Fortuna
di un personaggio nei secoli XVIII e XIX
a cura di Adriana Chemello
Il Poligrafo, 2012
pp. 356
Il volume, curato da Adriana Chemello,
propone un itinerario dedicato a Saffo ricco di confluenze ed intrecci poetici
che partono dalla considerazione che sulla poetessa greca ci sia ancora molto
da ridefinire e ricollocare in una esatta inquadratura critico, poetica e moderna. Il riesame interpretativo della figura di Saffo
presuppone una sua riattualizzazione che ha lo scopo di ricostituirne
l’immagine complessiva. Oggetto del discorso, nel
volume, è la fortuna letteraria
del personaggio e la sua continua ripresa in chiave tragica o narrativa.
Il giudizio critico su Saffo migliora nel corso degli anni: se nel Cinquecento
si assiste ad una ricezione di tipo trattatistico, nei primi dell’Ottocento la
poetessa greca diventa oggetto di una privilegiata fabula tragica.
Il saggio
di Domenico Comparetti, Saffo e Faone
dinanzi alla critica storica [1]
risulta essere indicativo e illuminante per la lettura del volume. Saffo è
osservata e analizzata come personaggio vicino allo spirito dell’uomo moderno e
che ben si coniuga con le idee romantiche, sentimentali del mondo poetico
amoroso tra Settecento e Ottocento. La rivisitazione della figura di Saffo
avviene su corde che si nutrono di una nuova e attenta lettura cognitiva. Il libro
racchiude diverse curatele, antologia di testi curati
da studiosi diversi, che documentano la “fortuna” e la “ripresa” della figura
di Saffo declinata su generi letterari diversi: una biografia, una tragedia, un
atto unico (Angelica Palli), e una raccolta di componimenti poetici La Faoniade, a cui si aggiunge la
tragedia inedita di Teresa Bandettini.
Salvatore Puggioni, grazie all’edizione della Saffo di Maria Fortuna, poetessa toscana (1742, Pisa; Livorno 1807) presenta una rielaborazione del mito della poetessa greca in una veste settecentesca nuova; una versione che diventa principalmente un itinerario affascinante tra arte e biografia, intersezione tra storia e fabula: il viaggio della poetessa greca in Sicilia è per lei un’inevitabile fuga dal luogo natio, alla disperata ricerca dell’amato Faone. Il testo di Maria Fortuna ha precisi rimandi ad Ariosto e vi cogliamo alcuni echi tragici che rinviano alla tradizione pastorale e «piscatoria». Nel contesto della tradizione ottocentesca, l’immagine di Saffo si arricchisce diventando un modello irreprensibile e di assoluto decoro. La donna, nel corso della narrazione, assume le sembianze di un’eroina più umanizzata, tanto da travalicare da una prima figura idealizzante, a quella combattuta tra due poli opposti: Saffo assistita dalla fortuna come casualità che determina la sua azione umana da un lato, e la potenza dell’amore instabile, quell’amore tanto desiderato ma non afferrato, meta di una felicità irraggiungibile dall’altro.
L’altro contributo, La vita di Saffo dall’erudizione all’exemplum sempre a cura di S. Puggioni,
analizza La vita di Saffo secondo
Bianca Milesi (Milano, 1790; Parigi 1849). La
biografia, pubblicata nel 1815, seleziona le fonti erudite cogliendo la
propensione magistrale di Saffo, modello di donna da emulare. Il racconto segue
la tradizione settecentesca delle biografie elogiative ed è presente in un
pregiato florilegio di biografie di donne celebri; la scrittura in prosa è già
un elemento innovativo rispetto agli scritti coevi: la Milesi si basa sulle «antiche fonti della classicità
greco-latina fino alle riconsiderazioni moderne del Barthélemy, della Dacier e
del Visconti»[2]. La
rigida educazione sociale e religiosa della Milesi può spiegare, in parte, la
volontà di presentare una biografia che arriva ad esaltare la virtus femminile, proiettando la visione
di Saffo in una figura femminile più libera e meno condizionata dalle
convenzioni tradizionali del tempo, un vero e proprio modello idealizzante, una
donna che assume una valenza eternatrice diventando exemplum letterario. Distanziandosi dalla tradizione biografica
precedente, la nuova biografia della Milesi sembra coniugare l’altro aspetto
rilevante della sua vita, la pittura: ne esce quindi una vera iconografia del
ritratto di Saffo, un itinerario arricchito da una «costante tensione verso il
bello ideale e supremo, modello di perfezione etica e morale»[3].
Francesca
Favaro presenta invece i Canti d’Amore di
una Saffo nel Settecento secondo la prospettiva di Vincenzo Maria
Imperiali, poeta pugliese (Brindisi,1738; Napoli, 1816). Imperiali, in La Faonide
Inni e odi di Saffo, allontanandosi da un’attendibilità storica, offre una
personale lettura tematica attingendo dalle sorgenti della poesia di Saffo. L’autore
rielabora così il mito dell’antica leggenda che attribuisce alla poetessa greca
il ruolo dell’amante infelice perché non ricambiata e per questo condannata a
soffrire fino alla voluta e tragica fine, dalla rupe di Leucade. I dieci canti
lirici presi in esame sono suddivisi in due parti: nella prima sezione sono
presentati cinque Inni, e altrettanti
Odi lamentevoli occupano la seconda
parte: qui Faone, il destinatario
delle liriche, risulta essere comunque sempre sullo sfondo: è una sorta di
protagonista solo nel nome, poiché centrale è Saffo, con i suoi sentimenti e le
sue intense emozioni vissute.
