di Gillian Flynn
Rizzoli Vintage, 2013
pp. 464
€13.00
Spiazzante. In questa storia non ci sono eroi, né buoni o
cattivi, tutti a loro modo compiono o immaginano di fare qualcosa di terribile,
ferirsi, distruggersi a vicenda.
Amy e Nick sono giovani, innamorati e felici nella nuova
vita coniugale a New York; entrambi lavorano nel mondo del giornalismo, lui di
origini modeste si è fatto strada da solo sicuro del proprio talento, lei da
sempre cerca il proprio spazio lontano dal personaggio letterario della Mitica
Amy che i suoi genitori le hanno cucito addosso e grazie al quale hanno
raggiunto fama e denaro.
Ma la crisi dell’editoria è alle porte e Nick ed Amy sono
solo due dei tanti che ne rimangono travolti, costretti ad inscatolare sogni e
carriere ritrovandosi di colpo senza un lavoro:
“Ho avuto un lavoro per undici anni e poi di colpo sono rimasto senza, così. In tutto il Paese le riviste chiudevano i battenti, soccombendo a un’infezione improvvisa causata dall’economia in rovina. Gli scrittori (del genere cui appartengo io: aspiranti romanzieri, intellettuali meditabondi, gente il cui cervello non è abbastanza veloce per bloggare, linkare o twittare, in poche parole vecchi sbruffoni cocciuti) erano finiti. Eravamo come cappellai per signore o fabbricanti di frustini: il nostro tempo era tramontato. Tre mesi dopo anche Amy perse il lavoro”.
Da qui inevitabilmente tutto il resto va in frantumi: le
storie della Mitica Amy non hanno più il successo di un tempo e i genitori si
ritrovano a chiedere aiuto alla figlia costretta ad attingere al proprio fondo
fiduciario per venire in loro aiuto, si avvertono le prime tensioni nella
coppia di giovani sposi costretti a passare molto più tempo in quel loft
newyorkese che come un mausoleo ricorda i tempi spensierati e prosperosi di
pochi mesi prima soltanto, quando sembrava impossibile che il loro mondo
potesse andare in pezzi. I conti praticamente prosciugati e la malattia della
madre di Nick, i due decidono quindi di lasciare la città che gli ha portato
via ogni cosa e tornare nel luogo natale di Nick, North Carthage nel Missouri,
paesino ameno e desolato, dove cercare con mezzi decisamente ridimensionati di
ricostruire la propria vita e il proprio matrimonio. Qui, con i risparmi della
moglie, Nick apre un bar insieme alla sorella gemella Go, ingenuamente convinto
del successo forte del fatto che “il
mondo avrà sempre bisogno di un drink”, mentre i pensieri si fanno sempre
più numerosi: la malattia che sta consumando l’amatissima madre, un rapporto
conflittuale e irrisolto con il padre malato di Alzheimer ricoverato in una
casa di cura, le tensioni famigliari sempre più insostenibili, il senso di
fallimento e sconfitta che lo perseguita.
Tutto implode la mattina del loro quinto anniversario: Amy
scompare e tracce di sangue e lotta fanno immediatamente temere il peggio. E
per Nick ha inizio l’inferno. Nel giro di pochissimo tempo passa da marito
premuroso in pena per la scomparsa della giovane moglie a uomo freddo e cinico,
presunto colpevole di un atroce delitto. Ogni dettaglio della sua vita viene
messo a nudo, ogni incongruenza e sguardo analizzati con sospetto, mentre la
polizia e tutta la città sembrano avere già deciso il finale della storia.
Ma forse dietro le apparenze si cela molto di più, la linea
che separa buoni e cattivi non è così nettamente tracciabile, vecchi fantasmi
si ripresentano dal passato ognuno con il suo carico di colpe e desiderio di
vendetta, mentre l’apparenza di un matrimonio felice si sgretola per lasciare
intravedere il mondo di bugie su cui si regge.
Gillian Flynn costruisce un romanzo thriller intenso e
straordinariamente coinvolgente, capace di conquistare il lettore anche meno
incline al genere grazie all’abilità dell’autrice nell’ impiegare i capisaldi
del thriller/giallo (delitto, ricerca del colpevole, colpi di scena, suspense,
scoperte in cui niente è come appare) al servizio di una storia il cui fulcro è
soprattutto il matrimonio: l’amore fatto di bugie e sensi di colpa, desideri
contrastanti, silenzi, false identità e recriminazioni. Giocato sull’alternanza
delle due voci dei protagonisti, la Amy dei primi anni felici con Nick che
registra l’inizio della loro storia sul proprio diario, e il marito che scoperta
la scomparsa della compagna diviene il mostro, bugiardo e reietto da guardare
con sospetto, è terribilmente inquietante nel ritratto spietato di un
matrimonio in crisi:
“A cosa pensi Amy? La domanda che ho fatto più spesso durante il nostro matrimonio, magari non ad alta voce, magari non alla persona che avrebbe potuto rispondermi. Suppongo che domande simili incombano come nuvole nere su ogni matrimonio: a cosa pensi? Come ti senti? Chi sei veramente? Che cosa ci siamo fatti?”
E mentre l’America morbosa (ma questo è un tratto che
purtroppo supera i confini) si appassiona a questa storia misteriosa, Nick si
trova costretto a seguire le tracce dell’ultima caccia al tesoro ideata dalla
moglie poco prima di scomparire e che lo conducono in luoghi significativi di
quell’ultimo anno dopo il trasferimento. Ma è davvero un modo per
riavvicinarsi, celebrando una vecchia tradizione per il giorno del loro
anniversario? O è soltanto un gioco pericoloso e inquietante messo in atto per
svelare una vita di menzogne e inganni?
Vale davvero la pena di non fermarsi all’apparenza dell’ennesimo
thriller per scoprire invece che il romanzo della Flynn rivela un originale
talento narrativo pretesto per una riflessione più complessa sulle menzogne che
ci costringiamo a raccontare, sui compromessi del matrimonio, sul fallimento e
la perdita di certezze il cui prezzo molto spesso è la frattura dei rapporti. Bugie,
moltissime bugie, sono il tratto che accomuna entrambi i protagonisti in un
gioco al massacro, ma parallelamente ci si interroga sul potere dei media, sul
pregiudizio innato da cui difficilmente si è del tutto immuni, sul rapporto con
la famiglia d’origine e su quali possibili implicazioni possano avere traumi
più o meno profondi nella costruzione della propria identità, sul carattere e
la personalità e sull’innegabile rete di menzogne e accuse che l’autrice sembra
suggerire essere parte integrante di ogni relazione, di ogni amore atomico.
“In quest’epoca è molto difficile essere una persona, una persona reale e autentica anziché un fascio di tratti caratteriali selezionati da un generatore infinito di personaggi. E se tutti stiamo interpretando un ruolo, allora l’anima gemella non può esistere perché le nostre anime non sono vere”.
Debora Lambruschini