di Nadia
Zatti
Cavinato Editore International, 2013
61 pp.
In un momento storico come quello che stiamo attualmente vivendo,
sull’onda di un diffuso populismo che rinfocola i pregiudizi su tutto ciò che
viene percepito come diverso, questo libro desidera porre fine ai numerosi
luoghi comuni, spesso duri a morire, che vorrebbero imporci in qualche modo di
conformarci ai vecchi stereotipi, esortandoci invece ad aprirci all’altro, per
comprenderlo senza giudicarlo.
Amina, una studentessa di origini marocchine, che vive in Italia da
circa vent’anni, si dichiara fiera di indossare il velo anche quando cammina
per strada, in nome di una sua libera scelta che la rende serena e impermeabile
agli altrui giudizi e pregiudizi poiché “ quando una persona sta bene con se
stessa, sta bene anche con gli altri.” Nel caso di Amina, la serenità
scaturisce dalla consapevolezza di avere un cervello sotto il velo. Camminando
lungo le strade delle nostre città, capita spesso di incontrare delle donne
velate, che la nostra cultura occidentale ci spinge spesso – erroneamente – a
considerare sottomesse all’uomo e prigioniere di una civiltà arretrata. A causa
di un’immagine distorta veicolata dai mass-media, la donna velata ha finito per
tramutarsi in una sorta di simulacro associato a una presunta “pericolosità”
del mondo islamico, specie dopo gli attentati dell’11 settembre 2001.
In realtà, le donne che si vedono costrette a indossare il velo, a
causa delle forti pressioni esercitate dalla famiglia e della comunità
religiosa in cui vivono, rappresentano una sparuta minoranza, come sottolinea
mirabilmente questo libro, che intende dar voce a quelle donne musulmane, permettendo
loro di spiegarci le motivazioni più autentiche alla base delle loro scelte,
per contribuire al rafforzamento di quel dialogo interculturale, dal quale non
si può prescindere per poter solcare il cammino della comprensione più vera,
che è scevra da qualunque preconcetto.
In Europa vivono 16.000.000 di musulmani, un numero destinato peraltro
a crescere, non solo sulla scorta delle ondate migratorie che si susseguono
periodicamente, ma anche per la presenza delle cosiddette seconde generazioni
di immigrati, che stanno contribuendo alla creazione di un Islam
“transnazionale”, complice anche l’utilizzo di Internet e dei social network. Questo
fenomeno favorisce il confronto con altre compagini spirituali, che finisce
giocoforza per “democratizzare” la cultura islamica. Ci troviamo dunque al
cospetto di una religione in continua evoluzione, che reinterpreta i suoi
principi fondamentali ispirandosi ai nuovi cambiamenti del XXI° secolo,
integrandoli alla nuova identità dei figli degli immigrati.
A questo punto si innestano i quesiti che delineano il tema portante
sviscerato nel libro: quali sono le correnti di pensiero dell’Islam moderno? E
per quale motivo alcune donne decidono di indossare il velo, e altre no?
Tanto
per cominciare, occorre operare una distinzione fra le varie tipologie di velo,
perché forse non tutti sanno che i veli e i modi di indossarli cambiano in
funzione delle interpretazioni dei testi sacri, della zona geografica di
provenienza delle donne e dei loro gusti personali. L’hijab è un foulard che
copre le orecchie, il capo e il collo lasciando scoperto il viso, mentre il
khimar copre i capelli, il collo e il petto. Lo chador, di colore nero, imposto
in Iran dopo la rivoluzione islamica del 1979, avvolge tutto il corpo,
lasciando scoperto il viso. Il niqab, tipico dell’Arabia Saudita, copre il viso
lasciando liberi solo gli occhi, a differenza del burqa, che avvolge tutto il
corpo dalla testa ai piedi, ed è traforato all’altezza degli occhi per dare la
possibilità di vedere. Esistono anche moltissimi altri tipi di velo, che
riflettono la personalità della donna che lo indossa, le sue scelte e i valori
religiosi in cui crede.
La donna, che sceglie liberamente di indossare il velo, trova una sua
giustificazione anche nel femminismo islamico, che si propone di riformare le
leggi patriarcali, in base al principio secondo cui il Corano e la Sunna non
predicano la sottomissione della donna all’uomo, ma garantiscono la sua
libertà.
Ciononostante, occorre sottolineare come l’uso del velo sia tornato
prepotentemente in auge solo a partire dagli anni Settanta del secolo scorso,
anche se alcuni paesi come la Turchia, l’Iran e la Tunisia avevano decretato
l’abolizione del velo come segno di modernizzazione.
In Francia, Paese fortemente laico, la polemica sul velo è divampata
con prepotenza nel 1989, ed è culminata con una legge del 2004 che vieta l’uso
di qualsiasi segno religioso ostentatorio, seguita da una legge del 2011 che
proibisce di indossare il niqab e il burqa nei luoghi pubblici. Qualcuno ha
voluto ravvisarvi una nota di malcelato razzismo, benché diverse compagini
musulmane siano favorevoli a queste leggi. In Italia, le polemiche sul velo
sono perlopiù di ispirazione xenofoba, e a tratti strumentalizzate da alcuni
schieramenti del centro-destra, che si appellano alla volontà di liberare le
donne musulmane da una presunta schiavitù imposta loro da padri e mariti. In
realtà, come si evince dalle dichiarazioni rilasciate dalle donne intervistate
nel libro, quella di indossare il velo corrisponde ad una loro libera scelta.
Queste donne, che risiedono a Brescia e provincia, hanno un livello culturale
medio-alto, e sono spesso impegnate socialmente sia all’interno della comunità
islamica sia nella società in cui vivono. Indossano il velo per libera scelta,
sfidando coraggiosamente le critiche e i giudizi malevoli di molti concittadini
di fede cattolica. Per Amina, così come per molte altre donne, il velo permette
loro di differenziarsi dalle scelte di alcune donne occidentali che utilizzano
il corpo per raggiungere i loro obiettivi, o anche per accrescere una fragile
autostima che fa leva solo ed esclusivamente sull’apparenza a detrimento di una
conoscenza più profonda di sé. Molti uomini musulmani come Issam, un medico
radiologo che vive a Brescia, ritengono che indossare il velo debba scaturire
da una libera scelta, pena il rischio di cadere nell’ipocrisia, che è di gran
lunga peggiore della miscredenza. Le nuove generazioni di musulmani, nati e
cresciuti in Italia, potrebbero contribuire a sciogliere i pregiudizi
attraverso l’interazione, sin dall’età scolare, con i loro coetanei di fede
cattolica, ma anche attraverso il dialogo interreligioso promosso da alcune
menti “illuminate” come quella di don Fabio Corazzina, parroco e insegnante di
religione. Insomma, anche se c’è ancora un lungo sentiero da percorrere prima
di approdare alla vera integrazione, questo libro ci invita ad aprirci
fiduciosamente al dialogo e all’ascolto di chi non rappresenta un pericolo,
bensì è semplicemente diverso da noi.
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