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Cormac McCarthy, "Il buio fuori"

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Il buio fuori
di Cormac McCarthy
Einaudi, Torino 1997 (1968)


Di solito quando si parla di Cormac McCarthy si fa riferimento a romanzi come Non è un paese per vecchi (titolo tante volte citato senza tener conto del romanzo e nemmeno del film dei Coen) o La strada, che tanto hanno avuto successo nello scorso decennio. Più raramente si cita la Trilogia della frontiera (Cavalli Selvaggi, 1992; Oltre il confine, 1994; Città della pianura, 1998) o Meridiano di sangue e Figlio di Dio. I più esperti rimandano a Suttree, quel romanzo pubblicatoin Italia solo nel 2009 da Einaudi (uscito negli USA nel 1979) considerato il suo capolavoro. Poco, molto poco, si parla di Il buio fuori (1968, uscito in Italia nel 1997), secondo romanzo di McCarthy.

Un racconto dell’infanzia al contrario. Culla e Rinthy Holme sono fratello e sorella e vivono in una baracca in un tempo e in un luogo non precisati (facile immaginare che si tratti del Sud degli Stati Uniti). Sono due ragazzi senza alcun parente al mondo (così dicono). Lei è incinta di lui e il piccolo si fa sentire pronto per nascere a primavera. Lei lo vuole, non le importa: ci crede. Lui lo abbandona in riva al fiume e le inventa che sia morto. Il calderaio passa, lo raccoglie e forse lo salva.


Rinthy parte alla ricerca del calderaio che ha preso con sé il neonato e Culla lascia la catapecchia alla ricerca di sua sorella. Andando, incontrano molta gente e cercano di nascondere il senso del loro peregrinare e il suo fondamentale abominio. I loro incontri sono tutti volti alla ricerca (lei del bimbo, lui di lei) e al desiderio di lavorare. Per mangiare, per sopravvivere, visto che il loro futuro è la ricerca e la colpa.

Il loro tremendo viaggio è intramezzato dalle azioni di una tenebrosa trinità, muta e infallibile, che uccide senza un perché, quasi fosse un prototipo di Anton Chigurh di Non è un paese per vecchi. Culla e Rinthy incontrano molta gente lungo il cammino e spesso si tratta di gente che spunta dal nulla e con la quale Culla inscena dialoghi dalla tanto semplice quanto sottile ironia, decisamente al di sopra della portata di un ragazzetto della contea di Johnson senza un lavoro e con lo stomaco vuoto. Gente, quella che incontrano i due fratelli, che porta con sé ognuno la sua verità.
Anche mia nonna era così. Diceva sempre che le cose che più disprezzava al mondo erano serpenti, cani e donne piagnucolose dice una signora a Rinthy mentre le offre la sua ospitalità. Oppure la grande verità del calderaio, quando finalmente Rinthy lo trova. è la gente dura che rende i tempi duri. Ho visto tanta cattiveria tra gli uomini che non so perché Dio non ha ancora spento il sole e non se n’è andato.
Mentre Rinthy vive con la sua semplice e fortissima fede che coinvolge la sua natura di madre che con terribili dolori ancora porta con sé il latte da offrire, suo fratello avanza portandosi dietro una mai redenta colpa che forse trascende la sua origine. Lui che non è riuscito a scorgere la luce. Lei che invece è passata attraverso la porta.

Le ultime pagine svelano un McCarthy saldamente ambizioso nel dare un alto valore al suo romanzo. Culla fa amicizia con un mandriano che insieme ad altri sta compiendo l’impresa di portare un grandissimo numero di maiali a destinazione. I due si salutano, ma poi qualcosa fa impazzire i maiali, i quali cadono giù da un burrone trascinando con loro anche il mandriano. Culla resta a guardare e quando tutto è finito gli altri mandriani lo incolpano di non aver aiutato il loro collega che così avrebbe potuto salvarsi. Si parla di impiccagione e dal nulla arriva un pastore. Chi o cosa ha scatenato quel disastro? Culla si getta in acqua. I mandriani e il pastore, sono esseri dall’aspetto irreale, come lo scenario nel quale si muovono.

Il finale del libro è di nuovo intramezzato da un incontro – che non è possibile credere casuale – tra Culla e i 3 cavalieri, che terminerà in modo cruento e simbolico. Culla non smetterà di peregrinare (dove?) e di incontrare gente. Come quel cieco, che gli racconta una storia:
Una volta ho sentito un predicatore, in un paese. Era un guaritore e voleva curare tutti, così mi portarono laggiù. Eravamo un bel mucchio di gente, storpi dal primo all’ultimo, e ci raccontavano che un vecchio aveva gettato via le grucce, e dicevano che il predicatore era capace di ridare la vista ai ciechi. Allora un tizio saltò su e si mise a gridare che nessuno sapeva cosa c’era sotto. E a quel punto il predicatore se ne andò. Ma questo mondo è pieno di vie tenebrose, e può darsi che quell’uomo non fosse affatto un vero predicatore. […] è da allora che vorrei trovare quel tizio, proseguì il cieco. E dirglielo. Se nessuno glielo dice non avrà mai pace.

In Mc 5,1-20 si racconta della guarigione di un indemoniato che “aveva dimora nei sepolcri”. Cristo ordina al demonio di andarsene. Non si tratta di un solo demonio, ma di una legione che lo scongiura di poter entrare in dei maiali che stanno camminando su un monte. I demoni vengono spediti ai porci e questi precipitano dal burrone nel mare. Duemila maiali vanno giù a picco, nel mare.
Egli se ne andò e si mise a proclamare per la Decapoli ciò che Gesù gli aveva fatto, e tutti ne erano meravigliati.