Lords of Chaos. La storia insanguinata del metal satanico
di Michael Moynihan e
Didrik Søderlind
2011, Tsunami Edizioni (1998)
Traduzione di Massimo Baroni e
Stefania Renzetti
pp. 384
22 euro
Piccola premessa: pur trattando
di un mondo che vive attorno alla musica, in particolare al metal (e ancora più
in particolare al black-metal), questo libro di musica ne affronta poca: ci
troviamo fra le mani un esempio di giornalismo d’inchiesta, che ha come
obiettivo la storicizzazione di un particolare periodo storico, con l’ausilio
di approcci dal taglio sociologico; Michael Moynihan e Didrik Søderlind sono
due giornalisti e scrittori: il primo vive in America, il secondo in Norvegia.
Questa è una classica “indagine sul campo”. Ulteriore, necessaria, premessa
per i profani: il black-metal è un sottogenere della musica metal nato tra la
fine degli anni ’80 e l’inizio degli anni ’90 in Scandinavia (alcuni ne
ricercano l’origine nei primi anni ’80, ma non ci interessa in questa sede
entrare nei dettagli), per la precisione in Norvegia (con qualche scintilla
iniziale in Svezia).
Cosa ha di particolare questa
corrente musicale, rispetto a altre? E perché dovrebbe interessare da una prospettiva sociologica? Ciò su cui tutti sono d’accordo è che il black-metal rappresenti un estremismo, sia dal punto di vista musicale
che da quello tematico-concettuale:
- musicalmente richiama, estremizzandoli, canoni del thrash e del death metal: chitarre taglienti che creano un muro sonoro; poca melodia; sezione ritmica (basso-batteria) che viaggia spesso alle massime velocità che essere umano possa raggiungere; utilizzo (facoltativo) di tastiere che creano atmosfere plumbee, notturne, anche orchestrali; voce fortemente distorta, quasi stridula (scream); produzione sonora volutamente caotica e di bassa qualità;
- temi e concetti principali sono: satanismo, esoterismo, nichilismo e misantropia, neo-paganesimo (oltre a un filone che esplora il disagio mentale, nato negli ultimi anni; e a un altro che propaganda idee di estrema destra).
Da ciò nasce anche una forte teatralità, una vera e propria estetica del musicista black: pseudonimi, uso del face-painting (a ricreare fattezze demoniache), utilizzo scenico di armi, trovate gore (come il lanciare teste di maiale sul pubblico, o reali atti di autolesionismo), saccheggi a piene mani da Il Signore degli Anelli di Tolkien (per nomi dei gruppi, testi etc.).
A differenza di altre correnti
musicali “alternative” (penso a punk e grunge), il black-metal – per il suo
forte carattere anti-sociale – non è mai stato, neanche nel suo periodo
commercialmente più florido (fine anni ’90), assorbito e canonizzato dal mainstream: pur con l’aumento
esponenziale di artisti e fruitori, è sostanzialmente rimasto di nicchia:
ascoltare o suonare black-metal, soprattutto negli anni ’90, equivaleva a
essere sbertucciati dalla maggior parte degli stessi appassionati di metal
“normale” (non è raro, però, sentire molti sbertucciatori che oggi rivendicano
un’atavica passione per il black-metal, non si sa perché).
Si inizia a intuire per quale motivo sia stato scritto un libro che della musica ne parla en passant.
Si inizia a intuire per quale motivo sia stato scritto un libro che della musica ne parla en passant.
Negli anni ’90, in Norvegia, le band in questione non si limitavano a suonare
e a teatralizzare: anzi, per alcune la musica diventava secondaria, mentre
erano impegnate a concretizzare le idee in cui credevano. L’odio verso la
religione cristiana, vista come un’imposizione che ha cancellato secoli di
cultura e tradizioni norvegesi, fu sfogato non solo con parole, ma anche con
azioni: in poco meno di dieci anni, per esempio, furono bruciate e/o profanate
centinaia di chiese (all’inizio del 1993 sette delle maggiori chiese norvegesi
erano in cenere); vennero attuate strategie terroristiche, pianificate opere di
propaganda che aumentassero nell’opinione pubblica la percezione del fenomeno;
e, per non farsi mancare niente, non furono rari violenze, suicidi e omicidi (alcuni
casi: assassinii sia di membri stessi della scena – il caso più famoso è quello
del chitarrista dei Mayhem, Øystein Aarseth noto Euronymous [riconosciuto leader del movimento], ucciso nel 1993 da
Kristian “Varg” Vikernes noto Count
Grishnackh, unico componente dei Burzum –, sia di persone estranee
all’ambiente – per esempio, l’omicidio compiuto dall’ex batterista degli
Emperor, Bård Guldvik Eithun noto Faust,
che nel 1992 accoltellò Magne Andreassen, un uomo omosessuale che aveva tentato
un approccio; il suicidio del cantante dei Mayhem, Per Yngve Ohlin noto Dead,
nel 1991).
