Giuseppe Prezzolini (1882-1982) è uno di quegli scrittori che il canone letterario ha ingiustamente escluso, e meriterebbe una rilettura attenta. Non lo hanno aiutato le accuse di reazionario, cui bisognerebbe rispondere con l'invito alla lettura dei Diari, che tratteggiano lo spirito di un uomo libero, più impegnato nell'osservazione del suo Paese di quanto manifestasse. Anche quando si trasferisce a Parigi e per un periodo ben più lungo a New York, uno sguardo è sempre dedicato alla patria, verso cui dirige acute ma anche acuminate critiche. Tutt'altro che moralista, Prezzolini porta nei suoi diari non solo la passione per la letteratura, ma anche l'amore per le donne, insieme ai valori dell'amicizia e della lealtà.
I diari offrono un'esperienza rara, e per varie ragioni: innanzitutto, coprono quasi un secolo (dal 1900 al 1982), e le interruzioni sono sporadiche. In secondo luogo, Prezzolini ha eseguito personalmente un lavoro di attenta selezione dei passi da accludere in volume, e si è preoccupato di accompagnare con un'operazione filologicamente accuratissima i frammenti con qualche commento utile alla comprensione del lettore, sciogliendo sigle, nomi, ecc. Quindi, è importante l'osservazione disincantata del mondo e della storia, nonché della letteratura. Ironia sottile e grande acribia rinforzano le motivazioni per dedicarsi alla lettura di questi diari.
Per il #PilloleDiAutore odierno, s'è pensato di soffermarsi sui primi due diari, che hanno un'estensione dal primo Novecento fino al 1968.
Edizione di riferimento: G. Prezzolini, Diario 1900-1941, Milano, Rusconi, 1978; Id., Diario 1942-1968, ib., 1980)
7 luglio 1904, Faenza Ogni “diario” è falso, perché bisogna mentire – anche, anzi soprattutto con se stessi. Più curiosa ragione di falsità del mio “diario” è quel pregiudizio di credere che eserciti influenza benevola sull’andamento delle cose lo scrivere pessimistiche nerissime decisioni in queste pagine. Così non c’è mai sole in queste pagine, anche se ce n’è nella mia vita.
22 febbraio 1905 Sono veramente lo spettatore di me stesso. La vita è come un teatro, con una quantità di personaggi, ma uno di questi sempre in scena. Il mio compagno indivisibile. Mi par d’essere uno specchio sul quale hanno inciso la mia faccia. Passano sempre nuovi fantasmi, quella rimane. Troppo. Purtroppo.
14 dicembre 1915 *Questa analisi continua del mio diario mi fa chiamar me stesso l’insaziabile autografo.
11 ottobre 1916 Questi libretti son la lisciva della mia vita. Ci resta tutto il sudicio. Il bianco asciuga sulle siepi, il ruscello porta via le brutture; qui, invece, c’è la gora che si trova dopo aver fatto un bagno.
Parigi, 3 gennaio 1926 *Questo quaderno si trascina dal tavolino di Roma a quello di Parigi da un paio di mesi. Pigrizia? Stanchezza? Forse vergogna. Nella mia testa si formano e si riformano, come treni in una stazione ferroviaria, le frasi che debbono scender qui; mi par di vederle, alle volte, dopo qualche notte più agitata, scivolare giù per le spalle, entro il braccio e finire per escire dalla galleria della penna sulla carta, allineandosi una di seguito all’altra. Ma rimetto sempre il giorno in cui quelle cose dette dentro di me saranno scritte e depositate qui; per sempre? Si sa che non c’è un sempre. Ma basta che un altro ci butti sopra un’occhiata, e non saranno più mie. Allora tutta la scontentezza, l’insoddisfazione, la pena, le preoccupazioni, la vanità di questa mia vita non saranno più attimi della mia vita privata, conosciuti come espressioni passeggere dai miei e da qualche amico, ma espressioni definitive del mio carattere e della mia persona, spiegazione del perché non son riescito a concludere ed a fare di più, e mi sia ristretto al lavoro ed al guadagno per sbarcare la vita, dalla sponda d’un giorno a quella di una ltro, traghettando come un barcaiolo monotono dei viaggiatori che andavano più lontano. Così è accaduto che da due mesi questo quaderno è stato comprato, da due mesi porta un titolo, e null’altro che il titolo. Non soltanto son un cadavere, ma anche un cadavere vergognoso? Eppure ci sarebbe forse una speranza di tornare a vivere una vita qualunque.
