di Haruki Murakami
Einaudi, 2006
pp. XX - 379
€ 12
Norwegian Wood è un romanzo malinconico, che, come fa presagire il sottotitolo Tokyo Blues, si tinge spesso di tinte nostalgiche. Malinconici sono i suoi splendidi paesaggi, i suoi personaggi e le melodie delle canzoni dei Beatles che, oltre a fare da sfondo, diventano, a tratti, protagoniste incontrastate degli eventi. Questo è vero per certi versi perché per altri Norwegian Wood è un libro provocatorio, irriverente e pronto a violare ogni tabù. E, ancora, Tokyo Blues è stato definito un romanzo di formazione e introspezione che, nell’indagare la crescita di Watanabe Toru, il nostro protagonista, descritto da Giorgio Amitrano come una specie di David Copperfield nel Giappone di fine anni ’60, arriva a sondare gli aspetti più inverecondi della vita sessuale di un adolescente nella sua transizione verso l’età adulta, in un momento storico che è, in tutto il mondo industrializzato, quello delle rivoluzioni studentesche, del sesso libero, del rovesciamento di ogni autoritarismo e dell’ideologia dominante e patriarcale.
Murakami Haruki, scrisse il libro partendo dal racconto Hotaru, cioè La Lucciola, mentre si trovava a Roma, dopo un breve soggiorno in Sicilia. La sua versione finale conserva la descrizione di un “notturno con lucciola” come uno dei momenti più lirici del romanzo. L’atmosfera evanescente, la luce soffusa di quel breve momento lasceranno poi sempre più spazio a scene e vicende di un vivido realismo.
I suoi personaggi sono connotati da una sincerità quasi maniacale che li spinge a confessare i dettagli più crudi e dolorosi delle loro esperienze, nella convinzione che “la libertà li renderà liberi”, riscattandoli dalla malattia, dalla solitudine, dalla follia. Quanto questo assunto sia vero sta a ogni lettore scoprirlo attraverso le esperienze di Toru, Kizuki, Naoko, Midori e molti altri personaggi, tutti giovanissimi e come fotografati da scatti in successione mentre evolvono verso l’età adulta o arrestano la loro crescita improvvisamente, scegliendo il suicidio: “Kizuki 17 anni. Naoko 21 anni. In eterno”.
Le morti che si susseguono innescano un circolo vizioso che ricorda la spirale di dolore ineluttabile della tragedia greca. A tal proposito, Watanabe, studente di Lettere, iscritto ai corsi di Storia del Dramma, cita anche Euripide, denunciando, però, come il teatro, attraverso espedienti quali il deus ex machina, tradisca la tragedia della vita vera. Attraverso le sue vicende, Toru giunge alla sua personale conclusione che la morte è parte intrinseca della vita e che
“per quanto uno possa giungere alla verità, niente può lenire la sofferenza di perdere una persona amata. Non c’è verità, forza, dolcezza che possa guarire da una sofferenza del genere. L’unica cosa che possiamo fare è superare la sofferenza attraverso la sofferenza, possibilmente cercando di trarne qualche insegnamento, pur sapendo che questo insegnamento non ci sarà di nessun aiuto la prossima volta che la sofferenza ci colpirà all’improvviso”.
A fare da contrappeso a quest’attrazione fatale verso il baratro, l’eros, come forza vitale, è indagato senza tralasciare gli aspetti più scabrosi ma anche in tutta la dolcezza della primavera, la tenerezza di un abbraccio, la passione di un amore nato inaspettatamente su una terrazzo di Tokyo mentre nel quartiere, con una metafora non troppo velata, scoppia un incendio. Ma l’eros non è fine a sé stesso: esso diventa amore se letto nella dimensione dell’attesa. Naoko, nella sua fragilità, attende di raggiungere Kizuki che sembra, a sua volta, aspettarla dall’aldilà nel regno dei morti; Watanabe, per contro, attende la guarigione di Naoko; Midori aspetta che Watanabe scelga lei in modo definitivo e consapevole e tutte queste attese si concretizzano nell’immagine di Toru che, dalla stazione di Ueno, come promesso al padre di lei, attende al telefono “in linea con Midori”.
Eva Maria Esposto
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