Il libro Lords of Chaos,
ovviamente, dedica spazio a questi elementi di cronaca: li contestualizza in
un’organica analisi del fenomeno tentando di capire come e perché la Norvegia dell’ultimo
decennio del secolo scorso abbia ospitato la più imponente ondata di violenza
associata a un movimento musicale giovanile (dettaglio importante: l’età dei
maggiori protagonisti degli eventi, anche criminosi, oscillava tra i sedici e i
venticinque/ventisei anni). Soprattutto, ciò che ha causato scalpore all’epoca,
era la apparente progettazione a livello nazionale del movimento: si trattava
di vera e propria criminalità organizzata, anche se molti esponenti,
intervistati o interrogati durante i processi, hanno sempre sostenuto che di
organizzato ci fosse poco o nulla: non si è mai riusciti a capire, per esempio,
se sia mai esistito il fantomatico Inner
Circle guidato dai gruppi più importanti (tra cui Mayhem, Burzum, Emperor,
Darkthrone…) Di certo, se gli attentati dal punto di vista logistico erano più
improvvisati che pianificati, da quello dell’ideologia la strutturazione invece
fu rigorosa: tutti erano concordi nel voler annientare il cristianesimo in
Norvegia.
È importante sottolineare come
gli autori si astengano da valutazioni di ordine morale: cosa, questa, che è
costata loro qualche critica:
«Questa nostra riluttanza nello stigmatizzare oltremisura le persone che abbiamo intervistato e documentato è stata in alcuni casi fonte di sbigottimento per quei recensori che condividono prese di posizione di tipo moralistico, per i quali, nell’evitare di dare al lettore un’interpretazione “adeguata” – leggi: secondo i dettami del “politicamente corretto” – di questo materiale, stiamo permettendo a delle idee potenzialmente pericolose di circolare liberamente. In un certo senso, possono anche avere ragione. Questo nostro mondo sempre più omogeneizzato, in cui l’intero spettro delle creazioni culturali viene adulterato per renderlo accettabile e pronto per essere consumato dalle masse, ha più che bisogno di idee pericolose. Forse non ha bisogno delle idee bislacche e distruttive espresse da alcuni dei protagonisti di Lords of Chaos, ma abbiamo sempre pensato che stia al singolo lettore deciderlo.»
Tale passo, estratto dalla
“Prefazione alla nuova edizione”, racchiude il senso del libro.
Richiama inoltre la concezione di Adorno sulle avanguardie artistiche, che esprimono la funzione liberatoria dell’arte, una funzione di aperta rottura e reazione rispetto alla massificazione a cui porta l’industria culturale (e alle conseguenti equivalenze musica di massa = merce, oggetto di consumo = conformismo). Adorno apprezzava la dodecafonia di Schönberg; il black-metal presenta diverse tendenze dissonanti.
Non a caso, sin dalle origini tale genere ha avuto in odio forme di commercializzazione, e il volere di molti era di ridurle al minimo indispensabile, per non rischiare di generare fenomeni di massificazione e moda che poi sono inevitabilmente nati (anche se in scala molto minore rispetto a quella del classico show-business globale del pop/rock). Ricordo anche zuffe, solo verbali (“Usi le tastiere, sei un commerciale di merda!”), sull’opportunità o meno di utilizzare la tastiere – oltre a chitarra/basso/batteria – in quanto portatrici di nefasti ammorbidimenti sonori.
Richiama inoltre la concezione di Adorno sulle avanguardie artistiche, che esprimono la funzione liberatoria dell’arte, una funzione di aperta rottura e reazione rispetto alla massificazione a cui porta l’industria culturale (e alle conseguenti equivalenze musica di massa = merce, oggetto di consumo = conformismo). Adorno apprezzava la dodecafonia di Schönberg; il black-metal presenta diverse tendenze dissonanti.
