"Goodbye, Columbus", l'esordio di Philip Roth

Goodbye, Columbus
di Philip Roth
Einaudi, 2012 (prima ed. italiana Bompiani, 1960)
pp. 247
Traduzione di Vincenzo Mantovani



"Goodbye, Columbus è un'opera prima ma non è opera di un principiante. A differenza di quelli fra noi che vengono al mondo ululando, ciechi e nudi, Mr Roth è comparso con unghie, denti e capelli, sapendo già parlare. È abile, arguto, pieno d'energia, ed esegue la sua partitura da virtuoso."

Questo commento, riportato sulla quarta di copertina del libro, si deve a Saul Bellow. che nel 1959 salutò in questo modo l'esordio del ventiseienne Philip Roth, che ben presto sarebbe diventato uno dei più prolifici, discussi, celebrati e significativi romanzieri americani del Novecento.

Già in quest'opera prima sono evidenti alcune delle tematiche che costituiranno la cifra dell'autore, quali alienazione, sessualità, religione, conformismo, iconoclastia. Inoltre è già presente quell'atteggiamento critico, avvolto di ironia, nei confronti della comunità ebraica americana, che per Roth costituisce un mondo a sé, testardamente ripiegato su se stesso, prigioniero di ortodossia e perbenismo, piagato da convenzioni paradossalmente più asfissianti di quelle che intrappolavano la società wasp dell'epoca.

In Goodbye, Columbus la relazione sentimentale fra due ventenni diventa il pretesto per riflettere su una miriade di stereotipi e di ipocrisie che costituiscono le fondamenta culturali della società. Il giovane Neil Klugman, bibliotecario che vive insieme agli zii in un quartiere popolare della anonima Newark, conosce Brenda Patimkin, una ragazza proveniente dai ricchi sobborghi di Short Hills. In realtà il rapporto non andrà mai più in là dell'attrazione fisica, soprattutto a causa delle remore e dei sospetti di Neil, conscio del profondo divario fra i loro ambienti di provenienza, nonostante l'appartenenza di entrambi alla comunità ebraica.
Sin dai primi istanti traspare l'atteggiamento difensivo di Neil, che attraverso battute sarcastiche sulla ricchezza della famiglia di Brenda cerca di punzecchiare la ragazza, dopo che essa lo ha inconsciamente ferito spiegandogli di aver vissuto a Newark con la famiglia "quando erano poveri", o pianificando i preparativi per il trasferimento a Boston in settembre, quando andrà a studiare al prestigioso Radcliffe College a Harvard.
Il trasferimento della ragazza e un avvenimento fortuito saranno la ragione - forse il pretesto - per cui Neil porrà fine al rapporto, già appassito come le foglie d'autunno. Il racconto termina in una fredda giornata di settembre, lasciando aperti tutti gli interrogativi e irrisolte tutte le angosce che, attraverso Neil, giungono al lettore.

Attraverso le vicende del protagonista, Roth analizza rituali e comportamenti agiti dalle due famiglie, quella borghese di Brenda e quella operaia del ragazzo. Il padre di Brenda è un piccolo imprenditore dedicato anima e corpo al lavoro, i cui alti profitti sono la marca del prestigio sociale e della realizzazione personale. Neil è colpito dalla rivalità tutt'altro che mascherata fra Brenda e sua madre, che non perde occasione di ricordarle la fonte del suo tenore di vita agiato. Il fratello di Brenda è un ragazzone gioviale e non particolarmente intelligente - ma questa è l'immagine filtrata dagli occhi di Neil - destinato a subentrare nell'azienda del padre. Completa il quadretto familiare la viziata e insopportabile sorella minore di Brenda. Insomma, la tipica famiglia americana benestante, specchio fedele di quell'America descritta dall'iconografia ufficiale come serena e compiaciuta di sé, ma che in realtà incubava tutte quelle tensioni di carattere sociale e culturale che sarebbero emerse con un'esplosione liberatoria alla fine degli anni Sessanta.

Conformismo e ipocrisia non sono però esclusivo appannaggio della upper class; gli strali di Neil/Roth si dirigono anche verso la classe lavoratrice di cui la famiglia del ragazzo fa parte: la Zia Gladys è la personificazione del vuoto psicologico e culturale, personaggio assurdo e divertentissimo la cui attività principale è preparare quattro pasti diversi - rigorosamente kosher - a quattro orari diversi per i singoli componenti della famiglia senza che, peraltro, ve ne sia l'effettiva necessità.
Le altre preoccupazioni della Zia Gladys riguardano fondamentalmente lo stato della biancheria intima di Neil e il timore che le frequentazioni dei quartieri alti lo rendano troppo schizzinoso.

Le due famiglie rappresentano due mondi, separati dal denaro e pertanto inconciliabili, di uno stesso universo: la comunità ebraica, che con i suoi pregiudizi, le sue miopie, il suo linguaggio infarcito di termini yiddish, agisce come un microcosmo all'interno della società americana, tenendosi a debita distanza sia dai neri (anzi, i "negri") sia dai goyim, i "gentili", i non ebrei, considerando ugualmente impuro e inferiore tutto ciò che è "altro".

Goodbye, Columbus forse non è il lavoro più famoso di Roth, sicuramente non ha avuto lo stesso successo di pubblico rispetto ad altri capitoli della sua sterminata opera, tuttavia valse all'allora ventiseienne esordiente il National Book Award del 1960. La capacità narrativa di Roth è già a livelli altissimi, il realismo già crudo e violento, le similitudini usate nel descrivere personaggi e situazioni sono efficaci e precise, lo stile è già asciutto e mai ridondante, teso a un'essenzialità dalla quale, comunque, traspare tutto il "non detto".

Il volume comprende anche cinque short stories, sempre ambientate nell'universo yiddish, decostruito e rappresentato in modo impietoso dallo scrittore che, ebreo egli stesso, fu paradossalmente accusato di antisemitismo, sprattutto per il racconto Difensore della Fede, nel quale ritrae un soldato ebreo impegnato a sfruttare le prescrizioni religiose per trarre vantaggi illeciti. Ne La Conversione degli Ebrei un bambino, allievo di una scuola ebraica, mette in dubbio l'ortodossia religiosa, contrapponendo domande di logica che sfiorano la blasfemia e operando una sorta di catechismo nei confronti del rabbino. Non si può giudicare un uomo dalla canzone che canta fa un accenno al maccartismo, altro delirante prodotto della società americana degli anni Cinquanta. Epstein è una storia che tratta di follia (reale o presunta) e di sessualità rimpianta, mentre in Eli, il fanatico Roth, ancora una volta, svela l'ipocrisia e le divisioni in atto in una comunità che finge di mostrarsi unita e solidale.

Un libro bellissimo, da leggere in un fiato per riprenderlo più volte in seguito, alla ricerca di innumerevoli spunti di riflessione sulla condizione umana.

Philip Roth ha appena compiuto ottant'anni e la sua opera conta oltre trenta volumi, sia di narrativa che di saggistica. Probabilmente il più grande scrittore americano - e forse non solo - oggi vivente, non ha ancora ricevuto il Nobel.

Noi aspettiamo pazienti.

Stefano Crivelli