CRESCITA UMANA TRA
MATERIALITÀ TERRENA E SPIRITO
RELIGIOSO
Vita di Antonio il Santo di Padova,
di Neri Pozza
in Opere complete, Tomo II, Vicenza, Neri Pozza Editore, 2011.
di Neri Pozza
in Opere complete, Tomo II, Vicenza, Neri Pozza Editore, 2011.
Leggendo una parte della vita di S.
Antonio di Padova[1] tratta
da un racconto narrativo di Neri Pozza, ricco di riferimenti biografici, si
resta dapprima incuriositi e poi affascinati dalla serie di circostanze che,
caratterizzando alcune fasi di svolta della sua prima giovinezza, andranno poi
a connotare le scelte di vita del Santo, incontri quindi determinanti per arrivare alla solidità della sua
vocazione pastorale.
Cresciuto in un ambiente agiato a
Lisbona, di famiglia benestante e aristocratica, con una promettente carriera, Fernando
(tale era al secolo il suo nome) si deciderà invece per il cammino della Chiesa. Sorprende che un Santo legato
alla città di Padova, venga raccontato partendo da un periodo assai delicato di
vita, in cui dopo un viaggio in Africa, egli era rimasto gravemente contagiato
da una malattia e soprattutto che, a fare da sfondo come incipit del racconto, ci sia il mare.
Il mare è da sempre un luogo in cui i
poeti hanno cercato le radici della propria esistenza; nel mondo classico e
medioevale il mare rappresentava infatti la metafora di quel caos che fin dalle origini era
presentato in netta antitesi con la città e la materialità terrena. Si tratta
di un luogo in cui assume una particolare valenza spirituale e simbolica
l’introspezione personale. Come ha ben evidenziato Wystan Hugh Auden in un suo
celebre saggio intitolato Gli irati
flutti «Il mare è la situazione reale e il viaggio è la vera condizione
dell’uomo»[2].
La
narrazione parte infatti raccontando squarci appartenenti ad un periodo della
breve vita di S. Antonio: egli si trova imbarcato e percorre un viaggio che,
attraversando alcune coste spagnole, lo porterà in Italia: è il 1221, Antonio è
stremato dalla malattia febbrile che lo ha accompagnato per tutto l’inverno,
l’itinerario sulla caravella è irto di difficoltà e le condizioni
meteorologiche non lasciano dubbi per un destino che appare segnato per gli
uomini dell’equipaggio; ed è durante questi istanti difficili che tornano alla
mente del Santo numerosi flashback rivolti al passato: riavvolgendo il nastro
della sua vita, Antonio sembra dare un significato profondo alla materialità
terrena e, in un gesto simbolico, sapendo di aver dato tanto per la sua vita
consacrata agli altri e alla Chiesa, si lascia andare sdraiato su una coperta
in poppa, socchiudendo gli occhi in attesa di sentire arrivare la sua ora. È
l’ora più difficile per lui, ma è proprio in quei momenti che i suoi occhi si
riempiono di tanta serenità; è sulla nave che Antonio rievoca il vicino passato
colorando di nuova luce soprattutto quelli che lui stesso indica essere gli
episodi più significativi della sua vita.
Rievoca gli anni in cui studiava a Lisbona
al monastero di S. Vincenzo de fora, dei canonici di S. Agostino. Il Rettore
dell’Istituto gli aveva consigliato di prender tempo, così pure questa era
sempre stata l’idea di suo padre. Ai tempi di studio, al collegio teologico
degli agostiniani a Coimbra, il giovane però intensificava le sue letture
quotidiane, le pagine del Libro di
Salomone lo scuotevano perché non riusciva ad afferrare pienamente la
“collera del Signore”; lo aiutavano, in questa sua ricerca interiore e
spirituale, le letture assidue tratte dal
Pentateuco, dai Libri Sapienziali dell’Antico Testamento e dal De Civitate. Gli episodi biblici, arricchiti nella loro
componente dottrinale e disseminati come una polvere luccicante sul racconto,
donavano preziosità alla rappresentazione e soprattutto al vissuto di
esperienze quotidiane di Antonio e, tra i particolari concreti, il Santo ne
coglieva l’essenza perché vibravano di emozione e di generosità.
