a cura di Salvatore Puggioni
Il Poligrafo, 2010
pp. 552
€ 35
Il
corposo e interessante volume curato da Salvatore Puggioni, Ippolito Pindemonte Epistole e Sermoni, raccogliendo una cospicua serie di epistole e
sermoni di Pindemonte, lungo un arco temporale che va dal 1778 al 1819, ha il
merito di portare alla luce e di qualificare una vasta produzione collocandola
all’interno della storiografia letteraria e degli interessi filologici, corpus rimasto finora senza un’attenta ricognizione
critica.
Il
libro presente un’ampia Introduzione in
cui il curatore ripercorre e ricostruisce dettagliatamente le fasi dell’iter
compositivo che porta alla stesura definitiva della produzione epistolare e dei
sermoni, percorso connotato da indecisioni e fasi meditative.
Lo
scopo del volume è quello di dare chiarezza cronologica e di riordino a questo corpus inedito: questo risulta chiaro
fin dalla lettura delle prime epistole, nate da ispirazioni e incontri del
poeta durante i suoi viaggi tra l’Italia Settentrionale, Roma, Napoli, Sicilia
e Malta: le donne sono le destinatarie privilegiate di alcune epistole: a loro
Pindemonte regala versi elegantemente composti che confermano un’individualità
poetica e di stile propria di Pindemonte; sono infatti molti gli elementi che
propendono per questo, una predilezione verso una forma metrica, l’esametro che
si accompagna ad una forma compositiva prescelta; Pindemonte
propende per una perfezione del verso latino, specie virgiliano, per ricreare
il suo endecasillabo sciolto italiano:
Alla nobile signora contessa Paolina
Suardi Grismondi e Alla nobile Signora Silvia Cartoni Guastaverza
vengono datate 1778, i versi dedicatari Alla
Signora Angelica Kauffmann verranno pubblicati nel 1784. Risalente al 1792 è l’epistola Alla Signora Contessa Adelaide. I versi
dedicati A Isabella Albrizzi sono del
1800 e sempre dello stesso anno
l’epistola a Elisabetta Mosconi. La
composizione di questi versi è accompagnata da numerosi contatti epistolari con
letterati del tempo, quali ad esempio
Bettinelli. Tra le altre epistole segnaliamo: al Signor Antonio Selva veneziano del 1779, Al Signor Marchese Girolamo Lucchesini sempre del 1779. Alle prime prove di composizione drammatica
del Pindemonte risalenti con probabilità al 1780, sembra essere legata
l’epistola Al Signor Angelo Mazza.
Le
epistole dedicate a Benedetto di
Chateauneuf e quelle dedicate a Girolamo
Fracastoro e ad Apollo in numero
di dodici vengono stampate nel 1805 a Verona. Nella composizione di queste
lettere emergono possibilità comunicative nuove per Pindemonte che si configurano
come un’occasione privilegiata di poesia ricca di riflessioni e di critica, di una
ricerca per Pindemonte di un nuovo equilibrio interiore.
Le
Epistole del 1805 confermano un
momento di passaggio per l’autore che lo porta a trattare temi di denuncia,
tracce di un’ideologia osservata inizialmente da Pindemonte come svolta
interiore progressista. L’immagine, ad
esempio, della tempesta ricorre assai di frequente nelle Epistole e rivela un aspetto della sua personalità legato ad una
profonda tensione politica e morale. Lo stile è più fluido, maturo, riflessivo
e a tratti digressivo, ma assai lontano
da quei trapassi improvvisi, da quel sapore così alessandrino che aveva tanto caratterizzato i componimenti del 1784.
Alla generale precarietà del vivere contemporaneo, Pindemonte cerca in antitesi, con i suoi componimenti, di sovrapporre un modello esemplare, una forma di gloriosa permanenza di vita. Le Epistole del 1805 ci offrono una serie di affreschi ricavati da immagini del passato e proiezioni gloriose dedicate a Verona, all’Italia o all’Europa attraverso la celebrazione di figure poetiche esemplari capaci di incarnare questi ideali: da Scipione Maffei, a Virgilio.
Il
nome di Pindemonte è legato, da un punto di vista critico storiografico, alla
sua abilità versificatoria di traduttore, (in particolare l’Odissea)
e anche al dibattito e al confronto con Ugo Foscolo. Nel 1809 Pindemonte inizia
ad elaborare il centro del suo interesse verso la produzione epica di Omero e
di Virgilio, sorgente poetica da cui attingerà incessantemente. Le epistole Veteribus illustribus, Ad
Omero e A Virgilio vengono
pubblicate assieme alla Traduzione de’
due primi canti dell’ Odissea e di alcune parti delle Georgiche stampati in una pubblicazione successiva del 1826.
A inizio Ottocento, sono confermati
testualmente nel volume, i frequenti rapporti epistolari di Pindemonte con personalità
influenti del periodo, quali Parini, Alfieri, Foscolo, Cesarotti, Bettinelli.
