“Io ho sempre scritto per passarmi un po’ di tempo. E questo fatto di passare un po’ il tempo è la cosa migliore dello scrivere. Quando non so cosa fare io scrivo,e sono contento.”
“Il bello dello scrivere è che non sai dove stai andando e non sai dove andrai a finire. Quando viene fuori una storia è come quando sogniamo. Scrivere è come un vento che ti porta via.”
Gianni Celati è uno scrittore e un intellettuale poliedrico che, durante la sua giovinezza, ha avuto la
fortuna di instaurare un profondo rapporto di amicizia e un proficuo scambio di
idee con colui che è riconosciuto da molti come il narratore italiano più
importante del Secondo Novecento, Italo Calvino. Lo scrittore sanremese amava
molto dialogare con Gianni Celati, e quando gli chiesero quale fosse il motivo
di questo particolare sodalizio tra due
personalità così differenti rispose:
“Gianni Celati l’ho conosciuto nel ’68. Tutto ciò che gli stava più a cuore in letteratura, da Lewis Carroll a Samuel Beckett, stava a cuore anche a me; così nacque uno scambio di idee che si prolungò per alcuni anni e che fu molto importante per me. […] lui leggeva tanti libri ed elaborava poetiche e metodologie critiche, e io cercavo come potevo di tenergli dietro. Ma essendo io più lento, appena riuscivo a entrare nel filo d’un suo discorso e a capire su cosa potevo dirmi d’accordo e su cosa no, lui era già passato ad altro; e io dovevo ricominciare da capo.”
Celati, oltre a essere
uno dei maggiori narratori italiani viventi, è critico e saggista
atipico, regista-documentarista e traduttore. Si tratta di uno scrittore vagabondo e malinconico dallo stile inconfondibile
che non ha mai smesso di scrivere e spostarsi. Nell’attuale panorama letterario
egli ha sempre mantenuto una posizione defilata, e non ha mai voluto adeguarsi
ai diktat dell’industria culturale e
del successo di massa a tutti i costi. Celati ha infatti sviluppato l’idea di
una letteratura non industriale, non legata alle mode del momento.
I suoi scritti
narrativi, basati sulla semplicità, sono caratterizzati da un’evidente spontaneità
e immediatezza, e da un’osservazione
disincantata e senza preconcetti del mondo e dei fenomeni della vita. Non è un
caso, del resto, che tra il 1995 e il 1997, insieme ad altri scrittori, tra cui
Ermanno Cavazzoni, Daniele Benati e Ugo Cornia, Celati abbia dato vita a una
rivista intitolata Il Semplice. Secondo Celati quando si scrive bisogna anzitutto essere
semplici, perché è solo con la semplicità che ci si avvicina al nucleo più
profondo e misterioso della vita. Scrivere “semplice” non è facile, perché
richiede un atteggiamento particolare nei confronti della scrittura e del
mondo: bisogna partire dal presupposto che il mondo esterno è indifferente ai
nostri pensieri, e chiede semplicemente di venire descritto, raccontato,
evocato, ma non di essere capito.
Per Celati narrare
significa disperdersi, far divagare la propria mente, allontanarsi dagli
schematismi e dalle convenzioni, come quando si guardano le nuvole in cielo
cercando di indovinarne la forma mutevole. In tal modo la narrazione
trasporta il lettore in un altro mondo, sottraendolo al peso della realtà.
Il neologismo da lui coniato, fantasticazione,corrisponde al termine inglese revery, con cui si definisce l’atto del
fantasticare. Questa parola rimanda all’idea di una totale distensione e
rilassamento del corpo nell’atto della scrittura, che si compie in uno stato di
dormiveglia, come se si scrivesse sotto l’impulso di alcuni sogni. Si genera
così l’ideale di una scrittura concepita in uno stato che si avvicina alla trance e al sogno. Quello di Celati è un narrare visionario, un raccontare non per spiegare ma
per provare a far emergere la vaghezza, rendendo i lettori perplessi e
stupefatti davanti allo spettacolo del mondo. Tutta la sua prosa è disseminata
di improvvise soluzioni linguistiche che spiazzano chi legge e concorrono a far
scivolare la scrittura sul terreno del vago, della suggestione allusiva e
indefinita. Il lessico celatiano, infatti, più che indicare con precisione,
allude: la parola non si propone di descrivere la realtà in maniera esatta,
quanto di accendere l’immaginazione.
Tra le sue opere narrative si possono
ricordare Comiche (1971); Le avventure di Guizzardi (1972), La banda dei sospiri (1976) e Lunario del Paradiso (1978), poi
confluite nella trilogia comica Parlamenti
Buffi (1989). A una seconda fase,
dopo un periodo di silenzio, appartengono Narratori
delle pianure (1985), Quattro novelle
sulle apparenze (1987), Verso la foce
(1988), Avventure in Africa (1998), Cinema naturale (2001) e Fata Morgana (2005).
Tra i suoi saggi e
studi critici spiccano quelli dedicati a Tozzi, Melville, Celine e Beckett,
tutti autori che presentano diversi punti di convergenza con la scrittura celatiana.
Dopo aver instaurato
con il fotografo Luigi Ghirri un grande legame di amicizia, frutto di una ricca
influenza reciproca, Celati si è dedicato anche al cinema producendo
film-documentari come Strada Provinciale
delle Anime (1991), Il mondo di Luigi
Ghirri (1999), Case Sparse. Visioni
di case che crollano (2003) e Dioll
Kadd. Vita, diari e riprese di un viaggio in Senegal (2010).
Celati è anche un grandissimo
traduttore e si è occupato di autori come Swift, Melville, Celine, Conrad, Twain e
Carroll.
Ma l’opera che più lo ha
appassionato è stata l’Ulisse di
Joyce, argomento della sua tesi di laurea in letteratura inglese: dopo un
lungo lavoro, durato molti anni e costato molta fatica, il 5 Marzo 2013 è
finalmente stata pubblicata, presso la casa editrice Einaudi, la straordinaria
traduzione. L’uscita della traduzione dell’Ulisse ha fornito l’occasione alla città di Bologna, luogo in cui Celati ha
studiato e insegnato all’Università, per omaggiare l’autore con un Festival Letterario della durata di un
anno, interamente a lui dedicato, invitandolo a Bologna dall’Inghilterra in
cui vive da tempo. Si potrà così sentirlo parlare di questo complicato lavoro
di traduzione che l’ha occupato per molti anni, e di tutte le altre grandiose
esperienze culturali che ha affrontato durante la sua avventurosa e acrobatica
vita letteraria.
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