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#IlSalotto - Intervista a Mattia Signorini

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© Ivan Cerullo

Mattia Signorini è nato a Rovigo nel 1980. Ha pubblicato Lontano da ogni cosa, La sinfonia del tempo breve (Premio Tropea 2010) e Ora. I suoi romanzi sono tradotto in otto paesi. 



[Leggi anche la nostra recensione di Ora]


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Il ritorno a casa è un asse portante della struttura narrativa di Ora, il tuo ultimo romanzo, ma anche esperienza che hai da poco vissuto. Ci spiegheresti meglio il significato di questo tema nella tua produzione e nella vita?

Ritornare a casa è un guardare con occhi diversi il proprio passato. Con Ora è successo proprio questo. Quando ho finito la prima stesura del libro, e ho riletto la storia di Ettore, ho iniziato a guardare indietro anch’io, e quello che ho visto del mio passato ha acquistato forza e valore. Così ho deciso di tornare in Veneto, vicino alla campagna e agli argini. Ora è un romanzo che ha anticipato la biografia, in un certo senso.




Il paese in cui è ambientato Ora sembra un posto fuori dal tempo, un mondo di confine dove tutto scorre lentamente, lontano dalla frenesia di Milano. Quanto del tuo paese natale hai trasposto in questo luogo letterario e qual è la relazione con i personaggi? 

Quando scrivo un libro non faccio autobiografia. Certo, parlando dei posti che hanno segnato anche la mia adolescenza, ci sono finite dentro alcune immagini. Di luoghi, soprattutto. Quello che volevo raccontare è principalmente la necessità di un confronto tra le generazioni: il rapporto distrutto tra un padre e un figlio, l’amicizia che nasce tra un ragazzo e una signora anziana, e di come queste due persone molto diverse provano a salvarsi, insieme, dai loro rispettivi passati. 


In Ora dimostri grande capacità di costruire una trama che si muove su diversi piani temporali. Il viaggio nel tempo e nella storia, sebbene con intenti diversi, si trova anche nel tuo secondo romanzo, La sinfonia del tempo breve (2009). Da questo punto di vista c’è un legame tra i due testi? 

La sinfonia del tempo breve è una storia con forti elementi surreali e di sogno. È una delle dimensioni in cui vive una parte di me. Anche in Ora, che invece è un romanzo che racconta la realtà, se ne trova traccia. Penso al personaggio di Ester, una signora anziana che ha passato tutta la vita con i piedi a mollo nell’acqua del fiume, su una spiaggia, a guardare qualcosa che nessuno sa. Il discorso sul tempo che trascorre lasciando molte cose dietro di noi è un tema comune a tutti i miei romanzi: mi sembra che per quando cerchiamo di afferrare la vita qualche pezzo ci cada sempre dalle mani.


Si può dire che Ettore è lontano da tutto, persino da se stesso, come i protagonisti del tuo primo romanzo, Lontano da ogni cosa (2007)? Se sì, quali sono i punti di contatto tra i personaggi?

In Lontano da ogni cosa Stefano e Alberto esprimevano un senso di lontananza dato dal rifiuto, dalla rabbia verso un vivere sociale che non li corrisponde. L’Ettore di Ora invece è pervaso un forte senso di melanconia, e dalla necessità di recuperare il passato con occhi nuovi.

© Linda Bertazza
Nei tuoi tre romanzi ti sei cimentato con ambientazioni, personaggi, forme di scrittura diverse. Ci racconti le tue fonti di ispirazione o le esigenze interiori cui sentivi di dover dare voce attraverso la scrittura?
Credo che leggendo i miei libri si senta la stessa voce, ma che ogni volta è un po’ diversa. Ogni storia si porta con sé un modo diverso di essere raccontata. Quando scrivo cerco di fare il vuoto. Cerco un’atmosfera e il suo suono specifico. Da quella nascono i personaggi, la storia e lo stile di scrittura. 


Ti stai dedicando al progetto di una scuola di scrittura, i cui corsi partiranno nei prossimi mesi. Qual è la filosofia che sta dietro al programma? Il nome Palomar, di calviniana memoria, suggerisce una valenza maieutica…

Ho lavorato per quattro anni come talent scout ed editor per una delle più importanti agenzie letterarie italiane, la Vicki Satlow Literary Agency. Ho scoperto diversi autori, che poi sono stati pubblicati da grandi case editrici. L’ultima è Lorenza Gentile, che uscirà l’anno prossimo per Einaudi con un libro che strappa l’anima. Quando mi sono trasferito da Milano in Veneto mi è sembrato importante continuare a fare questo lavoro, attraverso una scuola e con due tipi di corsi diversi: un master che durerà otto mesi, con incontri ogni due settimane per un intero weekend, il cui obiettivo è quello di scrivere un romanzo, e dei corsi di scrittura serali più tradizionali. Gli autori più promettenti saranno rappresentati in Italia e all’estero proprio da Vicki Satlow, come segno di continuità al mio lavoro di questi anni. Spero di scoprire ancora molti scrittori veri, lavorando fianco a fianco con loro come ho sempre fatto. Per farsi un’idea di cosa è la Scuola Palomar ci si può collegare al sito: www.scuolapalomar.it. 


Quando parlo con uno scrittore sono sempre curiosa di conoscerne i modelli letterari o, più semplicemente, gli autori o i libri amati. 

Posso farti i nomi dei quattro autori che più amo, e che resistono nella loro bellezza al passare degli anni: Buzzati, Calvino, Bulgakov e Murakami. Ma sento molto vicina a me anche la narrativa americana: Franzen, Roth, Vonnegut, Cheever, Auster e Yates, per citarne alcuni. 


Intervista a cura di Claudia Consoli