Dal
26 febbraio scorso al prossimo 9 marzo, in quattordici città italiane farà tappa
il Festival della narrativa francese, organizzato dall'Ambasciata francese in Italia
con la collaborazione dell'Institut Française Italia. Arrivato con successo
alla quarta edizione, attraversa la penisola da nord a sud: Bari, Bologna, Firenze, Genova, Milano, Napoli,
Padova, Palermo, Pisa, Roma, Salerno, Torino, Venezia, Verona. La rassegna nasce con
l'obiettivo di far conoscere le voci più importanti della letteratura francese
contemporanea, soprattutto i testi da poco editi in Italia, favorendo il dialogo tra culture. Per questo presenta
un programma pieno di incontri e presentazioni organizzate con il fondamentale
supporto degli editori italiani che hanno tradotto e pubblicato i libri.
Bompiani, Rizzoli, Dalai, 66th&22nd, Ponte alle grazie, Del Vecchio, Fazi, E/O,
Marsilio e Voland sono alcuni dei nomi delle case editrici che partecipano al
Festival.
Diciotto
i romanzieri di lingua francese che animano gli incontri. Tra i nomi: Philippe
Claudel, Philippe Djian, Michèle Halberstadt, Yasmina Khadra (di cui abbiamo già parlato su CriticaLetteraria), Fouad Laroui,
Michel Le Bris, Hélène Lenoir, Amin Maalouf, Philippe Vilain. Tutte voci
conosciute e apprezzate a livello internazionale, rappresentanti di correnti e ambiti di
studio diversi, dalle sperimentazioni alla scrittura popolare, nel tentativo di
offrire un ventaglio completo di generi e stili letterari. Un elemento comune a
molti degli eventi in programma è la natura dialogica delle presentazioni: gli
autori conversano con i moderatori e il pubblico al fine di far crescere un
dibattito letterario e sociale.
Ieri
ho avuto il piacere di partecipare a un incontro, tenutosi a Milano alla
Fondazione Corriere della Sera. Il protagonista della serata era Amin Maalouf
che è stato intervistato dal giornalista del Corriere Lorenzo Cremonesi, che dalla fine degli anni '70 segue il
Medioriente. Maalouf,
libanese, classe 1949 è giornalista, studioso di politica internazionale e
storia mediorientale, scrittore professionista e membro dell'illustre Académie
Française dal 2011. Uomo d'Oriente e d'Occidente, ha lasciato il
Libano nel 1976, poco dopo il tragico scoppio della guerra civile. Si è
trasferito in Francia dove attualmente vive e lavora.
È
autore di numerosi studi e di oltre dieci libri, per molti dei quali ha
ottenuto prestigiosi riconoscimenti come il Premio Goncourt del 1993 per Con il fucile del console d'Inghilterra o
il Premio Mediterraneo del 2004 per Origini.
Nel 2010 si è aggiudicato anche il Principe delle Asturie per la letteratura.
L'opera
romanzesca si sposa perfettamente con l' intensissima attività di saggista, in
quello sforzo inesausto di raccontare l'Oriente e la sua storia. Nei testi, che
nascano con l'obiettivo di approfondire e indagare o con quello di narrare, si
rintraccia una forte problematizzazione del concetto di "identità" che
deve essere continuamente riconsiderato alla luce dei cambiamenti storici,
politici, sociali (non a caso un suo libro del 1998 si intitola proprio Les Identités
meurtrières).
Oltre a ciò si nota un ritornare sui temi dell'esilio, delle distanze o
dei punti di contatto tra il mondo orientale e quello occidentale, della
necessità di riflettere sul passato per cogliere le radici di quell'identità
che troppo spesso è sfuggente o - al contrario - esasperata e fonte di
conflitto.
