(No Country for Old Men)
Einaudi 2006 (2005)
pp. 251
Un ragazzo di diciannove anni giustiziato nella camera a gas di Huntsville per l’omicidio di una ragazzina: è una voce a raccontarcelo. Poi c’è un vicesceriffo che ha appena arrestato un tipo che se ne andava a zonzo con «un aggeggio tipo bombola di ossigeno per i malati di enfisema o qualcosa del genere». Subito dopo arriva una strage tra narcotrafficanti al confine tra Texas e Messico. Signori: benvenuti. Se lo avete visto al cinema va bene fino a un certo punto. Perché Cormac McCarthty va letto. Chi conosce la trilogia della frontiera coglierà le differenze: lì la violenza era un rumore di fondo che a volte detonava. Qui è un gigantesco e ininterrotto rombo di tuono.
Llewelyn Moss ha 36 anni, è reduce dal Vietnam e caccia antilopi. Una sera ha una botta di culo: trova una borsa piena di dollari e una scena da tregenda, uomini morti riempiti di pallottole che evidentemente si contendevano il cospicuo bottino. Ma il culo si trasformerà in una condanna inappellabile e il cacciatore di ungulati diverrà la preda di un sicario psicopatico: Anton Chigurh, il male allo stato puro. «La gente che fa la sua conoscenza tende ad avere un futuro molto breve. Anzi, inesistente», dice sul suo conto l’enigmatico Wells. Male che semina violenza e induce all’emulazione.
Il romanzo è la storia di un lungo, doppio, inseguimento: succede infatti che quando Llewelyn Moss scopre la borsa piena di soldi trova anche un sopravvissuto, bloccato in una jeep e semi-morente che implora un po’ d’acqua. Ma non ci sono testimoni, solo un arida landa spolverata dal vento, così Moss prende i soldi e torna dritto a casa. Ricco sfondato. Nel cuore della notte però la coscienza lo tormenta e lo induce a fare una cosa folle: portare dell’acqua al tipo della jeep. Questo metterà sulle sue tracce Anton Chigurh, intenzionato a riavere indietro i soldi, che sono suoi, passando sopra il cadavere di chiunque. Mentre Chigurh insegue Moss, la polizia, capeggiata dallo sceriffo Bell, insegue sia Moss che Chigurh, compito meno difficile di quanto si possa immaginare visto che il male lascia una scia di cadaveri che somiglia a un mattatoio. Come fa a non salire l’adrenalina, pagina dopo pagina? Tra soldi, piombo, sangue, stanze di motel devastate e deserto che s’infila in gola.
Poi c’è la scrittura, capace di sovrapporre con precisione chirurgica la trama thriller alle meditazioni sul mondo e sugli uomini dell’anziano, umanissimo sceriffo Bell, voce della coscienza in un sistema che perde la ragione. Una voce potente, semplice e antica, capace di trovare toccanti aperture di poesia dentro scenari di crudeltà e di rendere espressiva anche la crosta dura di un canyon dalle parti del Rio Grande. Bell è proprio la metafora dei vecchi che credono ancora che ci siano limiti al male, regole da rispettare per il bene di tutti. Ma qualcosa pare cambiato, forse si sta facendo strada un nuovo modo di pensare dominato esclusivamente dalla ferocia.
Per chi poi vuole partire dalla celluloide invece che dalla cellulosa ricordo che il film “Non è un paese per vecchi”, quattro premi Oscar, è diretto da Joel ed Ethan Coen e interpretato da Tommy Lee Jones, Josh Brolin e Javier Bardem, rispettivamente nei ruoli dello sceriffo Bell, di Moss e di Chigurh. Astenersi impressionabili.