Non a caso, sin dalle origini tale genere ha avuto in odio forme di commercializzazione, e il volere di molti era di ridurle al minimo indispensabile, per non rischiare di generare fenomeni di massificazione e moda che poi sono inevitabilmente nati (anche se in scala molto minore rispetto a quella del classico show-business globale del pop/rock). Ricordo anche zuffe, solo verbali (“Usi le tastiere, sei un commerciale di merda!”), sull’opportunità o meno di utilizzare la tastiere – oltre a chitarra/basso/batteria – in quanto portatrici di nefasti ammorbidimenti sonori.
L’interesse che c’è stato nei confronti del movimento black-metal, a
prescindere dagli sbrigativi giudizi (“follie di ragazzini esaltati”: che in
qualche caso è anche vero), mi ha spinto a fare un parallelo forzato e da
prendere con le dovute proporzioni: lasciando stare le differenti motivazioni e
i differenti contesti, il periodo “Brigate Rosse/Anni di piombo” in Italia
potrebbe ricordare quello “Black-Metal” in Norvegia: ossia un gruppo di giovani
spinti da un’ingovernabile rabbia contro lo status quo, che dalle parole decide
di passare ai fatti, che arriva a uccidere, incendiare, far esplodere in
maniera sistematica, bilanciando il tutto con una imponente propaganda che lo
facesse credere più pericoloso (per lo Stato, non per il singolo individuo) di
quanto in realtà fosse.
A tal proposito, la ricerca del
“come e perché” appare chiara sin dai primi capitoli:
«È difficile dare una spiegazione del perché la Norvegia, una nazione alla periferia dell’Europa con meno di 4,5 milioni di abitanti, sia diventata l’epicentro del blasfemo black-metal. […]Martin Alvsvåg è laureato al Seminario di Teologia di Oslo. La sua tesi sul black-metal è stata rivista e pubblicata in un libro intitolato Rock and satanism. Alvsvåg è una delle poche persone appartenenti all’area cristiana norvegese […] ad essersi preso la briga di esaminare accuratamente questo argomento.Domanda: Esiste una spiegazione semplice dell’ascesa del black-metal norvegese?Alvsvåg: Non penso sia giusto isolare un singolo fattore. Potrebbe anche darsi che dalla Norvegia siano semplicemente venuti fuori uno o due gruppi black-metal particolarmente validi che hanno innalzato la reputazione del metal locale all’estero, rendendolo più vendibile. Questo avrebbe sicuramente favorito molto lo sviluppo di una scena.[…]Domanda: Questa nazione è un posto molto sicuro in cui crescere. È qualcosa che potrebbe avere degli effetti indesiderati?Alvsvåg: Penso che la Norvegia, essendo una nazione parecchio ricca e con uno standard di vita particolarmente alto, renda molto apatici i ragazzi più giovani. Giocare a flipper non è più sufficiente. Hanno bisogno di qualcosa di forte, e se ti ci fai coinvolgere il black-metal offre sensazioni davvero forti. Cercano dalla vita qualcosa in più di quello che hanno già, e possono pensare che sia meglio identificarsi con qualcosa di malvagio che non identificarsi in niente. Il black-metal è qualcosa di forte che ti fa sentire accettato e rispettato in determinati ambienti.»
Varg Vikernes disse (riferito al
carcere in cui era recluso):
«Qui si sta fin troppo bene. Non è per niente un Inferno. In questa nazione ai prigionieri viene dato un letto, dei servizi igienici, e una doccia. È totalmente ridicolo. Ho chiesto alla polizia di gettarmi in una vera galera, e li ho pure incoraggiati a usare la violenza.»
Il problema della Norvegia è dunque che si sta
troppo bene? È evidente come si cerchi, con teorie valide o meno, di
razionalizzare un fenomeno che ha scosso, all’epoca, la società norvegese, non
abituata a tumulti sociali di questa portata. C’è però difficoltà nella ricerca
di una spiegazione (sempre che esistano, delle spiegazioni sociologicamente
accettabili) che impedisca di cedere all’irrazionalità pura. Una difficoltà
simile si è riscontrata, poco tempo fa, relativamente al tentativo di metabolizzare
le stragi compiute da Anders Breivik.
