Vita da Giornalaia
Aldo Dalla Vecchia
Vi proponiamo un’anteprima
teatrale dal sapore del tutto esclusivo che dovrebbe uscire a breve anche come testo
narrativo.
C’è un attore al centro della
scena e c’è una voce fuori campo che pone delle domande. Quello che potrebbe
essere un lungo monologo si trasforma in un’intervista, dove il ruolo
dell’intervistato e dell’intervistatore si scambiano. A subire un fuoco di domande,
infatti, è colui che per abitudine, per professione, per competenza, di solito le
ha sempre fatte: lo scrittore, giornalista e autore televisivo Aldo Dalla Vecchia.
Aldo racconta la sua gavetta di
figlio d’industriale che ha sempre amato la parola scritta più dell’azienda di
papà. Fin da piccolo ha avuto nel sangue il desiderio di diventare giornalista.
Lasciato Chiampo, piccolo paese del vicentino, per Milano – città della quale
s’innamorerà al punto da piangere di gioia ritornandovi dopo un “brutto”
soggiorno romano – Aldo comincia un iter fatto di telefonate in tutte le testate.
Si arma di gettoni, occupa una cabina e chiama la “spettabile redazione”. Alla
fine qualcuno risponde. Da “Epoca” a “Sorrisi e Canzoni tv”, Aldo si fa strada
nei giornali più importanti, dove si occupa di costume e di gossip, di musica,
di spettacolo, di arte.
Ma Aldo appartiene anche a
quella generazione che ha vissuto il passaggio dalla tivù di stato a quella
commerciale. Da una televisione ingessata, didascalica, moralista, si ritrova
catapultato in un’emittente fantasmagorica e yuppi. È la nuova tv del biscione, quella dei mitici anni ottanta, dei
lustrini, con tutti i chiaroscuri del caso.
Aldo viene accolto in Mediaset
e ne vive forse il periodo più
innovativo e brillante, quello degli esordi, del Drive in, della Milano da
bere. Firma un programma che resta
nella storia della televisione “Target”, partecipa a “Verissimo”, a “il Bivio”
e a “Giallo Uno”.
Tutto il monologo è una
scoppiettante rievocazione di tanti anni di televisione e di mille incontri, da
quelli con i miti come Mike Bongiorno, a quelli con personaggi colorati e
istrionici come l’amico Malgioglio, Platinette, Moira Orfei, la sensuale Alba
Parietti dei tempi del glorioso sgabello. Scorrono sotto i nostri occhi tutti i
big: Raffaella Carrà, Mino Reitano, i Pooh, Rita Pavone, Miguel Bosè, Amanda
Lear. Il pezzo è tutta una carrellata di soubrette e soubrettine, di personaggi
chiacchierati, come Nina Moric e
Fabrizio Corona, ma anche di contatti professionali importanti, di
maestri del giornalismo e della televisione come Maurizio Costanzo.
Il tono è disteso, ironico, facile
ma in grado di ricostruire dall’interno un mondo che tutti noi conosciamo solo
superficialmente, senza renderci conto del lavoro che c’è dietro, della fatica
anche fisica. Immaginiamo l’impegno, gli appostamenti in attesa del vip di
turno, la difficoltà di ottenere l’esclusiva di un’intervista, il lavoro
certosino che sta alla base di un programma, la dedizione e la passione di chi
non conosce domeniche o feste comandate.
Si spazia attraverso tutta la
storia della televisione, da “Pippi
Calzelunghe” a “La Casa nella
Prateria”, da “Michele Strogoff”
a“Drive In”, da “Orzoway” al “GF” - autentico spartiacque fra ciò che lo ha
preceduto e la grande stagione del reality
– e, ancora, dalla tivù
generalista ai canali digitali.
Il testo si apre in due
direzioni: da una parte l’approfondimento saggistico, dall’altra la memoria. Le
due componenti si fondono in una sola, cosicché l’excursus attraverso la storia della televisione è tracciato sul filo
di una prepotente nostalgia personale.
“La fine degli Anni Settanta segnò per noi piccoli telespettatori un passaggio epocale e uno choc assoluto ma benefico, con l’arrivo dei programmi a colori e la nascita delle tivù private, una su tutte Telemilano 58, la futura Canale 5 dove ritrovai molti dei miei beniamini. Il primo è stato Mike; dopo di lui, arrivarono Loretta Goggi, Sandra Mondaini e Raimondo Vianello, Corrado: tutti transfughi dalla Rai.”
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