Storia di Caterina Corner Regina di Cipro. La prima biografia
di Antonio Colbertaldo
a cura di Daria Perocco
Il Poligrafo, 2012
pp. 218
€ 28
di Antonio Colbertaldo
a cura di Daria Perocco
Il Poligrafo, 2012
pp. 218
€ 28
Il
volume Antonio Colbertaldo Storia di Caterina Corner Regina di Cipro
La prima biografia a cura di Daria
Perocco è ricco di spunti che riguardano la concezione del canone sulla
bellezza femminile del Cinquecento.
Il
ritratto, assai romanzato, della vita della regina di Cipro, della donna di
corte a Venezia e ad Asolo presentato da Colbertaldo invita a riflessioni che
partono dalla considerazione che i giudizi espressi dall’autore risentono della
sua personale volontà di attribuire alla regina qualità caratteriali
esclusivamente positive, che si accompagnano a giudizi sulla bellezza estetica che
appaiono in alcuni punti del racconto forzati, ma che risentono dello stile
declamatorio encomiastico tipico della tradizione cinquecentesca. Caterina,
infatti, viene introdotta nel racconto in modo favolistico: descritta come una
fanciulla bellissima, Colbertaldo utilizza tutti gli elementi retorico
stilistici per presentare la regina equiparandola al canone della bellezza
femminile del Cinquecento.
Ecco
l’impressione che Caterina suscita ancora fanciulla:
Dava novo stupor veder una fanciuletta la cui fronte assembrava il chiaro cielo, le guancie non invidiavano le vermiglie rose, le labra a somiglianza di coralli et erano pregiate perle li denti; vinceva il collo la neve, le ciglia nere, le vaghe luci degli occhi a somiglianza di due stelle ardenti, né avea ascose le mamele nel velo ch’alquanto non si mirassero, oltre l’aurate chiome ch’in rete d’oro eran involte, che con ragione confessò apertamente non haver veduto a gl’occhi suoi pulcella sin allora più bella né che più ad esso aggradisse, cagione ch’incontinente retenisse che quanto prima fossero concluse le zozze e terminate.[1]
Celebrata nel corso della narrazione come bellissima donna, giunta a Cipro viene
paragonata ad una seconda Venere e poi ad Asolo invece, metaforicamente viene
accostata alla dea Diana. La scrittura di Colbertaldo rende omaggio alla
tradizione tardo cinquecentesca in cui il linguaggio è arricchito dall’ornato
stilistico del tempo: ad esempio l’autore predilige formule, espressioni
tipiche della tradizione del periodo, per descrivere i personaggi femminili con
un utilizzo ampio dei diminutivi; una scrittura che si avvicina al barocco,
un’arte magniloquente, affollata di virtuosismi, con frequenti ripetizioni di
concetti, un racconto adatto più ad una tradizione orale.
In premio di tanta pietade, d’un tanto amore, d’un tanto bene, tutti i fanciulli lieta vita vi desiderano, le verginelle vi pregano, le sconsolate vedovelle più lieta sorte vi bramano. Ecco Vergine nascosta e immortale, ancor lei salutata da alcuna lingua, che felice vi chiama, con raddoppiati accenti felicissima gli risponde.[2]
Uno stile, assai personale e non influenzato
da Pietro Bembo, il quale ne Gli Asolani,
celebra Caterina Cornaro come «madonna,
Reina di Cipro»: nel magnifico giardino della corte ad Asolo, la bellezza
visiva del luogo si assembla a quella sensoriale e metaforica dell’aura femminile, evocativa e allusiva;
all’inizio negli Asolani si osserva
il pluriuso di vago come di luogo attraente, adorno che porta con sé sfumature
oniriche d’incanto o di allettamento, una bellezza del posto naturale, non vistosa, un
luogo ricco di maniere di vaghi fiori,
quasi un ideale d’arte intimamente ammirato dalle belle donne, un connubio di grazia e dolcezza.
Era questo giardino vago molto e di meravigliosa bellezza; il quale, avea un bellissimo pergolato di viti. […] Per questa dunque così bella via dall’una parte entrate nel giardino le vaghe donne co’ i loro giovani caminando tutte difese dal sole, e questa cosa e quell’altra mirando e considerando e di molte ragionando, pervennero un fratello nel luogo ove ’l giardin terminava, di freschissima e minutissima erba pieno e d’alquante maniere di vaghi fiori dipinto per entro e segnato. […] Piacque meravigliosamente questo luogo alle belle donne.[3]
Asolo
invece per Colbertaldo è la reggia-patria che accoglie Caterina attribuendole
l’appellativo di nocchiera. L’autore prefigura
già un quadro immaginario successivo e rivolgendosi ai posteri, fa intendere quella
che sarà la fortuna del popolo asolano
guidato da una regina che qui assume un ruolo pastorale. La natura rigogliosa
che circonda Asolo è in totale simbiosi con questo avvenimento: il ciclo vitale
consentirà di far crescere la vegetazione similarmente alla ricchezza interiore
e morale del popolo.
Oh felice patria asolana, oh fortunato gregge poscia che sarai retto e governato da sì giusta e felice pastorella. Oh avventurata nave che sarai guidata da sì esperta nocchiera. Dunque o vittoriosi lauri soffrite il tagliente morso dei coltelli acciò s’imprima il nome di Caterina, cresca il nome suo, crescano le piante nostre. Oh augelli fatte inusitati accenti salutando il nuovo giorno con il nome di Cornelia. E voi saldi et agghiacciati marmi lasciatevi percuotere da sculturi et imprimete il nome di regina.[4]
Sono
numerosi i ritratti cinquecenteschi che delineano l’ideale della bellezza
femminile; gli scritti ci forniscono analisi minuziose di ogni particolare del
corpo della donna ed emerge particolarmente la descrizione dei lineamenti e
delle fattezze più apprezzate: durante il periodo rinascimentale, infatti, gli scrittori, i poeti, i pittori e gli
scultori tendevano a raffigurare i ritratti femminili associandoli a creazioni
divine e venivano esaltate le linee morbide e la trasparenza del volto,
elementi rilevanti in quanto espressioni di nobiltà e purezza d’animo.