Anche
per i Sermoni, raccolta di testi in
verso sciolto, il curatore precisa come l’iter compositivo risulti assai
difficile da ricomporre cronologicamente; pubblicati per la prima volta nel
1819 a Verona per la Società Tipografica, è soprattutto il carteggio con Clementino Vannetti a rivelarsi fondamentale
per lo stile poetico utilizzato dall’autore per questa rilevante produzione: l’attenzione
al lessico, la strutturazione dei nuclei tematici, i ritratti dei caratteri
umani, il confronto linguistico con il modello della tradizione e della lingua
di Orazio «l’univocità o l’ambiguità interpretative, il computo sillabico e la
fluidità del verso» rappresentano per Pindemonte, nella corrispondenza con
l’amico, motivo di riflessione, di conferma o smentita delle proprie
convinzioni poetiche.
La brevitas, la concisione, la rapidità
degli scorci narrativi e descrittivi, auspicate da Vannetti, si scontrano
invece con l’idea di «amplificatio, dilatazione del verso, del racconto, della
similitudine estesa» propugnata da Pindemonte. La fitta corrispondenza è quindi costellata anche da momenti di acribia che non scalfiscono però il
rapporto di stima reciproca tra i due. Da altri scambi epistolari, ad esempio
con il conte Zacco e l’Albrizzi, si arriva alla datazione del 1817, e nell’anno
successivo 1818, si arriverà alla pubblicazione delle epistole celebrate anche
da Vincenzo Monti.
In sostanza le epistole e i sermoni
trasmettono uno stile di pensiero poetico che va al di là delle circostanze:
«l’accento lirico ed elegiaco, il concetto, la denuncia e la tensione
ideologica» unite ad una riflessione meditativa ci restituiscono un poeta che
viene ritratto con una nuova e personale veste poetica. Si tratta di una
transizione poetica che assume, grazie al travaglio evolutivo che porta alla
composizione, connotato da passaggi narrativi differenti (dagli argomenti
affidati alla «junctura lirica, all’immagine e all’espressione» e alla
divagazione), una produzione poetica che non perde una certa compattezza
d’insieme: gli scorci di paesaggi, di città, di rovine rappresentano oggetti a
cui il pensiero di Pindemonte affida il proprio «io poetante»in una religione
del ricordo e una predilezione per una poesia esternatrice in grado di spaziare
dalla «microstoria alla macrostoria dal personale all’universale».
Dalla
lettura delle espistole traspare l’attenzione per l’esaltazione del bello
ideale, sottile e fine rielaborazione
del paradigma legato alla classicità greca, connotato da istanze neoclassiche
con rimandi a Winckleman; un’idealità dell’arte inserita in una feconda
dialettica tra antico e moderno da cui attinge Pindemonte. L’autore, partendo
dalle sollecitazione del modello winckelmanniano, rielabora una estetica nuova,
premessa indispensabile per un’autentico rinnovamento poetico.
Tracce di liberalismo che rimandano a
Locke e alla società inglese emergono nei Sermoni;
per ciò che concerne la «questione mitologica» Pindemonte disapprova la
contaminazione tra sacro e profano: se nelle epistole del 1784 e in quelle posteriori del 1805
Pindemonte attinge ancora alla fonte mitica, nelle composizione dei Sermoni questo
accade più raramente.
I Sermoni presentano una tipologia di linguaggio più diretto, dinamico e confidenziale: qui Pindemonte interloquisce con i vivi celebrando modelli etici della contemporaneità, legati ad elementi autobiografici e biografici impliciti e di poetica coniugata con una forma estetica del bello come, ad esempio, ne Il Parnaso osservato come una vera e propria silloge dei poeti antichi e moderni, visti all’interno di una storia letteraria italiana ricca di modelli che appartengono al profilo culturale di Pindemonte.
In
sostanza la composizione delle Epistole e
dei Sermoni rappresenta una sorta di
biografia in costante oscillazione in cui l’autore accresce e sviluppa le
proprie capacità di poeta doctus con
una ricerca linguistica dettagliata e proiettata al dialogo tra antico e
moderno, alla raffinatezza del bello estetico e della virtù in una fiducia
incondizionata per il rinnovamento dell’arte poetica.
Il
curatore propone un ampio apparato di note esplicative, filologiche,
storiografiche che ricostruiscono la biografia e il percorso letterario
culturale e sociale di ciascun personaggio indicato da Pindemonte nei singoli
testi: a ciascuno il curatore dedica grande cura e chiarezza biografica. Cogliamo, sempre nelle note, un’attenzione
filologica ad ogni lemma, riferimenti e rimandi precisi alla storia della
lingua, alla mitologia, alla contemporaneità letteraria. Un volume che si
presenta chiaro, scorrevole, fruibile, un saggio che rende giustizia ad un
tassello di vita biografica, culturale sociale e letteraria di Pindemonte, un
autore che nell’ambito della poesia italiana, si dimostrava attento alle
suggestioni europee coeve ed ai nuovi fermenti romantici che gravitavano
nell’aria.
Social Network