di Mario de Sà-Carneiro
Edizioni Interòs
Pagine: 72
€ 7,50
La mitizzazione del suicidio è un fenomeno culturale che ha origine nel romanticismo. In quel periodo il giovane poeta o artista morto suicida entrava d’obbligo nell’Olimpo degli dèi. L’artista era l’eroe inquieto e tormentato, un genio costretto a vivere con un’intensità drammatica la sua esistenza. Nonostante la fine del periodo romantico, il suicidio non scomparve nelle arti, ma ne divenne parte integrante. Ormai i romantici avevano inculcato nelle menti popolari l’idea che il suicidio fosse uno dei molti prezzi che bisognava pagare per il genio. L’artista pazzo, del resto, è una realtà storica che non conosce confini.
Yukio Mishima nel biglietto lasciato prima di mettere fine alla sua vita con il rito del seppuku (il suicidio rituale dei samurai) scrisse: «La vita umana è breve, ma io vorrei vivere per sempre». Il desiderio di immortalità è fortemente sentito dagli artisti che ne fanno una ragione di vita. Questo desiderio è spesso anche la chiave di lettura dei gesti drammatici con cui concludono le loro vite.
Mario de Sà-Carneiro, il poeta lusitano vissuto a cavallo tra il IX e il XX secolo, raccoglie nel suo “L’ultimo scritto” gli istanti finali di grandi personaggi di cultura della decadente Lisbona di fine secolo. Il volumetto si apre con le ultime parole di Lourenço Furtado. La morte viene intesa come svelamento di un mistero, è la stessa bramosia di conoscenza di qualcosa che va oltre la vita che porta il suicida ad affrontare il mistero coraggiosamente.
«Morte! Che mistero racchiudi?... Nessuno lo sa… tutti lo possono sapere… Basta venirti incontro, coraggiosamente, risolutamente e non ci sarà più mistero!... Non potremo raccontare nulla, poiché non torneremo a questo mondo. Ma che importa, se riusciremo a “conoscere”!...»
Al pari degli altri ardimentosi esploratori, come Colombo, Vasco de Gama, Furtado scoprirà la morte, ma la sua sarà una scoperta egoistica perché non la condividerà con nessuno.
Il volume si conclude con il racconto lungo “Follia”. Il protagonista della storia è Raul Vilar, un artista puro, poliedrico. Mário de Sá Carneiro, prima di inoltrarsi nella storia di Vilar, premette che lo scritto ha per unico scopo quello di “mettere in evidenza tutti gli elementi che possano servire come base per lo studio di una singolarissima psicologia e che possano rendere comprensibile l’incomprensibile tragedia di un’anima e spiegare un inspiegabile suicidio”.
Raul Vilar è forse il personaggio più vicino all’autore stesso. Un’artista la cui arte diviene contenitore delle angosce, attraverso la quale sublima un mondo interiore che con le parole non può essere espresso. Questa intensità nel vivere la vita e l’arte porta Vilar a varcare i confini della follia. Anche l’amore e il matrimonio è vissuto in maniera estrema e la morte è per lui una delirante dimostrazione della “grandezza sovrumana” del suo amore per la moglie Marcela.
“Oggi è il 26 giugno 1910, non vivrò mai un giorno eguale a questo, non farò mai ciò che ho fatto oggi… Un secondo non si ripete in centomila anni!...”
Un’empatica emozione travolge il lettore de “L’ultimo scritto”, non solo per la drammaticità delle vite tormentate dei protagonisti del libro, ma anche pensando che questo volume è un testamento dell’autore stesso. Mário de Sá Carneiro si tolse la vita a soli 26 anni, ingerendo un flacone di stricnina nella sua stanza all'Hotel de Nice di Parigi in frac e davanti ai suoi amici portoghesi. Una morte spettacolare, da dandy e da “genio nell'arte” come scrisse il suo amico Pessoa: “Sa-Carneiro non ebbe né allegria né felicità in questa vita. Soltanto l'arte, che creò e che provò, poté dargli la consolazione di un momento. Sono così coloro che gli dèi elessero loro pari. L'amore li rifiuta, la speranza li ignora, la gloria non li accoglie. Muoiono giovani, o sopravvivono a loro stessi, cittadini dell'incomprensione o dell'indifferenza. Mario morì giovane perché gli dèi lo amarono molto”.
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