15 febbraio 1931 Tutto quello che è stato scritto in questi anni durante il fascismo sarà rinnegato dai suoi autori, come cambiali sottoscritte per forza, per minaccia d’un ricattatore o di un brigante. Nulla ha valore. Chi scrive ha il sentimento di questa invalidicità. Il grande lusso di un signore come Croce è di aver potuto non fare così. Tuttavia quando si darà di frego a tutta questa robaccia, si farà un altro torto; perché in questa insincerità c’è poi spesso una parte di sincerità.
20 giugno 1942 Sto riordinando, tagliando, distruggendo vecchi documenti, appunti inutili, progetti e diari dal 1900 in poi; e m’avvedo che fui tanto spesso inquieto, malato, irascibile, sdegnato, di modo che non apprezzai quello che stavo facendo, che mi si presenta ora collegato da una specie di sogno nervoso, esauriente, irritato, teso spesso fino allo spasimo. Quante belle cose ebbi accanto che trascurai, perché ero tutto intelligenza, e come scontrosi furono quegli anni. Quante volte mi sarei meritato di essere ammazzato. Ma oggi se verrà uno che mi vuole ammazzare, gli aprirò la giacchetta perché arrivi più facilmente al cuore. I miei sgomberi mi fanno ritornare al pensiero della morte: uno sgombero anche quello.
23 aprile 1954 Si discuteva se l'amore era fatto d'affetto o di desiderio; e io ridendo dissi che il mio amore era 90% di affetto e 90% di desiderio; le regole della matematica e della logica non vanno d'accordo con quelle dei sentimenti.
Estate 1955 Non mi son mai innamorato d'una donna per il suo sesso, ma per la sua persona intera; il sesso fu un complemento e forse talora un complimento dell'amore, un omaggio ma non un possesso, un gusto piuttosto che un piacere, un avvicinamento piuttosto che una residenza, una intimità piuttosto che una concupiscenza, una conseguenza piuttosto che una finalità; e mai diventò un'abitudine.
21 giugno 1959Quest’ultimo weekend superlativo, completo, superiore ad ogni altro. Felici fortunatissimi incontri di corpi e di tenerezze, vicinanze di giorno e di notte. Cena alla Grotta azzurra circondati dai soliti mafiosi trionfanti e dagli immancabili servitori sguaiati.Chiudo con questo un altro quaderno.
14 agosto 1961Questo «giornale di bordo» mi è utile. Mi aiuta a ritrovar delle date, dei doni, dei dati, dei dolori, dei dubbi, dei debiti… È secco e duro o tale mi appare nel ricordo dei momenti nei quali fu scritto. Forse il suo merito consiste nel conservare, qualche volta, almeno, un mood, un sentimento di quello che avrei voluto essere. Talora fu riempito di previsioni che erano scritte per scaramanzia. [Come quella del 20 maggio. Alle volte ho indovinato; ma non vorrei dare al lettore l’impressione che io tenga a far la Cassandra: 1980].
24 gennaio 1963 Bisognerebbe scrivere nei taccuini soltanto le cose essenziali. In questi miei libri di memorie giornaliere quasi tutto è ciarpame, e chi lo crederebbe, anche «scaramanzia»! Sono un poco superstizioso e talvolta esagero o mostro di temere quello che accadrà; ma c’è in me la superstizione che in questo modo quelle disgrazie che io tempo non mi accadranno. Un altro difetto è che i sentimenti profondi non sono filtrati: per esempio l’affetto mio per Pigia è indicato quasi come in una guida per il forestiero, mentre meritava una lirica. Ma non sapevo scriverla e mi contentai di darne un sommario.
5 novembre 1967 Tu sola, forse, Pigia, leggerai queste righe e questi libretti dovrebbero, dal 1940 in poi, esser distrutti. Ci son poche cose che valgono. Ma tu sai, in questi giorni, come ti ho voluto bene, ben sapendo di non potertelo dimostrare. Voglio dire il mio desiderio di te come donna, della tua pelle, della tua bocca, del tuo sesso, ma non sempre ci riuscivo, lo so, ero così ricco con te che mi pareva di poter trasportare in te con il semplice gesto del possesso e del godimento reciproco quello che, alle volte, era soltanto un simbolo: al quale tu partecipavi, spesso se non sempre. Ecco una confessione esatta di questi giorni, in cui mi sono sentito attratto da ogni contatto con te, del piede, della mano, d’una gamba contro l’altra, persino quando ti facevo i massaggi, la tua pelle era la pelle d’una donna che m’attraeva, e la baciavo, alla fine del massaggio, come se, invece di una cura dei muscoli, fosse stata una relazione sessuale. Tutto è sessuale fra noi, anche lo scambio delle idee, quel contatto quotidiano delle nostre conversazioni, anche sulle minime cose, ma spesso anche sulle massime cose.
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selezione dei passi e nota introduttiva di Gloria M. Ghioni
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