di Harald Weinrich
Il Mulino, Bologna 1999
Edizione originale: 1997
pp. 336
Traduzione di F. Rigotti
L'oblio: secoli di studi e opere si sono mossi tra l'ostracismo e la ricerca della dimenticanza. Il rapporto tra memoria e dispersione dell'esperienza e della conoscenza è delicatissimo: se per secoli i libri di pedagogia hanno fondato sulla mnemotecnica l'insegnamento, con la modernità memoria e genialità non intrattengono più un rapporto privilegiato.
Un quindicennio fa, Harald Weinrich si è interrogato sulle tappe fondamentali che hanno interessato la riflessione sull'oblio, in uno studio che unisce il rigore del grande autore di Tempus (1964) alla piacevolezza di una prosa carismatica e accattivante. Il rischio, come potrete immaginare, era di ricadere nell'appiattimento diacronico e nella categorizzazione della critica tematica. Ma il rischio non è neanche lontanamente corso da Weinrich: lungo una linea d'interpretazione cronologicamente orientata della storia, lo studioso rintraccia il dipanarsi dell'oblio sia come tematica, sia come interesse interdisciplinare. Infatti, accanto alla più scontata indagine letteraria da Omero al Novecento di Valéry, si trovano gli interrogativi filosofici di Descartes e Locke, o gli studi psicanalitici di Freud e colleghi, con qualche richiamo alla musica, all'arte e alla medicina.
Una parte interessantissima del saggio riguarda il rapporto tra oblio e memoria per Freud, per Valéry e per Proust. Se per lo psicanalista l'oblio è componente fondamentale dell'inconscio e deve essere riportato a galla con difficoltà e sofferenza, per Valéry può essere "funzionale, fecondo, efficace", ovvero è una conseguenza di quella "memoria limitata o intelligente" che sceglie tra i dati esperienziali e permette di pensare. O ancora, è incredibile pensare che la memoria, centrale nella Recherche, è però nata in un'epoca che sottovaluta il valore culturale della memoria. Per Proust, invece, la narrazione inizia a crearsi proprio nella "memoria volontaria", che non restituisce un'esatta immagine di quanto avviene, ma mistifica ed è funzionale alla letteratura; dalla "memoria involontaria", invece, riemergono tessere del passato.
Talvolta, ricorda Weinrich, il rapporto tra dimenticanza e memoria si fa molto delicato: nel Novecento molti narratori legano la memoria all'identità del singolo (calzantissimo l'esempio del Pirandello del Fu Mattia Pascal e il meno scontato riferimento a Come tu mi vuoi, ma anche a Sciascia con Il teatro della memoria). Nel caso delle guerre, poi, dimenticare è gravissimo, e lo sostiene lo stesso Freud: così la letteratura fa sue le istanze sociali e si trasforma in testimonianza e memento (tra gli autori citati, Levi, Semprùn, Sammler, Celan e il caso singolare di Bernhard con Scrivere per estinguere).
D'altra parte, con l'aumento esponenziale dei dati, la società dell'informazione si domanda come gestire la memoria, e lo fa sia in campo letterario (esemplari Böll del Cestinatore e Borges con la sua Biblioteca di Babele), sia in campo scientifico e filosofico (l'oblivionismo di Watson e Crick, il falsificazionismo di Popper, il rivoluzionismo di Kuhn).
L'interdisciplinarità, sostenuta con grande competenza da Weinrich (nonostante le numerose professioni di modestia), consente di problematizzare il tema dell'oblio, nonché di evidenziare come di mutazione in mutazione resti un nodo centrale della riflessione artistica e critica. Per questo diventa difficile designare un pubblico di lettori ideali per questo saggio, che muove senza pedanterie tra curiosità che possono avvicinare un lettore non-professionista e precisione da addetti ai lavori. E' con estremo piacere che, alla fine del libro, Weinrich si riconferma studioso moderno e illuminato.
Gloria M. Ghioni