di Marco Proietti Mancini
Edizioni della Sera!, 2013
pp. 418
Il cielo sopra il terrazzo, che si affaccia sulla vita che anima il quartiere San Lorenzo, è un manto infinito tappezzato di stelle scintillanti, una sorta di ponte che abbraccia passato e presente, restituendo l'antico nitore anche ai ricordi resi più tenui dall'incedere del tempo. Forse è proprio questo il pensiero che solca con maggior insistenza la mente di Benedetto, mentre il suo sguardo cattura l'essenza della vita di un rione che alla fine ha deciso di "adottarlo", lui che è un forestiero di Subiaco. Su quel terrazzo, metaforica platea della vita, che scorre sotto i suoi occhi palesando la sua vocazione popolana in un sottofondo di chiacchiere di quartiere, sulle ombre che si allungano verso la notte che verrà, Benedetto si lascia accarezzare dai ricordi di un'altra anima, quella degli abitanti di Subiaco, intrisa di quel candore tipicamente paesano, che affiorava dirompente nelle feste di piazza che si celebravano negli anni della sua infanzia, specie durante quelle rappresentazioni teatrali in cui la gente si identificava, ravvisandovi una sorta di momentaneo riscatto alle ingiustizie della vita. In quelle occasioni, l'atavico risentimento, che covava nelle masse, veniva proiettato sull'attore chiamato ad interpretare il malvagio di turno sotto una pioggia di frasi irriverenti che si sollevavano da ogni angolo della piazza, in un inconsapevole tentativo di vendicarsi, attraverso quel personaggio di fantasia, delle malefatte e dei torti subiti.
San Lorenzo e Subiaco: così diverse ma anche così affini in quell'atmosfera che fa pensare ad uno dei tanti capolavori del Neorealismo, quantunque il romanzo sia ambientato negli anni Trenta del secolo scorso, esattamente a metà del guado fra il decennio che ha visto l'ascesa al potere di Mussolini, e il decennio che ispirerà alcune fra le migliori pagine della letteratura e del cinema italiano di tutti i tempi. Sono già trascorsi molti anni dall'avvento del Fascismo eppure, nonostante tutto, la vera anima della gente, soprattutto quella che affonda le radici nella provincia e nei quartieri popolari della capitale, non sembra esserne rimasta scalfita.
Benedetto, che non ha ancora vent'anni e lavora come marmista, è cresciuto assimilando i principi che gli sono stati inculcati dal padre e dal maestro Gerlonzi: sono principi che fanno leva sulla lealtà e dunque sull'importanza di scrutare anche fra le pieghe più nascoste della propria anima, per poter conoscere davvero se stessi ed essere liberi, quali che siano le dinamiche esterne chiamate a fungere da proscenio. Una libertà che ha comunque le sue regole, anche molto ferree poiché si innestano sul rispetto di sé e, di riflesso, dei propri simili.
Uno dei momenti, in cui Benedetto coglierà appieno l'essenza di questo insegnamento, sarà quello del servizio militare: due anni trascorsi a Brescia, forzatamente separato dalla sua famiglia e dalla fidanzata Elena.
La vita di caserma è la negazione stessa della libertà, il trionfo dell'omologazione a schemi precostituiti, dove la cieca obbedienza scaturisce dalla castrazione mentale: chiunque si sottragga a questa legge, tutto sommato implicita, è fatto bersaglio di vessazioni fisiche e psicologiche. A salvare Benedetto da questa deriva animica, sarà proprio quell'integrità che ha fatto sua da tempo immemorabile, al punto da scaturirgli in modo automatico come il bisogno di mangiare o di dormire. A differenza dei suoi commilitoni, Benedetto dice "signorsì" solo per quieto vivere, senza permettere a questa assurda imposizione di far breccia nella sua interiorità e di intaccarne la matrice vitale. E, quando entrano in gioco decisioni più cruciali, come quella in cui gli viene "proposto" di partire per la guerra in Etiopia, Benedetto non esiterà a dire "signornò", senza paventarne le conseguenze (che peraltro non ci saranno, o quanto meno non saranno così deleterie), semplicemente perché non crede nella presunta bontà di quella missione.
Perché fare tanti proclami roboanti, tirare a lucido stanze, saloni e latrine solo perché si attende la visita del gerarca di turno chiamato a magnificare le gesta del Duce e dei suoi sedicenti "eroi nazionali" dediti ad assecondare le sue velleità quando di fatto nessuno, compreso il gerarca di turno, condivide realmente la bontà di quella che rappresenta solo una colossale messinscena di un delirio che qualcuno vorrebbe rendere collettivo, spacciando così la follia devastatrice per legittima normalità? Forse Benedetto è l'unico a porsi queste domande, ma lui non se ne cura perché sa che ciò che davvero conta è rimanere fedeli ai principi in cui si crede.
Tutto cambia e si trasforma: gli abitanti di San Lorenzo e di Subiaco, la sua famiglia e la famiglia di Elena, così come la stessa Elena e lo stesso Benedetto sono a tratti irriconoscibili - almeno all'apparenza - dopo i due anni che il giovane ha trascorso a Brescia. Non sono però cambiati i valori condivisi né il sentimento che egli nutre (ricambiato) nei confronti della sua giovanissima fidanzata. Questa lunga attesa non è pesata a lui e neppure ad Elena, contrariamente a quanto aveva temuto in un primo momento. I due si sposeranno e la loro primogenita nascerà il 23 luglio 1940, a poco più di un mese dall'entrata in guerra dell'Italia.
