Gabriele D'Annunzio, che nelle Faville aveva sostenuto di dover affrontare l'«orrore di essere Gabriele D'Annunzio», ci regala pagine di assoluto autobiografismo, ma anche di perspicace e acutissima indagine del mondo e della letteratura contemporanea. Sono l'ennesima testimonianza di quanto la scrittura, per D'Annunzio, sia insopprimibile, anche in situazioni estreme, come le esperienze belliche:
«Nel volo tra le acque di Grado e il campo di San Pelagio non interruppi la mia consuetudine. scrissi. si scrive nell'acqua, si scrive nell'arena, si scrive nella cenere, si scrive nel vento? non importa» (dal Libro segreto)
Nell'edizione presente, la Andreoli riordina le carte non sempre cronologicamente, per quanto il lasso di tempo di composizione sia compreso tra il 1921 e il 1937, ad eccezione di una parte minoritaria di appunti sulle opere. Sono dunque coevi alle Faville, al riordino degli scritti bellici e al Libro segreto. Interessantissimo è constatare i punti di tangenza e gli intrecci intertestuali. Da notare anche il titolo, Di me a me stesso, che punta sulla centralità dell'io e, d'altro canto, sul dialogo privato con un io destinatario (destinatario critico, aggiungeremmo).
Visto che era impossibile ordinare cronologicamente i frammenti, Andreoli ha scelto la suddivisione tematica, molto utile per il lettore che si accostasse per la prima volta al D'Annunzio autobiografo.
Cosa si scopre da questo D'Annunzio inedito? Come suggerisce la curatrice, l'ironia e l'autoironia del pescarese, con molte sprezzature rivolte ai critici. Il lettore che ama le scritture dell'io per indagare la persona dell'autore, non resterà deluso: molte le curiosità (come i gusti culinari, i pensieri amorosi,...) e ancor più gli aspetti aforistici di un D'Annunzio più calmo sintatticamente, che fa dell'efficacia e della brevitas un tutt'uno in questo taccuino di riflessioni.
Edizione di riferimento: Gabriele D'Annunzio, Di me a me stesso, a cura di A. Andreoli, Milano, Mondadori, 1990.
Mi nutro di me medesimo. Della mia propria sostanza arricchita e purificata io ora posso alimentarmi e riconfortarmi. (3)
Quel che c'è in me di misterioso, di sfuggente, di incomprensibile, d'inafferrabile - lasciatemelo. (5)
La passione in tutto... Desidero le più lievi cose perdutamente come le più grandi. Non ho mai nulla intrapreso, senza avere in me la risoluzione di perdere la vita piuttosto che rinunziare. Per questo, certo, la resistenza altrui cede sempre davanti a me. Ho esercitato la vita alla condizione unica: che gli eventi siano foggiati dalla mia volontà e ne assumano la forma. Ero pronto a morire per la cosa più leggera, se l'avevo desiderata un attimo. (11)
No, non umile dinanzi alla Verità: umile dinanzi all'arte. (17)
Contro l'abitudine.
Io non cerco, non ho mai cercato una comodità nella vita, un rifugio sicuro. Io ho preferito d'inventare ogni giorno la mia vita per ogni giorno gioire della sua novità, della sua libertà.
Il lago oggi era come un frammento staccato d'un gran fiume regale... Dove andava? (59)
Ricordarsi della metamorfosi di talune carezze, dopo ore ed ore di ebrezza. La carne non è più carne ma è l'orlo di un potere interiore...
Ricordarsi di quel lungo bacio ineffabile, che serbava in fondo la tenerezza e la malinconia come nel miele dell'Imetto un'ape semiviva e un'ape morta.
(Ben io trovai l'una e l'altra. Ricordo del mio viaggio nell'Ellade). (71)
La donna è una scienza, non è un piacere. Di tutte le creature terrene è quella che più profondamente può da noi essere appresa. (79)
Uno specchio dove una piccola amica scriveva col dito una parola dolce - che mi si palesava quando appannavo lo specchio col mio fiato. (80)
Nell'apice della voluttà, l'abolizione delle persone, la scomparsa del singolare. I due sessi ingigantiti e ampliati. Le dita cercano nelle pieghe superficiali della rosa la profondità della radice umana. Le dita intorno alla verga eretta stringono il perno del mondo. Le apparenze fluiscono e fluttuano di sopra alle idee sempiterne. Nella nostra congiunzione tutte le congiunzioni: da quella di Leda con l'aurora, da quella di Endimione con Diana - a quella di Sakuntala, di Marica...
Assaporo sul suo corpo le frutta di tutte le regioni, la fame di tutte le latitudini.
(Vedere nella inesplicabile e inesprimibile ebrezza. Al paragone Diòniso è ottuso e tardo. 21.IX.1927)
Il canto dei grilli, tra la notte e il mattino, tra la tenebra e l'alba: il canto delle veglie tremende, dopo la caduta misteriosa. (100-101)
L'ineluttabile fine d'ogni amore. Il nodo che si discioglie. Il piacere che l'avversione rende simile al cattivo sapore d'un vecchio vino "tourné". (106)
La bocca baciata.
I nostri corpi di carne ansiosa sono come quei campi di carneficina ove gli antichi iddii, stanchi delle loro stesse imagini trasfigurate e incensate dagli uomini, cercano gli atroci piaceri non conosciuti se non dagli uomin soli.
Simili a due combattenti feriti entrambi, l'un dall'altro, supini su l'erba abbeverata dal lor sangue commisto, che sentono la mutua pietà addolcire la loro agonia dolorosa, - noi cerchiamo di addormentarci esausti perché l'uno possa nel sonno perdonare all'altra la colpa di aver ucciso per sempre l'amore con le nostre crudeli carezze, e scongiurare l'odio...
(Neris.) 18 sett. 1932 (128-129)
La sola ricerca feconda è quella di sé medesimo: specie dei propri difetti, dei proprii errori. (152)
La parola è simile a una traduttrice infedele e deforma il pensiero. (185)
Io, che con una sincerità così profonda e prode, non pongo nulla - neppure la patria - sopra l'arte. (207)
Lungi da me l'intenzione educativa.
C'è nell'arte di collocare le parole una direzione che aiuta a superare la tristezza. (210)
I libriIo so quel che ho messo e metto ne' miei libri. Ma so veramente tutto quel che posi e pongo? Son io solo che so? O v'è un lettore nel mondo che sa, leggendo i miei libri, quel ch'io ignoro?--------------------------------------------------------------
Luglio 1932
Introduzione e scelta dei testi a cura di G. M. Ghioni