Sulle
ali del vento del nord
George MacDonald
Traduzione di Lotte Vignola
Auralia edizioni, 2012
pp323
15,00
È indubbio che sia in atto una
rivalutazione delle opere dello scrittore scozzese George MacDonald (1824 –
1905) e, in particolare, di “At he back
of the North Wind” del 1871.
George MacDonald, noto per le
sue favole e i suoi romanzi di argomento fantastico, si mosse in
quell’atmosfera preraffaellita di cui faceva parte William Morris e s’inserì
nell’ambito di frequentazioni che annoveravano Mary Shelley, John Ruskin,
Charles Dickens, William Thackeray, Mark Twain (del quale fu amico) e C.S.
Lewis.
Quest’ultimo aveva una grande
ammirazione per la produzione di MacDonald, lo considerava il suo maestro, a
differenza di Tolkien che, come fa notare Roberto Arduini, aveva una vera e
propria antipatia per la scrittura dello scozzese.
“Il motivo di tanta crescente avversione”, ci spiega Arduini, “era proprio una delle caratteristiche principali di MacDonald, che divideva profondamente Tolkien da Lewis e Il Signore degli Anelli dalle Cronache di Narnia. Come scrive nella bozza di prefazione a La chiave d’oro, «MacDonald è un predicatore, e non solamente dal pulpito della chiesa; egli predica in tutti i suoi numerosi libri». A Tolkien andava di traverso l’allegoria morale: «Non sono molto attratto (anzi, direi il contrario) dalle allegorie, mistiche o morali» (R. A.)
Marco Gionta, della Auralia
edizioni, ha scelto di ripubblicare il testo, già uscito nel 2011 con l’editore
Raffaelli, compiendo un’operazione di rilettura, diremmo così,
“personalizzata”. Per capirlo bisogna partire dalla scelta del titolo: “At the Back of the North Wind”, tradotto
nell’edizione Auralia non più con “Al di là del vento del nord”, bensì con “Sulle
ali del vento del nord”. Non è questo un particolare da trascurare. Tutto
ruota, infatti, attorno a ciò che sta “alle spalle del vento del nord.”
Diamante è un bambino
vittoriano, cresciuto in una famiglia modesta ma dignitosa, in mezzo a persone oneste
e rette. Il padre, cocchiere, è un gran lavoratore, la madre un esempio di
virtù. Diamante stesso, che porta il nome del cavallo di famiglia, è un “Bambino
di Dio”. S’intende con questa espressione l’idea di un bambino geniale ma
talmente candido da apparire quasi ritardato. Diamante ha una limpidezza, una
bontà, una generosità angelica tale da colpire al cuore e redimere chi viene in
contatto con lui.
“La più grande saggezza sembra follia, a quelli che non la possiedono.”
“Le persone buone vedono cose buone e quelle cattive cose cattive”
Sarà proprio per questa sua
caratteristica che verrà scelto da Vento del Nord, che altri non è se non la Morte,
una sorta di dea gigantesca dalle molte personalità, terribile come Kalì e
amorevole come Durga. Vento del Nord è capace di azioni benevole e letali allo
stesso tempo. È bella e tremenda, minuscola e smisurata, capace di cambiare
dimensioni da un istante all’altro come l’Alice di Lewis Carrol.
Vento del Nord è dunque la Nera
Signora, alle sue spalle c’è la fine della vita, c’è un eden, dove si sta bene
ma non si può essere del tutto felici perché l’esperienza terrena ci viene a
mancare e ci vengono a mancare gli affetti.
“Non poteva dire di essere felice, in quel posto, perché non aveva con sé né suo padre né sua madre, ma si sentiva tranquillo, sereno, quieto e contento e questo era forse meglio che essere felici.” (pag 102)
Ma l’edizione di Auralia sembra
non voler far risaltare questo lato funebre della storia. Traducendo il titolo
con “Sulle ali del Vento del Nord” si dà importanza al momento ludico, avventuroso,
nell’ottica positivistica che caratterizza tutta la produzione della giovane
casa editrice. L’accento è posto sulle peripezie, sui viaggi, sui voli di Diamante
che, nascosto fra i capelli di Vento del Nord, o aggrappato al suo seno materno
e accogliente, visita luoghi meravigliosi, a metà fra l’onirico e il reale, fra
il sogno e la visione.
Per chi è buono, per chi è puro
di cuore come il piccolo Diamante - il dolce bambino dagli occhi stellati - persino
la Morte è amica. Anche il viaggio che egli compie alle sue spalle, nell’Ade,
nella terra già visitata una volta da Dante - qui chiamato Durante – e descritta
da Erodoto, nel gelido mondo dei più, non lo spaventa e non lo rende infelice. Diamante
non è capace di spaventarsi, Diamante tutto ama e tutto comprende, Diamante
trova il bello e il buono in ogni cosa. Solo chi possiede la sua ingenuità, la
sua saggezza, la sua generosità e il suo amore per il prossimo, considera ogni
cosa, anche la malattia, anche la morte, come inevitabile, equa, necessaria.
Diamante è una creatura
angelica, dispensatrice di bene, capace di connettersi al resto del creato, di
entrare in empatia con la natura, i bambini, gli animali. Ha un rapporto
privilegiato con i fratellini, che ama come fossero suoi figli, ai quali canta canzoni
preterintellettuali che sgorgano dal cuore. Sa anche comprendere il segreto linguaggio
degli animali, riconoscendone la natura celestiale, serafica, affine alla
propria. Diamante è una di quelle persone che vogliono bene senza aspettarsi
nulla in cambio, che disarmano con il sorriso, con la gentilezza, che pensano
sempre e comunque positivo.
“Tutto in quel ragazzo, così pieno di tranquilla saggezza e al tempo stesso così pronto ad accettare il giudizio degli altri, anche a suo discapito, fece presa nel mio cuore e mi sentii meravigliosamente attratto da lui. Mi sembrava, in qualche modo, come se il piccolo Diamante possedesse il segreto della vita e che fosse lui stesso, come era pronto a pensare della più piccola creatura vivente, un angelo di Dio, con qualcosa di speciale da dire e da fare.” (pag 292)
Oltre al piccolo Diamante e
alla sua famiglia, i personaggi che popolano la storia sono gli stessi di gran
parte della narrativa vittoriana: ragazzine povere dai tratti dickensiani,
cocchieri ubriaconi che picchiano la moglie, anziani benefattori che somigliano
a quelli successivamente ritratti da Frances Hodson Burnett ne “Il Piccolo Lord Fauntleroy” e ne “La piccola principessa”.
Nel testo trovano posto anche fiabe,
poesie, indovinelli, come sarà poi in Tolkien e com’è nella tradizione di Lewis
Carrol e delle Nursery Rhymes di
Mother Goose. Molti sono inoltre i topoi
della letteratura fiabesca che ritroviamo qui, dal cavallo parlante, all’armadio
fatato, (cfr “Le cronache di Narnia” ma anche un film recente come “Monsters & Co”), al vento turbinoso
che trasporta in mondi fantastici (“Il
meraviglioso Mago di Oz” di Frank Baum, 1900).
Riferimenti
Roberto Arduini, “George MacDonald e J.R.R.
Tolkien, un'ispirazione rimpianta” , www.jrrtolkien.it
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