Leggendo un estratto del pensiero di Euronymous,
leader del movimento agli esordi, possiamo però intuire come l’ideologia
andasse oltre il contesto di un tema “nazionale”:
«Non penso che le persone debbano rispettarsi le une con le altre. Non voglio vedere dei modaioli che mi rispettano, voglio che provino odio per me, che abbiano paura di me. Se la gente non è pronta ad abbracciare le nostre idee, allora può andare a fare in culo perché appartiene ad una scena musicale che non ha nulla a che fare con la nostra. Per quanto mi riguarda possono anche essere fan di Madonna. C’è un abisso tra noi e gli altri. Ricordate – una delle regole dell’hardcore [punk] è che bisogna essere di mente aperta (anche se questo non vale per loro), per cui dobbiamo essere prudenti ed evitare di avere la mente aperta. I porci dell’hardcore si sono giustamente eretti a guardiani della moralità, ma noi dobbiamo prenderli a calci in faccia e diventare i paladini dell’anti-moralità.»
Il Marchese De Sade si sarà
sentito tirare la giacchetta.
Gli autori del libro cercano risposte anche esaminando la mitologia nordica, in un interessante capitolo intitolato «Il risveglio atavico. Metafisica del black-metal pagano»: un’epigrafe di Carl Gustav Jung introduce il tema:
«Gli archetipi sono come i letti dei fiumi abbandonati dall’acqua, che però possono nuovamente accoglierla dopo un certo tempo.»
Viene evidenziata dunque l’ottica
del neopaganesimo:
«Il black-metal è considerato un movimento musicale principalmente legato al satanismo […] Però molte delle figure più rappresentative del black-metal – in particolare Varg Vikernes – hanno anche dichiarato la loro fedeltà a quelli che definiscono “ideali pagani”. Quella scandinava è stata una delle ultime culture europee a convertirsi alla cristianità. Il fatto che il black-metal sia esploso proprio da quelle parti merita che si approfondiscano le possibile correlazioni tra l’antico paganesimo nordico e il moderno estremismo musicale.»Poche righe dopo, Vikernes espone il suo interesse nei confronti della tradizione popolare dell’Oskorei:
Citando un saggio di Kadmon (vero nome Gerhard Petak, musicista e studioso austriaco), vengono messi in evidenza i punti in comune tra Oskorei e black-metal:«Il culto della morte demonico-odinico è uno dei nuclei della cultura popolare germanica, esso connette i vivi con i morti. L’Oskoreien – la “Cavalcata dei Morti” durante le dodici o tredici notti sacre di Yule, nonché periodo di digiuno – o Åsgardsreien (come è anche conosciuto) ha origine dalla società misteriosa mistico/marziale dei “Lupi-guerrieri”, selezionati e iniziati secondo regole ferree. Gli Oskoreien/Åsgardsreien portano degli scudi neri e sul corpo i colori di guerra, per simboleggiare la trasformazione demonico/licantropia… Il cosiddetto Varulv Orden [Ordine dei Licantropi] avanzerà di notte, correndo con meravigliosa ferocia.»
Erik Lancelot, batterista degli Ulver (altro gruppo norvegese) dal 1994 al 1998, dice in un passo:«Il saggio di Kadmon […] è un affascinante comparazione tra i dettagli delle varie storie folcloristiche dell’Oskorei che ci sono state tramandante, e le incredibili somiglianze con molti dei tratti peculiari che caratterizzano distintamente il black-metal moderno – il rumore, il corpsepaint, l’aspetto macabro e spaventoso, l’uso di pseudonimi, il cantato su tonalità acute, e persino gli incendi dolosi.»
«La tematica degli Ulver è sempre stata l’esplorazione dei lati oscuri del folclore norvegese […] il lato oscuro del nostro folclore ha dunque una prospettiva diversa dal satanismo tradizionale, che utilizza il simbolismo cosmico derivato dalla mitologia ebraica; ma l’essenza resta la stessa: i “demoni” rappresentano le forze violente e spietate, temute e ripudiate dagli uomini comuni, ma senza le quali il mondo perderebbe l’impeto che è la base fondamentale dell’evoluzione. […]Crediamo che la fonte metafisica alla base della vita sia essenzialmente ciò che le religioni della “luce bianca” hanno etichettato come “malvagio”, perché è ferocemente ed energicamente vitale, non addomesticato da alcuna restrizione, in modo da evitare che la moralità imposta dalla “ragione” o “cultura” possa domare lo sviluppo della forza.»