Tutto questo bagaglio, unito a una capacità narrativa non comune, si
trova nel romanzo che ieri è stato presentato all'incontro del Festival. Edito
in Italia da Bompiani (con traduzione di Fabrizio Ascari), si intitola I
disorientati ed è nelle librerie dal 27 febbraio. Racconta di un uomo,
Adam, che ha lasciato il suo paese (un Libano che all'interno del libro non
viene mai nominato ma che si indica con la parola "Levante") molti
anni prima e si è trasferito in Francia. Un'improvvisa chiamata di un amico in
fin di vita lo fa tornare a casa, dove ritrova i luoghi e gli amici di un
tempo, quegli studenti ormai cresciuti con i quali, da giovane, condivideva sogni,
speranze e voglia di cambiamento. Quello di Adam è un ritorno a una terra che
ha vissuto la dilaniante guerra civile e ne porta i segni, ma anche al passato,
a un paese in cui diverse etnie e comunità convivevano pacificamente, nel segno
di una notevole vivacità culturale. Era "un miracolo" che adesso non
c'è più.
Del protagonista del suo romanzo, Maalouf ha detto: "Ha il mio
sguardo", ed è con lui e attraverso di lui che l'autore torna a parlare
della sua patria, trova il coraggio di affrontare il passato.
Nel dialogo con Cremonesi, lo scrittore ha spiegato come il Libano sia dilaniato
da quello che si può definire "comunitarismo esasperato" dove le
etnie sono così violentemente rivendicate ma - paradossalmente - nessuno è più
in grado di riconoscersi. Commosso, ha raccontato di essere stato tra i
testimoni oculari dell'attentato del 1975 che ha sancito l'inizio del conflitto durato fino al 1990. Poco dopo il suo ritorno dal Vietnam in guerra,
ecco che assisteva impotente allo scoppio di un'altra guerra. "Eravamo
giovani e ingenui. Credevamo di poter fermare la guerra e non ci eravamo
accorti di come fosse fragile quell'equilibrio che vedevamo attorno a noi",
ha detto. Per questo, poco dopo ha lasciato il suo paese per permettere ai suoi
figli di crescere in un luogo pacifico, in cui non fossero costretti a
combattere. Questo senso di impotenza attraversa anche il libro, sancendo un legame
fortissimo tra il testo e le esperienze biografiche dello scrittore.
Tantissimi i temi di attualità affrontati: la relazione tra il Libano e
la situazione siriana; la difficile definizione di "Primavera araba"
che secondo lui va riconsiderata con cautela (a due anni di distanza dalle
prime espressioni di un bisogno di democratizzazione, si evince che il processo
deve attraversare ancora molte altre fasi prima di dirsi concluso); il rapporto
politica/religione che, a causa del fondamentalismo, compromette la possibilità di realizzazione di una
rivoluzione che in origine aveva dei
caratteri democratici e progressisti. Ma Maalouf ha soprattutto espresso la
speranza che le diverse comunità che da decenni si scontrano nel mondo
mediorientale tornino a convivere come accadeva nelle luminose società antiche
di Alessandria e Costantinopoli, "laboratori di cultura" dove la diversità
era sinonimo di dialogo e ricchezza.
In questo contesto ha trovato spazio anche una riflessione sulla crisi
della democrazia europea. L'Europa
come "fortuna", miracolosa unione di popoli che dopo secoli di guerre
per l'egemonia si sono unite in un'unica entità, che adesso rischia di perdere
sostanza, indebolendosi sotto i colpi di una decadenza che non è solo politica
ed economica, ma ha radici molto profonde. "Dobbiamo reinventare la ragion
d'essere della democrazia", ha concluso Maalouf. Un
"illuminista arabo", come l'ha definito Cremonesi, che ci ha dato una
lezione di cultura e civiltà che è impossibile dimenticare.
[Seguite
gli incontri del Festival della Narrativa Francese, individuate quelli
che si terranno nelle vostre città consultando il programma sul sito della rassegna]
Claudia
Consoli
Social Network