TIZIANODI NERI POZZA: I RITRATTI FEMMINILI
TRA ARTE E LETTERATURA
L’opera narrativa di sapore prosastico Tiziano di Neri Pozza, ci offre un delicato, personale e quanto mai inedito ritratto di Tiziano Vecellio ,raffigurato, descritto e narrato lungo un arco temporale che parte dal periodo giovanile 1509 e che poi, attraversando il periodo più maturo del pittore,arriva alla vecchiaia e infine alla morte avvenuta nel 1576. Non si tratta di una critica d’arte, ma di un racconto di vita romanzata arricchito da notevoli spunti biografici.
Accanto allo srotolarsi degli episodiche scandiscono la quotidianità di Tiziano, emerge il quadro di una società ancora saldamente ancorata ad una storicità veneta legata all’ultima fase medievale e avviata verso una fase rinascimentale, connotata da avvenimenti cruciali che partono dalla guerra dei Congregati contro Venezia, alle guerre contro le fanterie del re Luigi XII, alla morte di Zorzi, fino ai rapporti diplomatici di Tiziano con Carlo V e con Filippo II; questi avvenimenti, oltre a fare da cornice, danno una resa di sapore amaro al racconto biografico di Tiziano.
Ma sono soprattutto i ritratti femminili che emergono qui in questa biografia del pittore, ad emergere particolarmente,incontri scaturiti al tempo giovanile a Pieve di Cadore, o nati da episodi occasionali avvenuti durante gli spostamenti del pittore tra Padova e Venezia;circostanze che vanno a connotare l’esperienza e la crescita personale e letteraria di Tiziano, e che poi divengono una preziosa fonte d’ispirazione perle innumerevoli forme d’arte rappresentate nelle tele del pittore, uno stile che contribuirà a consolidare la sua vocazione artistica e spirituale.
Un giovane pittore solitamente visto,descritto e celebrato nei saggi critici, da un punto di vista soprattutto artistico, ma che, attraverso la narrativa di Neri Pozza, possiamo comprendere maggiormente dal punto di vista umano perché il curatore ci propone un racconto che si colora di sfumature emozionali belle e intense; ad esempio, quando il giovane viene a contatto con l’ambiente padovano e veneziano, egli scopre un mondo che lo avvicina al genere femminile che conosciamo soprattutto attraverso i suoi quadri e i suoi affreschi, e che, in questa narrazione possiamo distinguere e riconoscere anche come uomo parlante e partecipe della propria vita.
Ecco che le donne, simboli della sua giovinezza nel paese natio e conosciute durante la sua permanenza a Padova e incontrate tra i ponti, le calli e i vicoli veneziani, diventano, in questa prosa, più di un motivo artistico per il pittore: sono i visi velati da ombre o irradianti di luce a proiettare e a far nascere nuove ispirazioni a Tiziano, figure femminili celebrate per la loro sensualità,sono i dialoghi appena accennati o volutamente prolungati a farlo meditare sulle possibilità incantatorie del potere femminile, o una gestualità estremamente riservata, o anche audacemente ostentata a farlo riflettere sulle sue esperienze artistiche future.
Addentrandoci nella narrazione di Neri Pozza, a Venezia tornano alla memoria di Tiziano alcuni ricordi legati a Pieve di Cadore, la sua cittadina d’origine, in cui un particolare binomio culturale, continua ad essere caratteristico di tutte le comunità prevalentemente rurali:Pieve è infatti un luogo dove lo spazio e il tempo sono segnati e scanditi dai ritmi e dai rituali delle due pratiche più antiche nella storia dell’uomo: il lavoro e il culto religioso. Nel tratteggiare la presenza della religione nell’ambiente paesano, l’autore evoca innanzitutto la stretta connessione con ciò che di consuetudinario e di essenziale lega gli abitanti alle pratiche religiose ed è in questo contesto che torna vivo nel pittore, il ricordo di una donna:
Meglio, pensava Tiziano, morire a Pieve. […] Gli uomini in chiesa cantano coi preti, e dopo le esequie e la sepoltura, tutti convengono in casa a discorrere delle virtù del trapassato.[…]Chi era, pensava Tiziano, la bella paesana che sventolava le gonne passando da una stanza all’altra? Portava i piatti colmi, andava e veniva coi vassoi[…]. «Scappate?» domandava Tiziano raggiungendola. «Ma dove scappate?» E l’abbracciava. Le spalle della giovane erano di un bel colore biondo, tramato di vene azzurrine[1].