Gli autori tornano allora a Jung:
«Le grandi immagini “primordiali”, come Jacob Burckhardt le ha giustamente definite una volta, i poteri ereditari dell’immaginazione umana, che esistono da tempo immemore, sono presenti in ogni individuo, oltre ai suoi ricordi personali. Questa ereditarietà spiega il fenomeno davvero sorprendente di certi temi, provenienti da miti e leggende, che si ripetono […]Le immagini primordiali sono le più antiche, le più universali “forme di pensiero” dell’umanità. Sono tanto sentimenti quanto pensieri; di fatto, vivono di vita propria…»(da Due testi di Psicologia Analitica, 1928).
E si chiedono:
«[…] le similitudini tra certi aspetti del black-metal norvegese e la furiosa Caccia Selvaggia dei Morti sono sorprendenti. Possiamo forse spiegarle nei termini di una “immagine primordiale” junghiana che è riemersa in una nuova generazione di giovani?»
Kadmon, per maggiore impatto
comunicativo, cita anche Edvard Munch:
«Ma il black-metal è soprattutto rumore pagano, potenziato elettronicamente. La musica è potente, violenta, oscura e lugubre; un’arte sonora demoniaca che ha molti elementi in comune con il pittore espressionista norvegese Edvard Munch, la cui opera più nota, “L’Urlo”, starebbe benissimo sulla copertina di un disco.»
Visto che in questo sito si parla prevalentemente
di letteratura, aggiungo che spesso la letteratura è servita d’ispirazione a
qualche band; qualche esempio: si narra che gli Emperor abbiano scritto la canzone intitolata
(in italiano) “Inno a Satana” ispirandosi a Carducci; gli Arcturus hanno
utilizzato una poesia di Edgar Allan Poe per la traccia “Alone”; Tolkien e
Il Signore degli Anelli sono stati
saccheggiati a piene mani (Gorgoroth, Burzum, Isengard…); gli Ulver hanno
prodotto un disco monografico su Il
matrimonio del cielo e dell’inferno di William Blake (anche se musicalmente
non è più di black-metal, ma di elettronica).
Per gli appassionati «Lords of
Chaos» è dunque un libro molto interessante, a prescindere dall’essere
d’accordo o meno con ciò che vi è scritto.
Per i profani e per chi si occupa di movimenti giovanili è un’ottima
testimonianza di un fenomeno sì marginale (almeno per i non norvegesi), ma che
non è estraneo alle società più “globali”, e che senza dubbio ci fornisce
ulteriori mezzi per analizzare con maggior cognizione di causa le continue
evoluzioni della società contemporanea.
Piccola – multimediale – postilla fuori-tema:
ma la musica? Qualche gruppo decente, in tutto questo marasma, esiste?
Posso dire che, oltre la cronaca, è sorprendente la quantità di gruppi (per un
paese poco popolato) che hanno rilasciato, in quegli anni, dischi che hanno
raggiunto vette di qualità ancora oggi uniche: penso a Emperor, Mayhem, Burzum, Arcturus, Satyricon, Mysticum, Thorns, Gorgoroth, Dødheimsgard, Trelldom... ed è inutile cedere alla tentazione di un infinito
elenco.
Sorprendente è anche l’età media dei musicisti,
tutti più o meno all’epoca adolescenti. È un genere comunque che non è
scomparso, e superata la fase sovversiva è ancora in ottima salute: c’è una
buona sintesi tra nuovi talenti e nomi storici; ci sono state anche
innumerevoli evoluzioni stilistiche che hanno sfondato le barriere del canone,
con sconfinamenti nell’elettronica, nel rock e nella musica classica.
A distanza di anni, si inizia anche a notare come
alcuni caratteri tipici del black-metal (il lavoro delle chitarre, la sezione
ritmica, la voce) abbiano influenzato aree differenti, come l’alternative rock:
mi vengono in mentre gruppi come Les Discrets, An Autumn For Crippled Children.
Per chi fosse interessato all’estetica, segnalo il libro del
fotografo Peter Beste: True Norwegian Black Metal.
Piero Fadda
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