioni illuminanti, ma con un metodo, eufemisticamente, eretico. L’opera è
infatti un saggio di critica letteraria, ma nella pratica gli autori analizzati
non sono affrontati come scrittori, ma come grandi studiosi dell’uomo: le loro
opere vengono esaminate come analisi antropologiche di determinati processi
sociali e umani. La contrapposizione, che qualsiasi critico aborrirebbe, è tra
la verità di chi svela reticoli di interdipendenza tra i desideri dei personaggi
– e tra questi i campioni sono Stendhal, Proust e, soprattutto, Dostoevskij – e
la menzogna di chi invece li nasconde propugnando una mitica autonomia dell’individuo
– come ad esempio Camus.
Il saggio di Girard è dunque affascinante ma sbagliatissimo,
illuminante nelle sue intuizioni quanto riduttivo nelle letture critiche degli
autori. Ma quali sono le idee che lo rendono ancora così contemporaneo?
La nascita
della società moderna e borghese ha distrutto teologia e diritto divino,
calando dal piedistallo dei modelli di riferimento il re e la divinità. In un
mondo di eguali – anche se non di fatto – il riferimento inarrivabile non
esiste, il mediatore del desiderio diventa perciò il proprio vicino, il
prossimo: gli uomini sono dèi gli uni per gli altri. La struttura portante è
perciò il triangolo in cui l’oggetto del desiderio diventa una propaggine del
rapporto conflittuale vero: quello tra desiderante e mediatore. Da ciò deriva
un accrescimento vorticoso della competizione, ma anche dei suoi corollari meno
nobili dell’invidia e dell’odio. Il fatto che la competizione sia borghese,
esclude poi la violenza, inserendo come arma principale di successo una diffusa
ipocrisia e dissimulazione, mentre la sincerità e la spontaneità condannano
alla marginalità e al fallimento: l’ingenuità e la bontà sono, dunque, le
peggiori colpe. L’uomo contemporaneo dissipa le sue energie in un gioco di
ascesi – ovvero contenimento dei suoi desideri – senza metafisica, in una
commedia sociale frustrante fatta di stima e odio, invidia e ricerca di
consenso. Il leone di questa giungla è lo snob, con tutte le sue declinazioni
sociali, un individuo che, disprezzando ogni cosa, cerca disperatamente il
consenso e la stima altrui. Minute analisi di altri fenomeni sociali vengono
fatte nelle pagine del saggio – che invitiamo a leggere nella godibile prosa
girardiana – ma ognuna viene esemplificata non da esperimenti sociali, bensì dai
personaggi di alcuni romanzi: le diverse tipologie di triangolo del desiderio
sono presenti Ne L’Idiota, nella Ricerca del tempo perduto e ne Il Rosso e il nero, vari snob si
ritrovano in Proust, mentre ne L’eterno
marito di Dostoevskij abbiamo l’esempio massimo di rapporto amore-odio tra
mediatore e individuo desiderante. La potenza della mediazione interna – quella
tra uomo e uomo – in chiave sociale con i suoi strascichi di invidie, gelosie e
odio è invece perfettamente raffigurata nelle pagine de I demoni. Stavroghin è il mediatore di tutti i personaggi giovani
dell’opera: lui insuffla le idee all’ingegner Kirillov, lui influenza Šatov,
lui affascina la società e le donne del piccolo paesino, ancora lui è il
candidato ideale – lo zarevic Ivan – scelto da Pëtr Verchovenskij per governare
la rivoluzione e la società futura. È proprio il demone più luminoso che offre
l’epilogo di questo percorso:
«Dietro la fantasmagoria moderna, dietro il turbinio degli avvenimenti e delle idee, al termine dell’evoluzione sempre più rapida della mediazione interna, vi è il nulla. L’anima è giunta ad un punto morto. Stavroghin incarna questo punto morto, il puro nulla dell’orgoglio assoluto.»
L’uomo contemporaneo ha perso ogni scopo, ma non la sua sete
di senso e di autonomia, bramosia di trascendenza che si riflette sugli uomini
che lo circondano e su sé stesso creando un gioco tanto infernale quanto
grottesco e ridicolo. Nel delirio di ascesi lavorativa e non solo, nel
parossismo di indipendenza solitaria – e il discorso dello zaino di Ryan
Bingham in Tra le nuvole ne è un
perfetto esempio – gran parte degli individui vive una realtà aliena dall’Altro, senza
compassione e vera condivisione dimenticando la dimensione sociale dell’essere
umano. Girard crede che, come doveroso passo verso un evoluzione positiva, ci
sia la maturazione di una prospettiva lontana, una visione consapevole del
mondo delle relazioni, che porti, infine, ad una riconversione al messaggio
cristiano. Quest’ultima prospettiva è mostrata nei termini entusiastici del
neofita e perde quel realismo negativo e critico presente sia nei romanzi
analizzati, sia nelle altre pagine del saggio: l’innocenza è persa come pure l’ingenuità,
L’Eden è ormai perduto.
In definitiva, Menzogna
romantica e verità romanzesca apre ad un’ampia gamma di meditazioni sulla
quotidianità – anche in chiave polemica – ma allo stesso tempo mostra come la
letteratura non sia meramente un effetto di realtà, bensì, se è vera Letteratura,
una profonda antropofania. Ciò che importa è che le domande siano poste con
passione verso la conoscenza e non per accondiscendere alla vanità del “puro
nulla dell’orgoglio assoluto”.
Gabriele Tanda