Altra figura femminile tratteggiata da Tiziano è la duchessa Lucrezia di Ferrara: la donna vive in un ambiente che per Tiziano risulta essere lontano dai suoi ideali: qui ogni desiderio è legato al denaro e ai privilegi nobiliari; è lo stesso pittore ad essere contrariato da ciò, il nero non si abbina ad una nobildonna; l’universo femminile si presenta così mobile, cangiante, irrazionale, a volte incomprensibile, ricco di elementi e sfumature diverse:
«I servi di casa cominciavano a uscire dalle loro stanze e io ero in piedi da due ore!» seguitava Tiziano. «Non per dipingere ma per vedere le bellezze del vostro castello, perdermi girando le camere e i corridoi di quella baliverna! C’era sempre buio. Così vuole la duchessa, la duchessa desidera che le imposte siano accostate. E dov’è la duchessa? È andata al santuario tale, in cerca di indulgenze. Una femmina del suo estro! L’ho incontrata a un ricevimento, bionda, patita, in abito negro che pareva uscita da un mortorio. Si volta e mi dice “Il duca desidera che mi facciate un ritratto, e io non lo voglio" [2].
Il racconto di Neri Pozza si sofferma sulle amicizie che si consolidano man mano che la narrazione prosegue: è Tebaldi, oratore del duca di Ferrara, a informare Tiziano dell’ammirazione del Bembo per un dipinto intitolato La bella gata che poi invece impareremo a conoscere con il nome artistico di Violante. Il tono di Tiziano, rimasto nella sua stanza accanto alla tela del dipinto, è confidenziale, a tratti audace, e ci rivela un giovane uomo che sa giocare con l’ironia: la donna ritratta non svolge un ruolo passivo, anzi al contrario, è lei a fissarlo dal cavalletto, è ancora un abbozzo in tela ed è lì in attesa di una qualche parola e osservazione che arrivi dall’artista artefice della sua creazione:
«Non voglio mossiere. La bella gata è promessa a lei, per le sue amorevolezze. Non c’è a Venezia una femmina più quieta e paziente». Il tono era talmente prelibato che il Tebaidi non trovava parole per replicare. Rispondeva al saluto di Tiziano e si ritirava. Il pittore, chiusa la porta, tornava sui propri passi e rideva. […]Spinse l’uscio, e toltosi l’abito elegante col quale aveva ricevuto il Tebaidi,andava alla finestra sul brolo. La luce era temprata dal verde delle foglie. La bella gata stava a guardarlo dalla piccola tela sul cavalletto, come aspettasse una risposta. Tiziano guadagnava tempo. Rimetteva il proprio abito nell’armaro; e intanto la spiava nella scollatura della camiciola arricciolata, che cadeva dalla spalla.[3]
Tiziano sembra instaurare un dialogo con il quadro, con la donna raffigurata; il dipinto rappresenta un’ideale femminile seducente; il giovane uomo sente una qualche appartenenza, sa che la donna ritratta come bella gata può suscitare l’invidia altrui, e si esprime con tono confidenziale in questo strano soliloquio che è allo stesso tempo un dialogo a due. “Lei” sembra ricambiare e sorridere come una Gioconda, in questo caso, resa più viva e partecipe, che segue con lo sguardo chiunque la osservi. Questo dipinto sembra andare oltre la realtà,toccando i confini dell’idealità e come uscendo dall’inconscio, questi due mondi si incrociano; dal fantastico, diventano un ponte fra vitae non vita, fra il visibile e l’invisibile, sono possibili strumenti di conoscenza dell’oltre, mediatori mistici e demiurghi in un connubio di verità e idealità: un affresco, quello del pittore veneto, che dall’antitesi tra oggettività realistica e disposizione idealista, ci consegna anche una nuova dimensione artistico letteraria con cui leggere il pensiero di Tiziano.
