di Giancarlo De Cataldo
Einaudi, 2010
pp. 582
Un paio di anni fa, un po’ di
sbornia risorgimentale l’abbiamo provata tutti. Nel calendario, il 17 marzo
venne perfino segnato di rosso, per l’unica volta probabilmente della sua
storia. Fra polemiche leghiste portate addirittura in Parlamento. Paradossale,
visto che era l’anniversario della prima
seduta di un Parlamento italiano (17 marzo 1861). Va beh… ci siamo scordati
della cosa perché siamo un paese capace solo di retorica, fin dai tempi latini.
Quando peraltro la retorica era affar serio. Non a caso i gesuiti, da cui viene
Francesco, nelle loro scuole la insegnano ancora. Qualcosa vorrà dire. Comunque,
fuori di retorica è il libro di De Cataldo. Com’erano i giovani padri della patria? Sobri, affascinanti,
moralisti, sensuali, poveri, generosi. Cinici e bari. Insieme all’unità, hanno
dato il via a una costante della nostra vita pubblica: i misteri, le trame, gli
eterni problemi irrisolvibili.
Intanto per essi c’è un dato fisico
da sottolineare: erano ragazzi. L’attivismo ha coinvolto Mazzini a 16 anni,
Garibaldi a 20, Pisacane poco più, Cavour, che passa per il grande vecchio, morì ad appena 50 anni.
Stroncato, si disse, dalla fatica dell’impresa. E forse dalle troppe… imprese
sessuali. Erano quasi adolescenti i 300
di Sapri e i 1000 garibaldini, studenti e contadini. Il Risorgimento è
anche una rivolta generazionale di giovani oppressi da un potere decrepito.
Parallelismi con il presente consentiti.
Secondo: il Risorgimento è un
romanzo epico. E con molti lati oscuri, certo. Se Mazzini non era Bin Laden o un terrorista, nei suoi discorsi per
convincere dei ragazzi al martirio si colgono echi inquietanti. Era un tirannicida.
Nell’attentato di Orsini a Napoleone III, che non uccise l’imperatore ma provocò
8 morti e 150 feriti, Mazzini non c’entra. Si sospetta invece, e molto, del
futuro presidente del consiglio Francesco Crispi e si sa che Cavour diede soldi
a Orsini e al suo gruppo.
Il vero aspetto criminale nel
Risorgimento è un altro ed è il filo rosso che ritorna in ogni snodo della
storia d’Italia, dallo sbarco del Mille a quello degli americani, dalla svolta
autoritaria di Crispi al fascismo, dalle bombe di Portella a quelle degli
Uffizi: il ruolo della mafia, anzi delle
mafie. Qui ci sono tutte, ’ndrangheta, mafia, camorra. Stanno sempre con
chi vincerà e lo capiscono prima. E a proposito di sud, e nord, come non citare
la ferocia delle repressioni disumane dei piemontesi dopo l’unita, con l’alibi
della lotta al brigantaggio? Ma non significa che il sud campasse meglio sotto
i Borboni.
Poi ci sono le due grandi utopie
fallite, la
Repubblica Romana del ’48 e la missione di Carlo Pisacane: la
loro fine impedisce che la nuova nazione nasca laica, democratica, libertaria. Il ’48 a Roma è una vera rivoluzione:
la cacciata del papa, l’adesione del popolo, una costituzione modernissima, con
la concessione del voto alle donne un secolo prima. Tanto radicale da
spaventare l’Europa e il nipote di Napoleone che paradossalmente restaura il
papato. La delusione sarà terribile per i repubblicani, fino al punto da stroncare
i rapporti personali. Perfino tra Garibaldi e Mazzini. Perché poi la spedizione
di Pisacane fallisca e quella di Garibaldi trionfi, la ragione più vera è anche
banale: Pisacane è una figura straordinaria, il primo socialista italiano, intellettuale
profondo e militare eccelso, ma è un perdente mentre Garibaldi oltre a essere un
generale immenso, ha un c… sfacciato.
Infine i protagonisti del libro. A me sono piaciuti un sacco: il giovane aristocratico veneziano Lorenzo di Vallelaura, catturato nel ’44 in Calabria in una battaglia contro le forze borboniche, salva la vita in cambio del tradimento. Da quel momento, suo compito sarà spiare Mazzini. Striga, la misteriosa fanciulla muta dai capelli rossi che tutti credono pazza e posseduta dal demonio, che si unisce al guerriero sardo Terra di Nessuno. Il mafioso Salvo Matranga, che decide di assecondare il movimento nazionalista e diventa l’ombra del giovane barone di Villagrazia che ha in mente ambiziosi traffici internazionali. Paolo Vittorelli de la Morgiére, capo dei servizi segreti piemontesi, che si ritroverà nella Roma del 1870 a ordinare lo sconosciuto, per i romani, vermouth, e Violet Cosgrave, inquieta lady, discendente di corsari. Violet che si ritroverà con Lorenzo di Vallelaura in una Venezia finalmente italiana. Dove tra calli e libercoli si svela l’ultima ambiguità e si rompe l’ultimo sodalizio.
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