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Sulla lettura e sui libri di Arthur Schopenhauer

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Sulla lettura e sui libri
di Arthur Schopenhauer

La vita felice, 2008

pp. 60


Nel 1851 venne pubblicata a Berlino la prima edizione dei Parerga und Paralipomena di Arthur Schopenhauer. La raccolta nacque con l’intenzione di completare e arricchire il sistema delineato nella sua precedente (e più nota) opera Il mondo come volontà e rappresentazione (1819), ma finì per essere accolta nella sua interezza come contributo autonomo, trattazione sistematica nella quale il filosofo di Danzica dette espressione del proprio genio, racchiudendovi una ricca gamma di esempi e spunti che nel precedente capolavoro mancavano.
Divisa in due tomi, l’opera si presenta come un insieme di saggi sulla storia della filosofia, la teoria del reale e dell’ideale, l’etica (parte consistente del tomo I è dedicata a una raccolta di aforismi sulla saggezza della vita), la logica, la religione, lo sviluppo storico, la critica e il giudizio. Non mancano anche curiosi contributi come Della fisiognomica e Del chiasso e dei rumori. La casa editrice milanese La Vita Felice ha pubblicato nella sua collana “Il piacere di leggere” un libriccino contenente la traduzione (ad opera di Valerio Consonni) del ventiquattresimo capitolo del tomo II dei Parerga und Paralipomena, dedicata proprio alla lettura.

L’edizione presenta l’originale testo tedesco a fronte e un valido contributo critico di Andrea Felis (Arthur Schopenhauer, l’arte di non leggere e di narrare) posto in apertura al volume. Sulla lettura e sui libri è un saggio di estrema utilità per avvicinarsi a una parte del pensiero di Schopenhauer e per comprendere l’idea che il filosofo aveva della lettura. Egli, infatti, pose al centro della propria riflessione l’attività del leggere proponendone una visione fortemente problematica e, a mio parere, abbastanza provocatoria. Il saggio inizia subito con una argomentazione che ha sul lettore l’effetto di un’interrogazione retorica:
Quando leggiamo, qualcun altro pensa per noi: noi ripetiamo solamente il suo processo mentale. È come quando lo scolaro impara a scrivere ripassando con la penna i tratti a matita del maestro. Dunque quando si legge ci è sottratta la maggior parte dell’attività di pensare. Da ciò deriva il sollievo palpabile quando smettiamo di occuparci dei nostri pensieri e passiamo alla lettura. Durante la lettura la nostra testa è proprio un’arena di pensieri sconosciuti. Ma se togliamo questi pensieri, cosa rimane?
Sin dalle prime mosse, dunque, l’autore presenta la lettura come pratica ambivalente: da un lato essa dà sollievo al soggetto dal momento in cui lo libera di quel “meccanico perpetuare il ritmo imposto dalla volontà di vivere”, dall’altro viene considerata come un’intrusione nel nostro pensiero di un pensiero di altri. La testa diventa teatro di qualcosa di estraneo. Proprio per via di questa carica fortemente “oppiacea” (come puntualizza Felis), Schopenhauer mette in guardia il lettore dal leggere troppo e in maniera asistematica, prescrivendo come rimedio quello di allontanarsi dalle letture nocive per lo spirito, perlopiù identificate nella letteratura di intrattenimento che a metà XIX secolo incontrava così tanto il favore del pubblico. Non manca una caustica critica al sistema editoriale e letterario del periodo:
Nove decimi della nostra totale attuale letteratura non ha altro scopo che spillare qualche tallero dalle tasche: autore, editore e recensore hanno per questo fermamente complottato.
Ben altro spessore ha, al contrario, la “letteratura permanente” che “procede con andatura seria e silenziosa” attraverso l’Europa e i cui capolavori duraturi rimarranno nei secoli. Il riferimento ai classici, ovviamente, è d’obbligo (Non c’è certamente un conforto più grande per lo spirito che la lettura dei classici antichi). La buona letteratura porta alla luce quelle qualità che il soggetto “in potentia” può acquisire attraverso la lettura: ricchezza di immaginazione, audacia, sarcasmo, grazia e leggerezza di espressione, capacità di confronto. Sta a lui, poi, metterle “in actu”.
Questo è l’unico modo come la lettura possa sviluppare la scrittura, insegnandoci cioè l’uso che possiamo fare delle nostre doti naturali […] Al contrario senza una tale arte impariamo dalla letteratura solo una fredda ed esamina maniera e diventiamo insulsi imitatori.
Una visione potente e maieutica della letteratura, più avanti nel testo ribadita con forza ed estesa a massima di valore storico: Gli scaffali delle biblioteche custodiscono in fila gli errori passati e le loro spiegazioni.
Ma Schopenhauer affronta il problema del leggere anche dal punto di vista fondamentale della storia e della storicità del soggetto. Per il filosofo esistono due Storie: quella politica e quella della letteratura e dell’arte. La prima è la Storia della volontà e obbedisce alla furia istintuale dei soggetti, la seconda è quella dell’intelletto e appare “serena e limpida perfino dove essa descrive una strada errata. Il suo campo principale è la Storia della filosofia”. È solo in quest’ultimo terreno che il lettore può trovare la possibilità di scorgere un senso del mondo. L’autore si sofferma poi sulla pratica del narrare, inscindibilmente connessa a quella del leggere ed è a questo proposito che, come pone adeguatamente in luce Felis nel suo saggio, è rintracciabile un legame tra la concezione schopenhaueriana del narrare e quella di  autori come Hoffmann e Bloch. Tutti e tre, sebbene con le dovute differenze, sono consapevoli che “l’esistenza è impossibile da significare nell’immediato, la sua opacità rende impossibile comprendere la vita stessa nell’attimo stesso del suo accadere”. Interverrà la narrazione a restituirle il giusto senso, storico e di significato. È evidente che alla narrazione è attribuito un valore fortemente “strutturante” e “strutturale”.
In conclusione, il breve saggio di Schopenhauer è una testimonianza viva di come uno dei geni della filosofia moderna vivesse l’esperienza di lettura e, nel contempo, un discorso universale sul leggere come attività fondamentale nella vita spirituale dell’uomo. Ritengo, inoltre, che l’edizione di La Vita Felice sia interessante perché basata sulla scelta di dedicare a capolavori della storia letteraria e filosofica una serie di tascabili di agevole lettura, che non rinunciano alla cura critica e all’approfondimento. Premessa progettuale, questa, che accosta il lettore, anche il meno esperto, al testo senza quella barriera che molte volte le edizioni integrali pongono. Una filosofia a pillole, se ben indirizzata, può avere l’effetto di avvicinare per gradi al pensiero dell’autore, senza intimorire. Credo sia stato un fattore importante nel mio personale approccio al testo e, per questo, mi sento assolutamente di consigliarla come edizione.


Claudia Consoli