«Mi piacete, ma non tanto da metter su casa con voi. Avete visto come va con la pittura; oramai dorme con me! Non sono uomo da maritare! E poi non siamo fatti l’uno per l’altra. Perché non dovrei dirvelo? Siete la beltà più bella che ho mai visto; e dovrei farvi da guardia. Appena voltassi la testa i miei amici tenterebbero le vostre virtù. Pur di vedervi nuda e baciare i vostri piedi, vi donerebbero abiti di seta, mussole, collane, bùccole, anelli, pietre fine». La bella gata sorrideva.[4]
La critica d’arte si è soffermata sulla teoria che La bella gata possa essere stata la modella e la figlia di Palma il Vecchio, nonché presunta amante di Tiziano; questa corrente di pensiero, per una parte della critica, appartiene alle leggende metropolitane. Certo era tra le preferite per Tiziano perché possiamo osservare quanto questo modello di bellezza torni in diversi capolavori giovanili, del pittore veneto, soprattutto in soggetti allegorici o mitologici. Tiziano dipinge le forme che Agnolo Firenzuola, ad esempio, teorizzava allora nel Dialogo sulla bellezza delle donne(amore neoplatonico) evidenziando una tipologia di bellezza femminile anche vestita.
Il dipinto della Bella Gata, ad un certo punto è completo: la postura sicura di sé, l’impostazione di tre quarti quasi aggettante in avanti per il braccio destro sollevato, ma a pararsi col braccio sinistro, le vesti ampie e sontuose, l’atteggiamento elegante, che tuttavia molto concedono alla maliziosa valorizzazione delle forme, lo sguardo serioso, le labbra strette segnate ai lati dalle fossette, il roseo trasparente delle gote, compongono un insieme di formali contrasti che creano la tensione del quadro. Si tratta di un tipo di bellezza che non si cela, ma neanche si offre; non fugge allo sguardo, ma sta sulle sue:
Nello studio, Tiziano aveva disposto le tele piccole in posti precisi, trovando loro il livello e la luce giusta. […] Tolte per l’occasione dagli angoli, liberate dalla polvere e dalle ragnatele le pitture piccole adesso rivedeva con compiacenza la Salome, la Flora, La sacra conversazione pitturata per la Cecilia. La bella gata e il ritratto di Vincenzo Mosti.[…] Entrato nello studio l’Aretino lo aveva riempito della sua persona. Traversava la stanza col passo grave e si fermava alla distanza giusta dall’opera; aggrottava gli occhi, li socchiudeva con l’arte di quello che li sa guardare, e si ficcava le dita nella barba. «Sublime femmina»mormorava davanti alla Bella gata,trascinato dalla luce fulva che usciva dalla tela. «Beati voi!» diceva dislancio. Per la prima volta vedeva nella pittura quello che tutti sospiravano: la figura fatta luce. Il disegno che definisce le forme e gli spazi era scomparso: ecco la vera novità della pittura.[5]
Nell’ultima fase di vita, Tiziano tenta con i suoi quadri di leggervi qualcosa che va oltre le proprie tendenze artistiche. Nel quadro mitologico della scena seguente in cui campeggiano le figure di Diana e Atteone e di Diana e Callisto, il pittore cerca di scorgervi una naturalezza nei movimenti aiutandosi grazie al giudizio critico di Sansovino. Ma è l’artista per primo a non essere convinto di ciò, le impressioni sulle movenze delle figure rappresentate nelle tele non riescono a diventare una nuova materia artistica; il suo stile rimane inconfondibile. Nel momento stesso in cui Tiziano diede avvio a quella espressione pittorica che divenne poi una tendenza e una vera scuola d’arte, la conservò fino all’età più matura: «in lui nulla di tormentato, nulla di morboso, nulla d’inquieto, la malattia moderna»[6]non era riuscita a scalfirlo:
Passava le giornate nello studio. Aveva attaccato a disegnare in lacca rossa le “poesie” per Filippo II: Diana e Atteone e Diana e Callisto, e macchiava i nudi di velature bionde e azzurre. Atteone che sorprende Diana al bagno con le sue donne, era venuto di getto. Più difficile e intrecciato gli riusciva il gruppo di quelle che, aggredita Callisto, la spogliano nuda; e si accaniva a cercare, nell’affollamento dei ricordi romani, una vera naturalezza dei movimenti. E proprio perché scoprisse quelle reminiscenze - ma le avrebbe viste davvero? - pensava di chiamare il Sansovino, e sentire il parere di un uomo del mestiere consumato.[…] Ma non poteva respingere le nuove idee sulla pittura veneziana.[7]
Un ottimista delle forme, Tiziano, quando già si affacciavano le ombre dello scisma protestante eil rinascimento volgeva verso il travaglio del barocco, tramite il manierismo.
Ma intanto il corpo delle sue tinte continuava ad esaltare la plasticità dei soggetti, sublimava il martirio, non conosceva quasi il sangue.I ritratti femminili proiettano tuttora dagli sguardi, dai volti, dalle posture, la gravità dei tempi, senza che ciò abbia in qualche modo sminuito il prestigio e l’autorevolezza, che anzi il contesto esaltava. D’altronde non era questo che si attendevano forse i suoi committenti? La consacrazione artistica della cultura, delle radici, dell’ordine tradizionale, mentre il mondo si allargava geograficamente, cambiava filosoficamente, religiosamente e da un punto di vista politico verso orizzonti gravidi di incognite.[8]
Tiziano Vecellio è rimasto sostanzialmente un pittore che si è avvicinato maggiormente allo spirito degli antichi: equilibrato e sicuro di sé, commuove profondamente perché è riuscito a fare della sua esecuzione artistica uno stile espressivo che non lo domina mai e di cui non ha mai dato sfoggio. Come ha ben sottolineato E. Delacroix, «in lui le qualità pittoriche sono portate al punto massimo: quel che dipinge, è dipinto: gli occhi guardano e sono animati dal fuoco della vita. Vita e ragione sono presenti ovunque»[9].
È il messaggio che cogliamo dalla lettura del racconto biografico proposto da Neri Pozza:un’esistenza, quella di Tiziano, strettamente collegata alla facoltà del pensiero, i suoi quadri sono l’espressione più autentica delle sue riflessioni,un’arte colta, cosciente, spettacolare, capace di suscitare delle intense emozioni e una totale partecipazione sul piano estetico, affettivo e personale.
Mariangela Lando
[1] N. POZZA, Tiziano, in Neri Pozza, Opere complete,a cura di G. Pullini e F. Bandini, Neri Pozza Editore, 2011, p. 573.
[2] Ivi, p. 575.
[3] Ivi, p. 577.
[4] Ibidem.
[5] Ivi, p. 650.
[6] T. GAUTIER, Voyage en Italie, 1882 in L’opera completa di Tiziano, Milano,Rizzoli, 1969, p. 11.
[7] N. POZZA, Tiziano in Opere complete, cit., p. 764.
[8] Dalle parole di GiuseppeLa Terza, esperto e appassionato di libri d’antiquariato.
[9] E. DELACROIX, Journal 1854 e 1857, in L’opera completa di Tiziano, cit., p. 10.