Racconti
per una “canzone”
Maria Vittoria Masserotti
Edizioni Progetto Cultura
pp 168
12,00
Esistevano un tempo le novelle pubblicate
sulle riviste più conosciute, le firmavano anche scrittori di un certo
spessore, come Scerbanenco. I racconti di Maria Vittoria Masserotti fanno
venire in mente quelle storie. Novelle che si leggono una alla volta per il benedetto,
sacrosanto, puro e semplice desiderio di leggere, per la ormai introvabile e
superata gioia della scoperta d’una atmosfera e d’una trama.
Se un buon racconto ruota
attorno ad un’idea originale, a una situazione particolare e si muove da un
punto a A fino a un punto B, attraverso una evoluzione dinamica, le storie della
Masserotti assolvono tutti questi compiti. Ognuna ha una trama da raccontare,
ognuna ha un personaggio da inquadrare e un’ambientazione particolare.
Ci colpisce la geografia delle vicende
che attraversa tutta l’Italia, dal Lazio alla Toscana, dalle città ai paesi,
dalla terraferma alle isole. I protagonisti e le protagoniste sono tutti, salvo
poche eccezioni, persone mature, spesso alle prese col tempo ritrovato e
dilatato della pensione. Ognuno fronteggia un problema diverso, dall’incontro
devastante con la malattia, all’amore rivisitato in tutte le sue sfaccettature, inteso come nuovo contatto, ma
anche come rapporto logorato dal tempo e dalla clandestinità, o dolce
complicità coniugale. I personaggi sono variegati: la ragazza sola e obesa, l’uomo
con troppe storie sentimentali parallele, l’amante stanca del suo ruolo secondario,
la donna che ha subito l’asportazione totale dell’apparato riproduttivo.
Ci sembra di cogliere,
comunque, in ogni racconto – e specialmente nel nostro preferito “Novembre” –
una prepotente speranza, la sensazione che mai niente finisce davvero, che,
dietro l’angolo, c’è sempre una sorpresa, una nuova possibilità, che la
vecchiaia non è decrepitudine ma, semmai, saggezza e libertà dagli impegni,
tempo recuperato per sé, in una solitudine riconquistata, oppure in una
condivisione scelta e non subita. L’amore
e il sesso, in questa visione, hanno ancora tanto spazio e sono vissuti come
rigoglio dei sensi e calore di sentimento. La solitudine, la sconfitta, l’apatia
e la noia: “La vita a vent’anni gli era
sembrata colma di promesse. Ora è solo una routine senza spunti, senza
obiettivi. Sospira e apre il frigo.” (pag 29) in realtà non esistono, sono
solo una nostra forma mentale.
C’è sempre, al contrario, la
possibilità di un colpo di reni: “La mano
destra di Giulia si protende ad accarezzare la tomba di suo padre, lì in alto,
sfiora la piccola balaustra di marmo senza arrivare alla foto, punta i piedi
per arrivarci e sente che il suo corpo si solleva. È in piedi.” (pag 143) È
il rinnovo, la resurrezione che diventa soprattutto presa di coscienza di ciò
che già si ha, consapevolezza e rivalutazione del passato in vista del futuro.
“Quello è sempre stato un momento magico, carico di attesa, quando ancora il profilo del tempo deve essere disegnato, dove tutto è ancora e sempre possibile.” (pag 82)
In quest’ottica tutto
riacquista valore, persino la compagnia di un cane non è più simbolo di mancanza
e isolamento bensì del contrario, di completezza ed affetto. Il vuoto diventa all’improvviso
pieno.
“Una cosa è certa – visto che lei è nata – la vita in qualche modo ha vinto. Si alza per andare a chiamare Marilena, oggi ha bisogno di rivedere il suo cane.” (pag 27)
I racconti portano il nome dei
mesi dell’anno e anche questa circolarità fa sì che ci sia un implicito senso
di rinascita, di “vita nova”. Il
tempo, d’altronde, è ciò di cui l’autrice si è occupata professionalmente,
avendo fatto ricerca informatica per il CNR sul ragionamento spazio–temporale.
Il pregio maggiore, il maggiore
sforzo di questa raccolta, a nostro avviso, è la mancanza di autobiografismo,
così rara da trovare. Quante volte sentiamo uno scrittore dire: “Ho esordito
con un romanzo che parla della mia vita”, e, di fronte ad affermazioni come
queste, siamo sempre prevenuti. Qui, invece, ogni storia si differenzia dall’altra
per intreccio, sviluppo e ambientazione: c’è l’uomo conteso fra troppe donne, c’è
l’erede ucciso dai parenti avidi, c’è la giornalista coinvolta in una storia di
mafia e servizi deviati, c’è persino Josè Saramago.
Ovviamente, la Masserotti, come
qualunque altro scrittore, mette sempre un poco di sé in ogni personaggio: che
sia un marito preoccupato per la salute mentale della moglie o un agente del
Mossad, quella sarà comunque la visione dell’autrice, quelli saranno “il suo”
marito e “il suo” agente. E, mescolate agli accadimenti e alle scene, ci sono, com’è
naturale, le cose che l’autrice ama e conosce, le sue letture - da Saramago a Tolkien
- i suoi luoghi preferiti, salsi e marini, la sua musica.
Il titolo e le strofe poste all’inizio
di ogni racconto, infatti, sono tratti da “Canzone
dei dodici mesi” di Guccini, e quest’accostamento, ancora una volta,
richiama il bisogno di vivere il fluire del tempo senza negare le proprie basi
ma, anzi, recuperandole. Nella prefazione, Lamberto Picconi afferma che: “In un contesto storico come quello degli
anni 70, in cui molti volevano fare tabula rasa del passato e ricominciare da
zero, il cantante modenese si pose in direzione decisamente contraria, volgendo
lo sguardo, non senza nostalgia, verso le proprie radici.” (pag 6)
È questo, in fondo, lo scopo della
scrittura, renderci più chiari a noi stessi e, nello stesso tempo, liberarci,
scandagliare e illuminare le nostre motivazioni inconsce, farci scoprire l’alterità,
il nuovo e il possibile, oltre il recupero di ciò che siamo stati.