di Camillo Arcuri
BUR, 2004
Una
volta qualcuno disse: “chi di questi tempi vuole fare il giornalista, dimostra
di non avere la prima dote che un giornalista deve avere cioè il fiuto”.
Criticabile come tutte le opinioni, ma qualcosa di vero c’è, in queste parole. Il
fiuto è davvero la migliore delle doti che un giornalista può avere. Coadiuvata
da fortuna e talento, tra le altre cose, trasforma un semplice reporter in
un’arma di eccezionale portata, ma non di sicuro successo. Che
cosa accade quando un cronista esperto, sempre con la “biro a tracolla”, si
trova al posto giusto nel momento giusto? Succede che la sua vita cambia,
perché gli è piovuta in testa una storia da far “tremare l’Italia”. Camillo
Arcuri, genovese nato nel 1930, è stato protagonista di una storia di questo
tipo e il suo libro Colpo di Stato è un’inchiesta scomoda,
ancora oggi, ma è anche la sua autobiografia.
Il 1969
è l’anno della strage di Piazza Fontana, è l’anno in cui il movimento, che
avrebbe scosso il mondo e dato vita agli anni
di piombo in Italia, ha perso la verginità. La spensieratezza della
protesta studentesca si scontrò sempre più con la repressione spietata e
rispose con le armi. Comprensibile o meno, quegli anni rivoluzionari sono
coperti di sangue: nessuna forza politica, nessun organo statale ne è uscito “pulito”,
tanto meno nessuno ne è uscito da innocente.
Il
termine “strategia della tensione” ben si addice a quegli anni. La teoria del
“doppio Stato” è ormai entrata a far parte della vulgata, è ormai
un’interpretazione dei tragici accadimenti di quel periodo storico che, invece
di affievolirsi col passare del tempo e i tentativi revisionistici, assume
sempre maggiore spessore e solidità scientifica. Il teorema su cui si basa,
però, manca di un corollario fondamentale, il coinvolgimento diretto e
tangibile di uomini dello Stato negli atti eversivi. Si parla sempre delle
connivenze e dei collegamenti dei servizi segreti con il terrorismo nero, ma i
partiti, le forze dell’ordine, l’esercito e la grande economia di questo paese
escono sempre indenni dall’agone storico. Solo supposizioni e insinuazioni
contro queste istituzioni, vittime in realtà di organismi deviati che lottavano
contro la legittimità dell’ordine politico.
E se
qualcuno provasse che si è consumata in Italia una guerra, a “bassa intensità”
ma pericolosissima, dello Stato contro se stesso? E se qualcuno provasse che
buona parte delle istituzioni, di questo Paese e non, svolse una parte attiva
nella destabilizzazione dell’ordine pubblico in vista di una diversa stabilità
politica? In “Colpo di Stato”, Arcuri racconta di come venne a sapere del
“Golpe Borghese”, il tentato colpo di mano alla democrazia per imporre la
dittatura, secondo il modello dei “colonnelli” in Grecia, appoggiato da partiti di governo, Carabinieri, forze armate, criminalità organizzata e
logge massoniche coperte. Questo libro rappresenta lo sfogo di rabbia del
giornalista a cui sempre venne impedito di parlare, imbavagliato, continuamente
messo a tacere non rinunciò mai a scoprire la verità. Mauro De Mauro prima di
lui aveva scoperto gli scheletri nell’armadio del principe nero, Junio Valerio
Borghese, probabilmente per questo venne ucciso. Quanto meno, è Arcuri a suggerire e
provare questa ipotesi, smontando il depistaggio che voleva De Mauro sulle
tracce degli assassini di Enrico De Mattei, il presidente dell’ENI che dava
fastidio alle multinazionali del petrolio. Arcuri distrugge anche una tesi,
legittima e autorevole, risalente a un mostro sacro come Pierpaolo Pasolini che,sul Corriere della Sera, parlava di “golpe da operetta” nel famoso Io so….
Non ci sta l’autore del libro a questa ricostruzione a caldo, il golpe Borghese
è stato un tentativo serio e concreto di portare questo paese sull’orlo del baratro,
un tentativo cercato e voluto dalle maggiori istituzioni che poi lo hanno
rinnegato. La sua storia, la storia di questo giornalista è anche la storia di
questo paese che riesce sempre a salvarsi, diciamo così, solo grazie all’eroismo di
pochi uomini straordinari.