Non ci è dato sapere cosa accadrà a Benedetto e alla sua famiglia dopo quella data, né il protagonista di questa storia senza tempo intende saperlo o prevederlo: la vita per ora è quella che ha il privilegio di vivere accanto ai suoi affetti più cari, e che scorre all'insegna della sua serenità interiore.
Quasi una storia zen, dove il benessere e la felicità rappresentano una condizione dell'anima, quale che sia il contesto familiare, storico o antropologico.
Cristina Luisa Coronelli
San Lorenzo e Subiaco: così diverse ma anche così affini in quell'atmosfera che fa pensare ad uno dei tanti capolavori del Neorealismo, quantunque il romanzo sia ambientato negli anni Trenta del secolo scorso, esattamente a metà del guado fra il decennio che ha visto l'ascesa al potere di Mussolini, e il decennio che ispirerà alcune fra le migliori pagine della letteratura e del cinema italiano di tutti i tempi. Sono già trascorsi molti anni dall'avvento del Fascismo eppure, nonostante tutto, la vera anima della gente, soprattutto quella che affonda le radici nella provincia e nei quartieri popolari della capitale, non sembra esserne rimasta scalfita.
Benedetto, che non ha ancora vent'anni e lavora come marmista, è cresciuto assimilando i principi che gli sono stati inculcati dal padre e dal maestro Gerlonzi: sono principi che fanno leva sulla lealtà e dunque sull'importanza di scrutare anche fra le pieghe più nascoste della propria anima, per poter conoscere davvero se stessi ed essere liberi, quali che siano le dinamiche esterne chiamate a fungere da proscenio. Una libertà che ha comunque le sue regole, anche molto ferree poiché si innestano sul rispetto di sé e, di riflesso, dei propri simili.
Uno dei momenti, in cui Benedetto coglierà appieno l'essenza di questo insegnamento, sarà quello del servizio militare: due anni trascorsi a Brescia, forzatamente separato dalla sua famiglia e dalla fidanzata Elena.
La vita di caserma è la negazione stessa della libertà, il trionfo dell'omologazione a schemi precostituiti, dove la cieca obbedienza scaturisce dalla castrazione mentale: chiunque si sottragga a questa legge, tutto sommato implicita, è fatto bersaglio di vessazioni fisiche e psicologiche. A salvare Benedetto da questa deriva animica, sarà proprio quell'integrità che ha fatto sua da tempo immemorabile, al punto da scaturirgli in modo automatico come il bisogno di mangiare o di dormire. A differenza dei suoi commilitoni, Benedetto dice "signorsì" solo per quieto vivere, senza permettere a questa assurda imposizione di far breccia nella sua interiorità e di intaccarne la matrice vitale. E, quando entrano in gioco decisioni più cruciali, come quella in cui gli viene "proposto" di partire per la guerra in Etiopia, Benedetto non esiterà a dire "signornò", senza paventarne le conseguenze (che peraltro non ci saranno, o quanto meno non saranno così deleterie), semplicemente perché non crede nella presunta bontà di quella missione.
Perché fare tanti proclami roboanti, tirare a lucido stanze, saloni e latrine solo perché si attende la visita del gerarca di turno chiamato a magnificare le gesta del Duce e dei suoi sedicenti "eroi nazionali" dediti ad assecondare le sue velleità quando di fatto nessuno, compreso il gerarca di turno, condivide realmente la bontà di quella che rappresenta solo una colossale messinscena di un delirio che qualcuno vorrebbe rendere collettivo, spacciando così la follia devastatrice per legittima normalità? Forse Benedetto è l'unico a porsi queste domande, ma lui non se ne cura perché sa che ciò che davvero conta è rimanere fedeli ai principi in cui si crede.
Tutto cambia e si trasforma: gli abitanti di San Lorenzo e di Subiaco, la sua famiglia e la famiglia di Elena, così come la stessa Elena e lo stesso Benedetto sono a tratti irriconoscibili - almeno all'apparenza - dopo i due anni che il giovane ha trascorso a Brescia. Non sono però cambiati i valori condivisi né il sentimento che egli nutre (ricambiato) nei confronti della sua giovanissima fidanzata. Questa lunga attesa non è pesata a lui e neppure ad Elena, contrariamente a quanto aveva temuto in un primo momento. I due si sposeranno e la loro primogenita nascerà il 23 luglio 1940, a poco più di un mese dall'entrata in guerra dell'Italia.
Non ci è dato sapere cosa accadrà a Benedetto e alla sua famiglia dopo quella data, né il protagonista di questa storia senza tempo intende saperlo o prevederlo: la vita per ora è quella che ha il privilegio di vivere accanto ai suoi affetti più cari, e che scorre all'insegna della sua serenità interiore.
Quasi una storia zen, dove il benessere e la felicità rappresentano una condizione dell'anima, quale che sia il contesto familiare, storico o antropologico.
Cristina Luisa Coronelli