Con il passare dei giorni, a Coimbra, cresceva il desiderio di Antonio relativo ad un
suo viaggio in Africa fondamentale per portare la propria testimonianza,
attraverso la voce di quei racconti biblici e immaginava di imbarcarsi presto
per quei luoghi; nella città portoghese amava camminare e percorrere per ore i
sentieri delle colline basse; rientrato poi nella sua stanza, si immergeva
nuovamente nelle letture fino a notte alta. Fernando nel 1220 aveva deciso di entrare nell’Ordine mendicante lasciando
con ferrea volontà, quello degli agostiniani per abbracciare la povertà più
assoluta.
La
caravella aveva oltrepassato da poco lo Stretto di Gibilterra, il mare era
impetuoso, si navigava a forza di remi procedendo assai lentamente; Antonio
continuava a sentirsi debole e aveva continuamente una strana sensazione di
arsura; nei momenti in cui riusciva ad aprire gli occhi e si trovava immerso a
guardare i nembi minacciosi del cielo e la tempesta in arrivo, aveva comunque
il forte desiderio di rimanere saldamente a contemplare il cielo. Non lo spaventava la fitta pioggia che
perentoriamente aveva iniziato a cadere e la caravella, ad ogni ondata, si
innalzava quasi a voler toccare il cielo. Il mare, le distese immense di acque
ci riportano inevitabilmente al simbolo primordiale quando ad esempio, nel
secondo capitolo della Genesi viene
rievocata la creazione del mare; l’acqua, in questo senso, rappresenta uno
stato di «disordine da cui emerge la civiltà e nel quale è sempre possibile che
essa ricada».
Ma il mare è simbolo anche di
indissolubilità, il viaggio per mare è quindi una necessaria tappa intermedia
della nostra vita, «l’attraversamento di ciò che separa ed estrania»[3].
La tempesta in quel momento, per Antonio, era vista come la rappresentazione
simbolica di un mondo in conflitto e lo stato dell’uomo in assoluto disordine:
allo stesso tempo il mare era osservato dal Santo come un luogo libero, ma in
cui ci si poteva sentire inevitabilmente in balia del destino, in preda anche
ad una solitudine interiore, luogo però anche foriero di speranza per Antonio.
In quei momenti il Santo infatti riusciva a
mantenere una grande serenità e sorrideva a tutti i marinai della ciurma.
L’imbarcazione ad un certo momento, in balia delle onde alte e travolgenti non dava grandi
speranze per l’esito del viaggio; entrato vorticosamente in una burrasca
marina, l’equipaggio sembrava affidarsi totalmente al destino e alla fede
quando:
uno schianto di legni scosse la barca. Dal portello guardavamo l’albero maestro piegarsi sulla murata. Due marinai accorsi a legarlo vennero spazzati via da un’ondata. Un lampo ci aveva orbato. Poi, nel fragore del tuono, una saetta aveva tagliato l’aria trapassando il nostro legno.[4]
L’introspezione
interiore di Antonio continua e, in questo caso, va a riflettere sui fenomeni
della natura: nella volubilità del mare, grazie alla densità straniante e alle
radici immerse, in esperienze vissute a contatto con questo evento, vi cogliamo qualche eco a quella corrente di
pensiero occidentale, che fa capo ai filosofi pre-socratici, ad Epicuro e a
Lucrezio tra i latini, per la quale la natura (physis) partecipa, senza
fratture idealistiche sia della materia che dell’anima umana.
La caravella, dopo la burrasca in mare,
era rimasta incagliata tra gli scogli vicino a Messina e tutti gli uomini a
bordo erano miracolosamente salvi. Il mattino seguente un’alba radiosa
preannunciava una giornata in cui il sole, illuminando il luogo, avrebbe ridato
un significato nuovo. La vita continuava, gli antichi uomini del remo erano
riusciti a resistere alle temperie della natura, quel giorno, forte era il
desiderio di ringraziare il Cielo per il dono divino di una vita che continuava
ad esistere.
Qualcuno aveva deciso che il viaggio di
Antonio non fosse ancora giunto al termine; un padre benedettino di un convento
a Messina lo aveva ascoltato con interesse e lo aveva consigliato per un viaggio
che lo avrebbe portato dapprima a Brindisi dai Padri francescani e poi in
Umbria, la terra di S. Francesco, luogo spirituale per “eccellenza”, ideale per
ritrovare il senso della propria vita e della propria appartenenza terrena. Il
primo tratto di viaggio lo avrebbero
condotto ancora per mare.