Ecco
ad esempio un sonetto di Torquato Tasso dedicato a Giulia Gonzaga:
Donna real, la cui
beltà infinita
formò di propria man l’alto Fattore,
perch’accese di suo gentil ardore,
volgeste l’alme alla beata vita,
formò di propria man l’alto Fattore,
perch’accese di suo gentil ardore,
volgeste l’alme alla beata vita,
la cui
grazia divina ognun’invita
all’opre degne di perpetuo onore;
ne’ cui lumi sereni onesto amore
per un raro miracolo s’addita;
all’opre degne di perpetuo onore;
ne’ cui lumi sereni onesto amore
per un raro miracolo s’addita;
virtù,
senno, valore e gentilezza
vanno con voi, come col giorno il sole;
o siccome col ciel le stelle ardenti:
vanno con voi, come col giorno il sole;
o siccome col ciel le stelle ardenti:
l’andar celeste, il riso e le parole
piene d'alti intelletti e di dolcezza,
son di vostra beltà ricchi ornamenti.
Dal sonetto di Tasso
possiamo osservare come la bellezza femminile sia descritta sempre come
rivelatrice della ben più importante bellezza interiore: si tratta del
principio greco della calocagazia che continua
ad influenzare la più alta cultura italiana, trovando eco anche nella
letteratura rinascimentale. L’aspetto fisico non può che riflettere ciò che la
persona porta nel proprio intimo, per questo Saffo, per fare un altro esempio di canone femminile, non riesce a
perdonare il destino di averle riservato un aspetto per lei poco gradito e,
come unica soluzione, andrà incontro al suicidio poiché «per virili imprese,
per dotta lira o canto, virtù non luce in disadorno ammanto».[5]
Da sempre nella poesia, come del resto anche nella prosa, nel descrivere una
donna si mescolano facilmente particolari fisici con aspetti caratteriali; in
questo, alcuni elementi, quali gli occhi, la voce, il sorriso, svolgono un
ruolo fondamentale fungendo esplicitamente da raccordo tra fisicità e carattere
della donna che viene celebrata. Si tratta di
un’epoca, quella cinquecentesca in cui il canone della bellezza femminile
tendeva a raffigurare e a celebrare qualità caratteriali della donna ricca di
intelletto, donna cortese e soprattutto amabile.
Ecco ancora un passo tratto dalla biografia di Colbertaldo:
Et ivi inginocchiati gli fecero riverenza et stringendo le labra et increspate le ciglia teneano volti gli occhi verso la fronte della signora parendo in quella trasparire quella nobiltà in cui era posta.[6]In premio di tanta pietade, d’un tanto amore, d’un tanto bene, tutti i fanciulli lieta vita vi desiderano, le verginelle vi pregano, le sconsolate vedovelle più lieta sorte vi bramano. Ecco Vergine nascosta e immortale, ancor lei salutata da alcuna lingua, che felice vi chiama, con raddoppiati accenti felicissima gli risponde.
Ma la donna del Cinquecento era anche quella che bruciava
prematuramente e rapidamente la propria vita, normalmente le spose erano poco
più che fanciulle a prescindere dal censo. Se le popolane erano forse più
esposte alla violenza quotidiana, le nobildonne vedevano la loro vita segnata
profondamente dal volere e dagli interessi altrui, dalle cospirazioni e dagli
accordi di potere.
Si tratta dello stesso
destino, che ebbero, pur con diversi stili di vita, in Sicilia secoli prima
Costanza d’Aragona e invece nel Cinquecento Lucrezia Borgia la quale dopo
molteplici maternità, vedovanze, lotte di potere, si spense precocemente.
Non possiamo neanche escludere che certi giudizi estetici
fossero influenzati da ragioni politiche, dalla conoscenza effettiva o
meno della persona, né, per converso, che certi ritratti avessero goduto
dell’occhio benevolo del pittore.
Caterina Cornaro ci appare, negli ultimi ritratti come una donna
austera, più temibile che desiderabile, eppure forse proprio la costanza e la
tenacia erano virtù apprezzate che venivano lodate in una donna. Complessivamente, sembra difficile definirla una
bellezza in assoluto e pur nelle diverse concezioni dei tempi, potesse essere
ritenuta tale neanche all’epoca sua. Nel volume curato da Daria Perocco si
segnala un ricco e interessante apparato iconografico dei ritratti di Caterina
Cornaro: dai quadri di Bellini, a quelli dei Musei di Asolo e di Cipro, a
Venezia con le illustrazioni e i quadri al Museo Correr e a palazzo Ducale,
fino a Firenze con i ritratti presenti nella Galleria degli Uffizi.
[1] A. COLBERTALDO, Storia di Caterina Corner Regina di Cipro La
prima biografia, a cura di Daria Perocco, Padova, Il Poligrafo, 2012, pp.
116-117.
[2] Ivi, p. 153.
[3] P. BEMBO, Gli Asolani, a cura di Carlo Dionisitti, Milano, Classici Italiani, Tea, 1989, p. 7.
[4] A. COLBERTALDO, Storia di Caterina Corner Regina di Cipro La
prima biografia, a cura di Daria Perocco, cit., p. 153.
[5] G. LEOPARDI, Ultimo canto di Saffo, Edizione critica
a cura di Emilio Peruzzi, Milano, Rizzoli, 1998, p.258
[6] Ivi, 144.
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