Tra le Odi della
seconda sezione, si segnalano, La notte,
Il sogno, Voto ad Apolline: qui le poesie assumono la veste di preghiere disperate in cui emerge una donna
sempre più angosciata e proiettata fatalmente alla fase finale della sua vita.
Interessante è l’importanza specifica rivolta a Venere e Apollo, divinità alle
quali Saffo si rivolge con frequenti invocazioni. L’ostilità di Venere nei
confronti di Saffo rinvia al romanzo di Alessandro Verri, Le avventure di Saffo poetessa di Mitilene.
L’altro contributo, «Sento che l’estro mio d’amore è figlio», curato sempre da Francesca
Favaro, ci presenta il ritratto di Saffo dramma
lirico in un atto secondo l’immagine che dipinge la toscana Angelica Palli,
(Livorno 1798; Livorno 1875): nella biografia, l’elenco dei personaggi è ricco
di presenze maschili che accompagnano la poetessa nell’ultimo tragico giorno
della sua vita. Vicino alla rupe, nel luogo simbolo della tragedia, il porto di
Leucade, campeggiano Faone, il poeta conterraneo Alceo e l’amico Euriso.
Faone
appare intimorito dall’incontro con Saffo e intreccia dialoghi con altri
interlocutori determinando un’acutirsi del dolore della poetessa che, in un
alternarsi di sensazioni e rievocazioni dolorose, ormai consapevole di aver
confidato troppo nell’amore di Faone, sceglie il suicidio liberatorio, gesto estremo, epilogo di una drammatica
scelta finale.
Due
ritratti, quello di Faone e della poetessa, che fanno risaltare il conflitto
recondito e dominato da un’ostilità profonda tra i due: Saffo viene così
privata del tanto desiderato apprezzamento da parte di Faone, sensibile solo
alla vicinanza illuminante della sua bellezza, ma incostante e privo di
fermezza, quando la distanza lo separa da Saffo è totalmente incapace di amarla
come donna.
Il ritratto di Angelica Palli si sofferma
sullo straziante conflitto interiore della poetessa greca, che, combattuta tra
la sua arte poetica e l’essere donna, sceglie la seconda via: in un groviglio
di pulsioni emozionali, osserviamo una donna che non riuscendo a superare la
constatazione fallimentare dell’amore, decide quindi per il tragico epilogo.
Infine il saggio di Monica Bandella «Saffo in Leucade» della poetessa e
attrice teatrale Teresa Bandettini Banducci (Lucca 1763, Lucca 1837) si
sofferma sul connubio tra la Saffo letteraria e il teatro: a Venezia nel 1800, Pindemonte le
aveva suggerito di declamare i versi della poetessa greca; l’attrice recitava a
teatro Saffo, interpretando così intensamente la sua arte poetica tanto da
immedesimarsi totalmente nel personaggio e riusciva ad entrare in simbiosi
totale con la figura della poetessa. Durante le rappresentazioni teatrali Teresa
Bandettini sperimenta la tragicità del personaggio nutrendosi del modello
alfieriano; se ne discosta quando rinuncia ad una certo stile piuttosto
energico basato su versi aspri e veloci, ma inizia a servirsi della sua abilità
di improvvisazione riuscendo così a rappresentare la tragedia di Saffo senza
allontanarsi dalla verosimiglianza storica, arrivando così a plasmarla, fino a farla diventare materia cantabile, arricchita da
innesti colti. In Saffo in Leucade è
il mito tramandato a scandire l’azione teatrale dell’attrice toscana. L’epilogo
tragico è la liberazione dal dolore per Saffo, vittima di un crudele destino
che contribuisce a renderla prigioniera del proprio amore. Il pianto disperato
e appassionato della protagonista è il filo trasversale della tragedia
rappresentata, in cui domina la musicalità e l’impasto fonico sulla forte
componente drammatica dell’epilogo.
Chiude
il volume un’attenta appendice biografica delle autrici e autori presi in esame nel volume. Cogliamo infine, in questo volume nella scena
poetica italiana di Saffo, trasversalmente,
molti elementi di novità narrativa e immaginifici che la avvicinano alla
modernità letteraria. Una riscrittura dell’antico e quindi dell’icona poetica
di Saffo, rivista, in questo volume, in una nuova cornice contemporanea.
[1] D. COMPARETTI, Saffo e Faone dinanzi alla critica storica,
in ID, Poesia e pensiero del mondo
antico, Napoli, Ricciardi Editore, 1944, pp. I SS (il saggio risale al
1876).
[2] Saffo tra poesia e leggenda fortuna di un personaggio nei secoli XVIII
e XIX a cura di Adriana Chemello, cit., p. 196.
[3] Ivi, p. 200.
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