Il mare è da sempre il luogo dei crocevia,
dei punti di partenza e di arrivo, degli incontri tra gente che reca in sé il
proprio ineludibile passato, la complicità del presente e l’incerto futuro. Il
mare è il luogo in cui avvengono anche eventi decisivi, i momenti di eterna
scelta, di tentazione, di caduta ma di redenzione.
La
potenza dell’acqua è, in questa prosecuzione di viaggio, associata
all’immaginazione. L’acqua portava con sé un tipo di sintassi, un fluire di parole
in cui alcuni ricordi del passato che erano scaturiti in quei momenti di
attraversamento difficili per Antonio e per il suo equipaggio, avevano avuto
rilevanza e una maggiore incisività, una maggiore consistenza perché erano
intervenuti aspetti interiori profondi.
Brindisi è una città ricca di storia, di
lapidi, di un presente fatto di pescatori, di mercanti e di uomini pronti a
intraprendere nuovi pellegrinaggi.
Le terre pugliesi emanavano un sapore genuino, con le campagne
disperse, con la vegetazione dagli alberi rigogliosi e in cielo gli stormi di
rondini proseguivano il loro viaggio dalle terre più calde dell’Africa tutti
insieme, per risalire le correnti d’aria; uniti, sembravano mandare un
messaggio congiunto: alla ricerca di zone temperate, di un nuovo calore
accogliente, come gli stormi d’uccelli in volo, anche gli uomini al seguito di
Antonio sapevano che l’itinerario per
giungere in Umbria era ancora lungo:
Le notti passavano veloci. […] Camminavamo per sentieri umidi. […]. Quale viaggio meraviglioso di preparazione spirituale stavamo per finire prima del Capitolo della Pentecoste percorrendo quelle selve fra le montagne! Camminavamo sotto le querce affondando i piedi nel muschio e nelle foglie marcite. Il bosco risvegliato era pieno dei fischi degli uccelli e si sentiva anche il verso lugubre e ritmato del cuculo. […] Ora la strada per arrivare alla Porzincula era tracciata in maniera infallibile.[5]
Antonio, durante il cammino che lo porterà
verso le terre umbre, sentirà maggiormente l’inclinazione per una vocazione
fondata su una predicazione molto vicina alla gente. Egli arriverà alla meta
attraverso un’esperienza contemplativa importante. L’idea di dover predicare in
chiesa lo aveva sempre intimidito, ma con l’arrivo in Umbria, nel 1221, seppe
accogliere totalmente la sostanza della proposta pastorale di S. Francesco.
Giunto
in Umbria Antonio incrocia il proprio
cammino con quello di Francesco: si tratta di un incontro poco descritto nelle
fonti storiche, ma profondamente intriso di spiritualità culturale e
partecipazione emotiva. Antonio non parlerà molto di Francesco nella sua predicazione pastorale; egli crederà
nel valore del suo messaggio. Cogliamo da questo primo incontro con Francesco, una
rispettosa venerazione verso il Santo di Assisi, ammirato come un modello
esemplare di santità, elementi salienti e caratterizzanti la vita futura di S. Antonio, nel segno della
predicazione e di dedizione totale verso il prossimo.
Antonio estatico teneva gli occhi fissi su padre Francesco come per studiarne le fattezze. Aveva le tempie e la fronte traversata da rosse cicatrici, ma dai suoi piccoli occhi usciva una luce. Nulla pensava Antonio qualificava meglio l’uomo che il suo modo di vivere, il suo grande amore per gli altri. [6]
[1] N. POZZA, Vita di Antonio il Santo di Padova, in Opere complete, Tomo II, Vicenza, Neri
Pozza Editore, 2011.
[2] W. H. AUDEN, Gli irati flutti, Roma, Fazi Editore,
1995.
[3] Ivi, p. 36.
[4] N. POZZA, Vita di
Antonio il Santo di Padova, Opere complete, cit., p. 26.
[5] Ivi, p. 43.
[6] Ivi, p. 44.
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